“Se mio figlio si fosse fatto prete, cosa che conoscendolo mi avrebbe stupita, sarei andata a messa tutte le domeniche”
ADA TIBALDI, madre di Walter Alasia.
Questa intestazione apre il nuovo romanzo di Giuseppe Culicchia “La bambina che non doveva piangere” (Mondadori, 2023 pp. 228 € 18.00) in uscita nelle librerie il 7 febbraio. La storia si svolge intorno alla figura emblematica di Ada Tibaldi, zia dell’autore e madre del brigatista rosso Walter Alasia, ucciso dalla polizia nel 1976. Il libro è un affresco epocale denso di nostalgia e di emozioni, abbraccia la spietatezza del terrorismo armato degli anni settanta e ottanta, affronta la confessione catartica della memoria biografica. Giuseppe Culicchia riempie la sua opera narrativa di una ricostruzione documentata e personale, riesuma dai sotterranei impalpabili dei ricordi la limpidezza immediata della sua infanzia, conferma la dolcezza e la meraviglia degli affetti più cari, conserva il tempo intatto della tenerezza e dell’innocenza, interpreta la traccia estrema del dolore. L’autore dona al lettore il privilegio di condividere la serenità e l’entusiasmo della sua giovinezza, ma anche di riflettere sul disumano e criminale contesto degli anni descritti.
Il profilo colloquiale fotografa l’intreccio ispiratore dello scenario politico dell’epoca, ritrae il carattere buono degli affetti familiari con la natura inquieta e destabilizzante dei frammenti di un’ideologia estrema e distorta, nella lucida percezione della realtà e del periodo più oscuro e tormentato della nostra storia. “La bambina che non doveva piangere” è proprio Ada, che, nata con il labbro leporino, dopo l’operazione non può e non deve piangere, per far sì che la ferita, procurata dall’intervento, possa cicatrizzarsi. Il libro risponde con doverosa autenticità alla ricostruzione della vita di Ada attraverso i suoi conflitti e le sue lotte, la suggestione di uno sguardo intenso e malinconico sulle occasioni e le circostanze vissute per incoraggiare la propria emancipazione. Ada combatte quotidianamente e continuamente contro gli ostacoli e il disagio delle difficoltà, rivendica l’appassionata e coraggiosa aspirazione sociale. Tutta la sua battaglia si misura nella complicità accanto al figlio Walter fino alla sua morte. Giuseppe Culicchia rivolge alla zia Ada l’attenzione di una destinazione amorevole, riconosce la scrupolosa assistenza della testimonianza lungo l’argine delle parole piene di profonda devozione e amore. La scrittura di Giuseppe Culicchia si nutre dell’insegnamento sentimentale e della lezione cinica e realistica per manifestare l’efficacia letteraria dei contrasti, dall’amarezza alla gioia. Mantiene l’oggettività e l’equilibro espressivo, delinea il recupero della partecipazione emotiva, il vincolo che coinvolge i personaggi, la struggente e crudele illusione generazionale. La figura di Ada oltrepassa la complessa risonanza sensibile del suo destino, realizza l’esigenza e l’urgenza di recuperare le immagini significative del suo disarmante percorso e riprendere il filo interrotto di ogni esempio rivoluzionario nell’atteso rispetto della carismatica esistenza, nella lucidità resistente e commovente di ogni lacrima.
Rita Bompadre
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“Quei pochi metri quadri si riempiono di fumo e dell’aroma del caffè, ma non solo. La pienezza che sento è quella che prova un bambino nell’istante in cui è sicuro di essere amato e non sa che un giorno le persone a lui care non ci saranno più se non nei suoi ricordi. Allora guarderà ancora una volta le foto scattate da uno zio, si chiederà perché tutto sia passato troppo in fretta, maledirà il tempo che porta via ogni cosa con sé, senza che lo si possa fermare lì, proprio in quell’istante, di cui resta solo un’immagine, e con essa l’eco sempre più lontana e tuttavia indimenticabile delle voci, e il colore degli occhi, il calore delle mani, un certo modo di camminare, ridere, abbracciarsi, stare assieme, un lampo irripetibile di felicità.”