Ci sono libri che non abbandonerai, che avrai voglia di rileggere, di tenere sul tavolo da lavoro per sfogliarne le pagine e ritrovare quel piacere, quella sorpresa scattati in prima lettura; sono i libri nei quali realizzi il piacere di considerare una città non soltanto un intrico di strade piazze bar ristoranti e stazioni del metrò, ma una rete a volte segreta di collegamenti con autori, pittori, compositori, uomini donne che hai ammirato e amato e che vorresti ritrovare nei loro passi perduti.
Quante volte una targa sbiadita mi ha accelerato i battiti del cuore perché dietro quelle finestre oggi anonime viveva qualcuno che ha rappresentato tanto, forse mi ha aperto un mondo. Mi è capitato a Londra, uscendo da Portobello e alzando gli occhi su una palazzina grigia, modesta, leggere che lì scriveva Orwell, a Mentone trovare la villetta di Katherine Mansfield, a San Pietroburgo apprendere che Anna Achmatova aveva passato i suoi ultimi giorni in una stanza non lontana dai saloni del Museo dove erano esposte le mie opere.
Giuseppe Scaraffia è lo scrittore capace di esaminare vite e vicende umane attraverso strade e città e darci riferimenti, raccontarci, rendere attuale quel che il tempo e l’incuria umana vorrebbero cancellare. Ha scelto Parigi, e mai Parigi è stata indagata, sezionata, percorsa con altrettanto amore, e con amore lo leggo perché attraverso molti dei personaggi o dei luoghi da lui descritti ritrovo la mia vita passata e presente accanto a un uomo che della cultura francese aveva fatto la propria cultura.
Scaraffia ha il dono del racconto veloce, essenziale diretto come se tutto avvenga in quel momento e sotto i suoi occhi, il suo lavoro è indescrivibile perché mai tante notizie, cronache, pettegolezzi e frammenti di storia sono stati strappati al silenzio e tornano a vibrare come gli amori, le passioni, illusioni e delusioni, vizi, virtù dei protagonisti reali di questa saga che ormai è quasi leggenda.
Parigi oggi sembra sopita, le sue strade piazze, gli alberghi, i ritrovi esistono ancora, ma non i personaggi, una folla anonima percorre i boulevard, intorno si aprono i nuovi quartieri ma sono questi splendidi fantasmi a dare ancora una patina dorata alla città che la globalizzazione ha uniformato a tante e differenti capitali del mondo, e lo scrittore ce li riporta in vita, sempre nei momenti essenziali, che li hanno caratterizzati o resi eterni. Non gli sfugge nulla: gli oggetti che si sono portati nelle stanze descritte, l’oppio che hanno consumato, gli amori. Un lavoro monumentale, basato su memorie, cose dette o scritte sempre comunque terribilmente vere; ha ritrovato epistolari, articoli di giornali, diari.
Con amore ha sezionato la città per affidare a ogni arrondissement la strada, l’angolo, l’hotel o l’appartamento e lì ha fatto rivivere questi fantasmi eletti che tuttora popolano il nostro immaginario: Colette in rue de Beaujolais al n° 9. Aveva scoperto gli ammezzati dal basso soffitto dove le dame si ritiravano, dal Palazzo Reale, soltanto per fare l’amore. Walter Benjamin che le fa visita è stupito dalla dimensione di quelle piccole stanze e Colette ne svela la funzione.
Al n° 15, in un piccolo hotel, passeranno Zweig, Malraux e Jean Cocteau. André Malraux vi raggiungeva Josette Clotis e facevano l’amore, tristi amori vorrei aggiungere. Ho conosciuto Malraux, andavo a sciare con i suoi due figli, Vincent e Gauthier, saprò poi di una sua grande amicizia con l’uomo che avrei scelto come compagno; non mi sono mai sufficientemente stupita delle coincidenze, dei misteriosi legami che ci portano a coincidere pur attraverso vicende e storie differenti.
Al bar del Ritz in rue Cambon ha sostato tante volte, Scaraffia descrive gli illustri visitors: Fitzgerald e Thomas Wolfe, li avrebbe raggiunti Hemingway che, al tempo, poteva frequentare il Ritz soltanto se invitato…
Anche Lawrence d’Arabia arriva a Parigi, nel 1919, scende al Continental, oggi InterContinental, accompagna re Faysal e lo sostiene contro la chiusura delle potenti nazioni straniere, contro Clemenceau.
Malaparte e Orwell, Harry Crosby e Paul Eluard, il bar Gaya dove sostano il Principe di Galles, Arthur Rubinstein, Djagilev e Picasso, Fernand Léger, Misia, René Clair, Radiguet, Jean Cocteau. Di tutti un cenno, un aneddoto, un ricordo che li fisserà per sempre in quel luogo e in quell’attimo. Questa la straordinaria capacità dell’autore, non si limita a un elenco, a una ricerca sterile di chi e quando, ma allarga il racconto alle circostanze sociali o storiche che possono rendere importanti quel luogo e quel momento. Di molti riesce a darci immagini, ritratti poco noti, come James Joyce appoggiato alla canna da passeggio o Hemingway con il basco nero, Simenon che siede con Joséphine Baker, Celine, Louis-Ferdinand che ci guarda ironico e cinico dentro al suo paletot a spighe… Drieu de la Rochelle e Olesia, Drieu e Victoria Ocampo, Olesia e Lacan, le coppie si uniscono, si sciolgono, si ritrovano forse anche con dolore, ma quel che resta è la leggerezza di quel vivere, sopra le convenzioni, sopra la pigrizia dell’anima. Importante è la vita.
Proust, Radiguet, al 7 di rue de Berri, Erich Maria Remarque e Marlene Dietrich, una storia d’amore complicata dal fatto che lei amasse le donne, ma non impossibile in quanto i due avevano trovato un modo di appartenersi. Un giorno entreranno da lei, scortati da SS, due gerarchi nazisti, Marlene dovrà chiudere Erich Maria in bagno e farlo uscire soltanto quando se ne saranno andati. Cinicamente la Dietrich commenterà che i nazi avevano imprigionato i sarti ebrei per farsi finalmente cucire finalmente bene i loro “costumi”.
Tristan Tzara, Rainer Maria Rilke, André Gide, il primo e l’ultimo grandi amici di Giancarlo, ne conservo fotografie e documenti inediti, li ritrovo qui e la bravura dello scrittore li fa rivivere in vicende poco note evitando la sterile elencazione.
Mauriac, Liane de Pougy, Marie-Laure de Noaille, ma anche Jean Paul Sarte e Roger Caillois, che ho conosciuto entrambi a Roma e rivisto a Parigi ancora città di scrittori, di pittori, di liberi pensatori che da tutto il mondo sapevano che in quella città avrebbero trovato l’humus, e insieme la libertà di esprimersi e di esistere.
Scaraffia scrive un romanzo epico, pieno di nostalgia pur nella precisione assoluta in cui registra fatti e vite, estremamente poetico nel rincorrere attraverso quartieri e strade la storia di un’epoca irripetibile. Riesce a darcene un ritratto a tutto campo, riesce a ricordarci come vestivano, come sorseggiavano i loro drink, dove sedevano per discutere d’arte o di poesia. Riesce a restituire fisicità e presenza a questi splendidi fantasmi che convenivano a Parigi per consumare gli ultimi bagliori di un secolo, forse il più crudele, ma anche più fecondo di quelli a venire.
Carla Tolomeo Vigorelli
Recensione al libro L’altra metà di Parigi. La Rive Droite di Giuseppe Scaraffia, Bompiani, 2019, pagg. 416, euro 32.