Benvenuto su Satisfiction   Click to listen highlighted text! Benvenuto su Satisfiction

Giuliano Pavone anteprima. Per diventare Eduardo

Home / Anteprime / Giuliano Pavone anteprima. Per diventare Eduardo

In occasione dei quarant’anni dalla morte di Eduardo De Filippo, il 31 ottobre, Laurana Editore manda in libreria Per diventare Eduardo, opera di Giuliano Pavone, studioso della figura del grande uomo di teatro napoletano. Il testo – che vede protagonista lo stesso autore, in viaggio nel 1982 verso Roma per intervistare De Filippo – riporta reali dichiarazioni del creatore di Natale in casa Cupiello e di Non ti pago!, ridando vita alla sua fondamentale lezione, oggi più che mai attuale. Un romanzo di formazione, dunque, che diventa allo stesso tempo un imponente omaggio, che appassiona con la sua storia di un sedicenne tarantino, figlio di un operaio dell’Italsider, che va a Roma per una settimana grazie a una borsa di studio, dove incontrerà uno dei giganti del teatro.

#

Aprii, e la stanza si riempì di un sole limpido. Mi girai emozionato verso quel volto, finalmente in piena luce: lo vedevo

per la prima volta, ma lo conoscevo bene, come tutti. Ne rica­vai un’impressione ambigua, di familiarità e insieme di miste­ro. Era increspato da un manto di rughe, ondulato dai vuoti della magrezza e dai pieni delle ossa. Era fermo e insieme in movimento, come il mare.

I baffetti, candidi, perfettamente in ordine. I capelli, altrettanto bianchi, solo un po’ scompigliati. Poi, quel dettaglio inquietante: una delle lenti degli occhiali opaca, completamente nera.

Abbozzai un sorriso. Lui, invece, rimase serio. Con il suo unico occhio visibile mi osservava severo.

“Vieni qua, fatti vedere”.

Mi avvicinai, gli fui davanti. Mi fece cenno di abbassarmi. Mi abbassai e lui mi bloccò il mento con una mano. Prese a scrutarmi, l’occhio acceso da un fuoco indagatore. Io sentivo l’odore della sua mano, un po’ di naftalina e un po’ di dopobarba, e restavo fermo, irretito da quello sguardo. Più che la mano sul mento, era lo sguardo a tenermi inchiodato in quella posizione. E lo sguardo era un tutt’uno con il silenzio che ci avvolgeva. Un silenzio solido, che non era solo assenza di rumore ma rumore assordante esso stesso. Un silenzio che lui sembrava governare a proprio piacimento.

Poi, finalmente: “E quindi tu sei il figlio di Michele”.

“Sì”.

Altro silenzio, ancora uno sguardo sospettoso.

“Non gli somigli”.

“In effetti ho preso più dalla famiglia di mia madre”.

“Ah. E come hai detto che ti chiami?”

Non l’avevo ancora detto. “Franco”, risposi.

“Bene. E sei franco?”

“Come?”, domandai confuso.

“Dico, sei franco? Cioè, sei sincero?”

“Ah… Be’, sì, o almeno ci provo” e pensai a quando gli avevo detto che non era vecchio.

“E quanti anni tieni?”

“Sedici”.

“Sedici”, ripeté lui. Io intanto non riuscivo a sottrarmi all’esame di quell’occhio.

“Come sta papà?”

“Bene”, risposi in automatico. Correggendomi però subito dopo: “In realtà non tanto bene. Ha un po’ di affanno e si stanca subito”.

“Eh, sì, me l’ha scritto”, il suo tono si ammorbidì. “Biso­gna avere molta pazienza e molta forza. E tuo papà ce l’ha tutte e due, la pazienza e la forza. Poi me lo saluti, eh?”

“Certo, Signor De Filippo”.

Si bloccò, frustandomi con lo sguardo. “Come mi hai chiamato?”

“Signor De Filippo?”, ripetei a voce più bassa, chiedendo­mi dove avessi sbagliato. Forse avrei dovuto chiamarlo dottore? Eppure, non era laureato. Cioè, se non ricordavo male, gli avevano dato delle lauree honoris causa, ma valevano anche quelle?

“Nessuno mi chiama così”.

“Ah!”, venni colto da un’illuminazione. Me l’aveva detto, mio padre, di rivolgermi a lui in quel modo, però mi era sem­brato esagerato. “Certo, maestro”.

“No, no, per carità”, sorrise oscillando la mano aperta.

Si era schermito con modestia. Ma non mi aiutava. Aspettava che fossi io a trovare il modo giusto per chiamarlo. Capii che mi stava di nuovo mettendo alla prova. A quanto pareva gli esami non finivano mai, quel giorno.

Cercai di mantenere la calma e di pensare con lucidità. Mi venne in mente il modo in cui a Taranto – e in tutto il Sud, credevo – si mostrava rispetto alle persone più anziane e carismatiche.

“Don Eduardo”.

“Don Eduardo…” Mi guardò arcigno. “Non sono né un prete né un camorrista”, sibilò lentamente. Poi, con voce impostata: “E non sono neanche Antonio Barracano”.

E chi è, mo’, ’sto Antonio Barracano?, mi chiesi, sempre più smarrito. Provai a concentrarmi su quello che sapevo di Eduardo De Filippo, sperando di trovare uno spunto utile per cavarmi d’impaccio. Ma cosa sapevo davvero di lui?

Naturalmente, lo conoscevo. Tutti lo conoscevano. Ma, appunto, sapevo di lui quello che sapevano tutti. Forse giusto qualcosa in più, considerando la venerazione nutrita da mio padre: Natale in casa Cupiello, visto in tv qualche anno prima, quando ero poco più di un bambino, il titolo di qualche altra opera che papà amava citare, alcune frasi celebri orecchiate qua e là…

Mi tornò in mente la candida domanda di Carmela: “Che gli devi dire?”

Ecco, appunto, che gli dovevo dire? E, prima ancora, come lo dovevo chiamare?

Prima di partire, mio padre mi aveva affidato alcuni libri in cui erano raccolti i copioni di diverse sue commedie. Avevo cercato di leggerli il più possibile durante il viaggio, per arrivare preparato. Ma un affollato scompartimento di seconda su un Taranto-Roma nei primi anni Ottanta non era il luogo ideale per poter studiare con profitto. Però sì, una cosa la ri­cordavo, l’avevo letta nelle note biografiche: l’anno preceden­te, Pertini l’aveva nominato senatore a vita. Ma certo, era così che voleva essere chiamato!

Quella rivelazione mi restituì sicurezza. Lui colse il mio cambio di espressione e si mise in attesa.

“Chiedo scusa…”, pausa a effetto, “… Senatore”.

Lui soffiò una risatina chioccia. “Ma no, ma no!”, ancora quel gesto con la mano aperta.

“Ma come, allora?”, sbottai. “Come vi devo chiamare?”

“Chiamami solo Eduardo”, rispose mansueto. “Ci ho messo una vita per diventare Eduardo”.

Poi con una mano sfiorò la mia. “Avanti, mettiamoci al lavoro”.

Click to listen highlighted text!