La Russia è il subconscio dell’Occidente.
È il luogo del desiderio, dove tutti i sogni, le inconfessabili aspirazioni e le paure più atroci trovano luogo e carne e storia.
Quando la nostra Europa sognava una società più equa, più giusta, i russi l’hanno fatta.
Quando si predicava il sacrificio per un bene comune, dare la vita per fermare il nemico, i nazisti, i russi sono morti in sei milioni e hanno vinto.
Quando si pensava al capitalismo più sfrenato, alla ricerca del guadagno senza nessun freno, la scalata sociale più ardita, i russi lo hanno messo in pratica nella sua forma più crudele e radicale.
Come ogni sogno che diventa reale, la Russia ha conosciuto la sua degenerazione: il delirio.
Giuliano da Empoli, nel suo Il mago del Cremlino, edito da Mondadori, prova a fare chiarezza con l’arma del racconto. La sua è una illustrazione dettagliata di ciò che è avvenuto, socialmente e politicamente, in Russia dal crollo del Muro fino a oggi. Il declino di Boris El’cin, l’affermazione del capitalismo selvaggio, il delirio in cui la società russa era sprofondata con gli oligarchi al potere, ognuno provvisto di un esercito proprio.
L’autore ci racconta minuziosamente l’ascesa dei nuovi ricchi, la nascita della televisione pubblica che si ribellava con il kitsch più ostentato a decenni di grigiore statale. In questo modo prepara il terreno perché ci sia chiaro, finalmente, da dove viene Putin, chi è, cosa faceva e perché è diventato l’uomo di cui tutti parlano.
Lo fa attraverso Vadim Baranov, un uomo di teatro che passa dall’inventare reality show alla politica, scalando posizioni fino a diventare il consigliere di Putin.
È un uomo segreto, Baranov, oscuro, esiliato. Ama i libri, raramente si espone.
In questa sua lunga confessione il mago del Cremlino ricostruisce gli ultimi trent’anni di storia facendo i nomi, illustrando gli scenari e spiegando, al suo interlocutore e a noi, come tutto sia cambiato e come siamo arrivati alla guerra in Ucraina.
Il racconto di Baranov è principalmente il conflitto di un uomo la cui formazione, i cui riferimenti culturali ed esistenziali, appartengono a un mondo superato.
«Noi» spiega «con le nostre letture americane e i nostri agganci berlinesi, ci sentivamo l’avanguardia del movimento, mentre eravamo solo gli ultimi epigoni di una stella morta, quella dei nostri genitori, che tanto avevamo disprezzato per la loro pavidità, ma che pure ci avevano trasmesso lo stigma della passione per i libri, per le idee e per le interminabili discussioni sugli uni e sulle altre…»
In questo modo Baranov illustra chi era: un uomo teorico in una società pratica. Se voleva contare, se voleva fare soldi, fare strada, doveva lasciarsi alle spalle i vecchi schemi culturali e quei punti di riferimento che lo stavano rallentando.
«Tutte le altre istituzioni erano crollate» racconta, «stava alla televisione indicare la via. Abbiamo preso le macerie del vecchio sistema, i caseggiati di provincia e le guglie dei grattacieli di Stalin, e ne abbiamo fatto le quinte dei nostri reality show…»
Baranov capisce che la televisione è una officina necessaria, più che per guidare, per capire la nuova società. Quali sono i suoi sogni, i bisogni, quali i miti che ancora vagheggia. La fine di El’cin rischia di portare allo scompiglio. Si avverte la necessità di un uomo nuovo, che non essendo mai stato in politica non è attaccabile, né assimilabile ai vizi e al decadimento della vecchia classe dirigente che l’opinione pubblica disprezza. Serve un uomo d’azione, probo, che incarni la forza e l’ordine a cui molti russi aspirano.
Putin diventa quell’uomo, solo che una volta scelto non si lascerà guidare. Da Empoli ci racconta il profilo di un capo cresciuto nel controspionaggio, che ha fatto della paranoia la sua regola di vita.
Un uomo che non si concede svaghi, che non mostra punti deboli, ma che è anche capace di riportare la Russia al centro del dibattito e della politica internazionale.
«I russi non sono e non saranno mai come gli americani» dice Baranov, «non gli basta mettere da parte i soldi per comprarsi la lavastoviglie. Vogliono far parte di qualcosa di unico. Sono pronti a sacrificarsi per questo. Ecco perché noi abbiamo il dovere di restituirgli una prospettiva che vada oltre la prossima rata dell’automobile.»
Il rimedio, quel qualcosa di unico cui i russi aspirano sarà la “Democrazia sovrana” quel regime moderno, mutaforma, che non conosce la granitica immobilità degli apparati sovietici e che anzi si nasconde, cambia e concilia.
Kasparov, il grande scacchista, dirà che la Democrazia sovrana sta alla Democrazia come la sedia elettrica sta alla sedia.
Interessante è l’episodio in cui Baranov invita al Cremlino tutti, uno alla volta: il capo dei Biker; il leader degli Ultras dello Spartak Mosca; il frontman di una delle band più popolari del paese; gli skinhead e i comunisti radicali; i fanatici religiosi e il guru della rinascita ortodossa. Li mette tutti al servizio della causa, del paese. Lascia fuori gli intellettuali, i progressisti e tutti quelli che rappresentavano la ragionevolezza di un mondo superato dalla barbarie.
Volevano uomini elettrizzanti, li avevano scelti per quello. Nessuna ideologia guida il nuovo Zar, solo il controllo e il potere esercitato con ogni mezzo.
La Russia e il suo splendore sono la nuova ideologia.
Pierangelo Consoli
Recensione al libro Il mago del Cremlino di Giuliano da Empoli, Mondadori 2022, pagg. 240, €19,00