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Giorgio Manganelli. Esiste Ascoli Piceno?

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La consuetudine al viaggio Giorgio Manganelli la maturò in età avanzata, spinto dagli incarichi che gli venivano dai giornali su cui scriveva. Andò a Parigi dagli inizi degli anni ’70, e più tardi in Cina. Più tardi ancora, una rivista gli chiese di scrivere un testo su Ascoli Piceno. Era un Oriente casalingo, quello della città marchigiana, ma Manganelli le si avvicinò circospetto, interrogandosi sulla sua esistenza e ricordando di averla visitata in una possibile esistenza precedente. Fino a scrivere che “Se Ascoli Piceno esistesse, io penso che non potrei assolutamente scrivere alcunché”, per poi trasformarla in un’ipotesi del tutto personale, in una città in cui, quando fosse diventato Comandante, avrebbe mandato uomini spietati ed efficienti a ucciderne gli uomini di cultura e i notabili con cerbottane avvelenate. E poi, le carte geografiche spesso mentono, sono generiche ed elusive, e uno stesso nome può indicare una città identica, che tuttavia può essere un’altra città, “metafisicamente incompatibile”.

Ad Ascoli Piceno, come altrove, Giorgio Manganelli si dedica a quell’arte sottile che è la critica dei luoghi, e che egli stesso definisce “geocritica”. Un modo di parlare di città e nazioni che corrisponde al dipanare il gomitolo infinito del proprio pensiero e dello stare al mondo.

Il volume, pubblicato da Adelphi, contiene anche dieci cartoline realizzate da Tullio Pericoli, artista che ha vissuto ad Ascoli Piceno, che esista o meno.

Paolo Melissi

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Da una rivista di Ascoli Piceno ricevo una lettera, nella lettera mi si chiede se non vorrei scrivere due o tre cartelle per quella rivista. La lettera viene da una zona periferica, e chi vive in quel luogo è lieto di essere un periferico. Il punto è: esiste Ascoli Piceno? Ricordo di averla visitata in una esistenza che, per molti indizi, dovrei considerare precedente; quello che non ho potuto stabilire è se Ascoli Piceno esiste ora. Rammento di aver bevuto l’anisetta in una piazza estremamente decorativa; ritengo improbabile che una piazza così fatta esista veramente; probabilmente è una allucinazione, come la parola « rua » per designare una strada, o le olive ripiene. Sappiamo che nessun ricordo dà la certezza che qualcosa sia veramente accaduto; non è impossibile che io soffra di una nevrosi ascolana, una forma che suppongo rara, e curabile solo da analisti ascolani che siano giunti, da soli, per autoanalisi, alla scoperta che Ascoli Piceno non esiste, è solamente una tradizione, anche se estremamente ricca di particolari. Ora, il problema potrebbe essere: se Ascoli Piceno esistesse, e quindi potrebbe, niente più che potrebbe, esistere una rivista, e se questa rivista mi chiedesse un racconto di due-tre cartelle, io risponderei positivamente? Non credo. Io non scrivo facilmente, non scrivo se me lo chiedono, la mia fantasia è pigra e viziosa, sono di cattivo carattere e sebbene troppo vigliacco per essere litigioso, sono certamente rancoroso. Se Ascoli Piceno esistesse, io penso che non potrei assolutamente scrivere alcunché.

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