«Non si può semplicemente dire di NO. Bisogna fare di NO. Bisogna dimostrarle le cose. Bisogna dimostrare che si fa sul serio. Bisogna dimostrare che una cosa non si fa facendone un’altra. Bisogna venire a una decisione. In un modo o nell’altro». Sono le parole proferite dal giovane Tarwater in uno dei passi più suggestivi de Il cielo dei violenti di Flannery O’Connor. Affermazioni forti, una presa di posizione netta che potrebbe pronunciare, seppur traslata in un’epoca e un contesto decisamente diverso, anche Teresa, la protagonista del nuovo romanzo di Giuliana Zeppegno, edito da TerraRossa Edizioni.
Teresa vive in un alloggio occupato, gestisce il Babel, fa parte della CNT ed è scomparsa da giorni, nessuno sa dove sia andata, cosa le sia successo, se questa sua sparizione sia frutto del suo volere o opera di qualche malintenzionato. Non ha lasciato detto niente, neppure a loro, Giulia, Andrés, David, gli amici fidati con cui condivide la maggior parte del tempo, i pochi di cui si fida. La sua ricerca si dipana dunque attraverso le parole di chi è rimasto, intercalando i flashback a una quotidianità che procede per continua rievocazione.
Occhi fieri, capelli “da bailadora flamenca”, una fortezza di modi schivi e diffidenza, eretta a protezione di un’anima fragile, fin troppo umana. È questo il ritratto che prende vita attraverso i racconti degli aneddoti di Giulia, Andrés, David.
Giulia è una italiana di 34 anni trapiantata a Madrid, una donna in conflitto tra l’euforia dell’attivismo, il nuovo progetto di una vita in cooperativa è un episodio di violenza di genere che minaccia di far crollare il suo castello di buoni propositi. Andres invece è spagnolo di origine, anche lui trentaquattrenne, librario punk socialmente impegnato, aspetta paziente l’esplosione della protesta perché una rivoluzione collettiva è tutto ciò in cui crede di più. E poi c’è David, anche lui di organi spagnole, tornato di recente dal Perù dove aveva svolto un dottorato di ricerca in antropologia, preso parte a lotte di difesa del territorio e, ora che si ritrova nuovamente per le strade della sua città natale, fatica a riconoscerla.
Il fil rouge che lega le quattro anime del romanzo è dunque palese: tutti quanti sono attivisti, tutti hanno dedicato e stanno tutt’ora investendo una parte importante della loro esistenza in un progetto sociale e civile collettivo, democratico e libertario, che trascende il benessere del singolo individuo.
La Spagna urbana e degradata, tra il 2011 e il 2014, è lo scenario in cui prende vita questo “noi”, con i suoi edifici abbandonati e le periferie cupe, non è un semplice contesto, ma una presenza tangibile che amplifica il sentimento di lotta e disperazione. Le strade occupate e gli angoli dimenticati, trasudano odori e rumori intrisi di rabbia, richiamando le atmosfere di scenari post apocalittici ben lontani dalle cartoline turistiche a cui siamo abituati a pensare. La Madrid, descritta dall’autrice (dove ha svolto un postdottorato in teoria della letteratura e tuttora risiede) è una città che si perde nelle sue appendici dismesse, ecomostri cementificati sulle carcasse di una periferia moribonda lasciata in preda ai voleri di multinazionali prive di scrupoli.
Sentirsi completamente allo sbando, storditi, disorientati ma anche, appunto, indignati, e perciò ribellarsi, portare la protesta allo scontro fisico, in un contesto del genere, con tali prospettive sbattute sul tavolo dell’esistenza, appare dunque l’unica soluzione possibile per non perire all’apatia di una resa identitaria e sociale.
Senza preoccuparsi troppo di dover strizzare l’occhio ad un singolo genere, la forza del romanzo della Zeppegno risiede proprio nella sua capacità di coniugare la lotta collettiva con l’introspezione personale, mantenendo al suo interno una forte e costante componente di denuncia.
Al pari di chi sostiene che ogni atto creativo è anche un atto politico, L’indignata si rivela quindi nella sua duplice potenza: la storia di Teresa, Giulia, Andrés, David potrebbe essere la storia di qualsiasi trentenne che, mai come oggi, si ritrova catapultato in un contesto metropolitano in cui fatica a riconoscersi e sentirsi accettato. Un’arena di belve alimentata da una perenne competitività capitalista, minuziosamente strutturata al fine di sfinire e sminuire ogni risorsa presente al suo interno, smorzandone di conseguenza il grido di protesta di fronte alle ingiustizie di un sistema sempre più castrante.
In questo scenario di colori notturni e sfacciati, la prosa della Zeppegno è abile nel caricarsi di dettagli vivi e concreti di chi, tra i fumogeni delle piazze, non si è limitata a passare fugacemente ma vi ha trascorso un pezzo importante d’esistenza. Le strade sono animate, i profumi intensi, gli interni saturi di dettagli, i dialoghi sempre credibili e tremendamente realistici contribuiscono a rendere L’indignata un affresco sociale di profonda attualità, garantendone al tempo stesso l’ammaliante fruibilità di un noir metropolitano.
Se la letteratura è il luogo ideale per porsi domande scomode, indagando il confine tra libertà individuale e collettiva, Giuliana Zeppegno vince due volte: sul fronte letterario e su quello identitario. L’indignata è una storia scomoda, impattante e importante. Un lavoro di ricerca certosina (si veda anche l’ampio riferimento alle terminologie poste in appendice) che unisce tecnica, cuore e pugni alzati, per dar vita a un manifesto generazionale destabilizzante, commovente, necessario.
Stefano Bonazzi
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L’indignata
Giuliana Zeppegno
TerraRossa Edizioni
17,00 euro — 256 pagine