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Giulia Martini. Tresor

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Il gesto compositivo della toscana Giulia Martini, classe 1993, acquista un suo preciso spazio grazie ad una singolare cifra stilistica capace di innestare documenti della nostra tradizione letteraria delle origini nella storia individuale e nella complessità del presente. Ascoltando i testi nella sua lettura ad alta voce, si percepisce immediatamente una musicalità fatta di densi impasti, di continui riannodarsi, riassorbirsi tra il sé e la parola scritta che inizia la sua parabola evolutiva proprio con le prime attestazioni letterarie documentate.

Leggendo i suoi versi, si entra in una foresta di citazioni che si amalgamano come molecole naturali liberate dai loro legami e risalenti alla superficie per costituire una scrittura precisa e netta, nata da letture maturate, interiorizzate, sedimentate, indagate, ricca di direzioni che ciascuno, a suo modo, può prendere per condividere il cibo della letteratura, quell’aureo tesoro che brilla in un tempo di dilagante povertà culturale. La parola è incardinata in un sapere che fa breccia, allarga la luce e invita il lettore ad attraversarlo richiamandone il suo senso più profondo, ossia il suo dispiegarsi nel quotidiano, il suo agganciarsi alle coordinate più intime , il suo rendere leggibile il mondo

Una pulsione ancestrale la porta all’interno degli atti fondativi della lingua dove le parole sono acqua che comincia a scorrere per creare un ciclo che la fa ritornare all’origine, alla fonte primaria. Nella meraviglia dell’ “origine” c’è una dimensione essenziale, capace di mostrare le cose che ci sono più vicine proprio perché così lontane nel tempo.

Non si può non sentirsi attratti dai versi di Giulia Martini per il loro timbro, per il ritmo di ogni verso, così vibratile e desideroso di contatto, attento a valutare soluzioni e rese sul piano tecnico. Una sottile sfumatura irreale è ottenuta mediante una strategia compositiva fatta di accostamenti perentoriamente risoluti tra le strutture originarie del linguaggio e il suo ribaltamento dall’interno per coglierne l’energia linguistica, il richiamo del suono .

Ai suoi esordi (nel 2018 con “Coppie minime”, Interno Poesia) Martini annunciava il suo sottile gioco, stilistico, dialettico, metaforico (..io rime, tu rimedi. Tu vai verso quello che credi, io verso quello che rimane.) e in questo caso fonologico, nonché il fulcro creativo e concettuale della sua poesia, composto inusuale, a tratti disorientante, che interroga la lingua nella sua concretezza, nella sua potenza di ordigno percettivo e concettuale .

La sua nuova raccolta “Tresor”( Interno Poesia, pp138), intenso lavoro sulla lingua, è composta da 4 sezioni e 100 testi che attingono alla nostra illustre tradizione letteraria in modo quasi bulimico e che dimostrano sia la sua profonda affezione per le antiche tradizioni dei volgari sia il suo particolare riuso, tra stridori e aritmie , indugi vitali, disseminazioni , approdato ad una cifra poetica audacemente innovativa e suggestiva .

Il titolo, preso in prestito dal noto poema didascalico del notaio, poeta e intellettuale Brunetto Latini, , maestro di Dante e pronto a dispiegare i suoi temi attraverso una trama autobiografica, allude al tesoro interiore che ognuno porta con sé. So soltanto che quelle terre/per quei confini che ti mostrai /se le contesero per anni./Questo tesoro volevo darti. Ser Brunetto era convinto che porre la cultura classica a fondamento della gestione del potere significava avviare un processo che avrebbe avuto un lungo sviluppo e conseguenze durature . Per questo si può dire che fu capostipite di un rinnovamento della cultura italiana che avrebbe riguardato molte generazioni. In linea con ser Brunetto, Martini considera un inesauribile tesoro la parola delle origini, incisa su un territorio epifanico abitato da una comunità nata proprio intorno alla scrittura.

Molte le citazioni dantesche disseminate nel testo e non solo quelle riguardanti il noto XV canto dell’Inferno in cui Dante incontra chi gli ha insegnato «come l’uom s’etterna», cioè come si acquista fama imperitura grazie al retto operare. L’Alighieri collocò il suo maestro-notaio nel regno infernale pur rendendo omaggio alla sua «cara e buona imagine paterna» , anche se per certi versi lo sentì superato, in primo luogo da se stesso.

Come nota Giulia Depoli nella puntuale e ricca prefazione alla raccolta, Martini, nel suo autorappresentarsi, sembra rivendicare per la propria poesia la stessa natura della parola di ser Brunetto, incarnando il punto di sutura fra una comunità e il mondo tramite la parola, una parola pragmatica, demiurgica, che sancisce unioni e separazioni, proprietà ed espropri – in breve, che crea e distrugge la struttura del qui e ora che abitiamo.

Come un amanuense , trascrive per i lettori del futuro un nuovo materiale dove prendono vita , mescolati alla lingua attuale, frammenti della neonata lingua italiana – o meglio, la variante volgare al suo stato embrionale , elementi di lingua letteraria medioevale, reminiscenze di quel latino destinato a rimanere la lingua della cultura e della religione fino al XVII secolo, attingendo al dinamismo lessicale che l’italiano ha accumulato nei secoli.

Senza soluzione di continuità fra l’esperienza linguistica e le scelte personali, politiche ed esistenziali, tutto fluidifica e si integra sotto il segno di un’unica fondamentale esigenza, l’autenticità del comunicare servendosi a piene mani di un patrimonio nel quale identificare se stessa e in cui ognuno può identificarsi in un rapporto dinamico con le proprie dimensioni culturali .

Pur appartenendo alla nuova generazione dei poeti trentenni, non rinuncia alla più illustre tradizione, compresa quella novecentesca ( Il de profundis delle smancerie/che stilli a pochi grappoli per volta,/ che stilli a pochi grappoli per volta Ascolta. Piove. Ascolta. Piove. Ascolta./ Per una volta non mi scomparire/sulle nuvole, le nuvole sparse… declinando lirismo e una punta d’ironia, ricomponendo, tra varie interferenze letterarie ( It iurano neuno furto k’elli sapesse ke fusse, da k’elli sapesse, non comparare né far comparare, e neun furto k’elli sapesse ke fusse sanza paravola di questa compagnia.) la sua voce autobiografica (Devi soltanto donare tutti i tuoi beni all’abbazia, cedere fino all’ultima sostanza, sapendo bene che non riceverai niente in cambio. Conviene, è una saggia decisione lasciare le cose in mano a Raineiro, e iniziare a produrre l’oro dentro di te )

Produrre l’oro dentro di sé : quell’ oro alchemico, quella forza interiore che ripara le ferite ,la scossa del risveglio dopo il dolore antico, lo spiraglio per poter ricominciare. Una buona pratica preliminare, quella di attivare le energie più profonde per realizzare le più luminose aspirazioni .

Il recupero della dimensione pragmatica, burocratica della parola è evidente soprattutto nella seconda sezione, CORRENTE CALMO che agglutina numerose citazioni di atti notarili contenenti spartizioni, concessioni di beni e terreni ,atti matrimoniali.

(E vada questa lana e questo caso /ista lana et isto caso vadano/lana e caso, nella nave di Marco./

È tutto come si diceva dianzi:/questa lana che vale quattro stoie/e caso in cento, novanta, tre forme./

Mio padre deve botticelle due…/ (Certo che lo sapete già, ma ve lo dico come promemoria, faccio ego una ricordazione.) Tra impeti febbrili, aspre inquietudini e un “parlare esmesurato”, sembra sottolineare che ,in fondo ,tutta la nostra esistenza non è altro che un continuo pareggiare di conti , specie sull’accidentato terreno dei sentimenti( Sembrano soltanto frammenti di conti, dunque un testo di tipo pratico, come il primo documento europeo del genere, dal registro contabile di una compagnia di Firenze. Non fai diversamente quando metti me, la mia faccia, le mie siga, tutte, nel libro aperto del dare e dell’avere.)

Si segue il ritmo dei suoi pensieri passando da citazioni dantesche 🙁 (Se io fui del primo dubbio disvestita/delle sorrise parolette brevi te disveste per me la lingua madre; così ti porta l’un dei duri margini fuori di strada, in direzione opposta),ai ricordi di un amore perduto (com’era bello quando rimanevi/ e non sapevo più dove mi fossero /gli occhi, per guardarti . E le mani). La sua metrica si fonde con il ritmo della ‘vita quotidiana’ perché il gesto poetico nasce proprio da una promessa di suono, da una scansione ritmica che prende corpo prima di trascorrere nelle parole e imboccare la via della meraviglia.( A turno lo perlustri il piatto fondo/con quei fari di occhi, a volte intervieni/dall’alto con qualcosa di metallico/per rivoltare un guscio a lungo inciso/fra le macerie, in cerca del tresoro.)

Il tesoro è dunque un’esperienza di visione alimentata dall’interno perché richiama l’ascolto di sé per espandersi nel fitto della pagina:  potenza creativa della lingua poetica con cui Martini verbalizza la crisi del rapporto con il mondo, delle relazioni intersoggettive, delle condizioni comunicative ( Pensi di essere sulla Terra ma è un falso immaginare, e /lo vedresti se non avessi rimosso il trauma. Tu non sei/ in Terra, sì come credi, e il fuoco che si allontana dalla/ sua dimora contro la legge naturale non è mai sceso così/ velocemente come ora tu sali/ mentre qui non respiro più da un pezzo/ e mi vengono in mente paesaggi regolari di pale eoliche/ come penso che per noi il tresoro sia due cose diverse:/ io voglio l’aria fresca e dolce, tu dici che viene la bufera et altro.)

Rossella Nicolò

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Tresor

di Giulia Martini

Collana “Interno Libri”

N. 74

Interno Poesia Editore

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