Per parlare di questo notevole “A Manchester con gli Smiths – un walkabout musicale” di Giuseppina Borghese (Perrone Editore, 2023, pp 120, € 15), partiamo da una spiegazione coincisa dell’anglismo contenuto nel sottotitolo.
In ambito antropologico, con il termine walkabout ci si riferisce ai lunghi viaggi rituali che gli aborigeni australiani erano soliti affrontare, con una cadenza non prefissata, addentrandosi a piedi nelle sconfinate praterie australiane per avere contatti tra loro e scambiarsi risorse di natura sia materiale che spirituale. Con il passare del tempo, come spesso succede con certi lemmi di origine settoriale, il significato ha subito uno “slittamento” che, al giorno d’oggi, in senso piuttosto generico, suggerisce l’abbandono di una propria stanzialità logistica e interiore per andare alla ricerca (altrove) di un proprio equilibrio e delle proprie vere radici.
Ed è esattamente quello che accade all’autrice del libro, la quale, iniziata al “culto” degli Smiths durante il primo anno di università da un ragazzo che le regala una copia del capolavoro The Queen is dead, e dopo aver fortunosamente (beata lei!) incontrato il frontman della band nel corso di un breve soggiorno romano, a distanza di qualche tempo decide di intraprendere dei viaggi nella città che ha dato loro i natali. Viaggi che, fin dal primo, si caratterizzano non soltanto per essere le ormai classiche peregrinazioni di una fan incallita nei luoghi in cui la leggenda dei propri eroi ha preso forma e -nel caso degli Smiths con ancora più forza- si è sostanziata, ma assumono i connotati di un’intensa esperienza sentimentale che si risolve, verrebbe da dire, in una sorta di riappropriazione di una propria individualità in qualche modo sopita. Ed è proprio nella duplicità di “intenzioni” che queste pagine si illuminano quando le sfogli: da una parte, infatti, la Borghese ci porta a spasso nei posti così cari agli “shoplifters” smithsiani raccontandoli con la dovizia di particolari e di aneddotica che si conviene ad un’opera-omaggio di ispirazione musicale, trasformando quindi il suo testo in una “guida” da non perdere per tutti gli iniziati all’arte della band mancuniana; dall’altra, con uno stile sempre molto peculiare, riesce a traslare il piano della narrazione in una sfera decisamente privata, raccontandoci (con garbo, e non è poco) di sé e delle proprie esperienze in qualche modo influenzate, se non proprio “generate”, dall’amore incondizionato per Morrisey e soci. Piace poi sottolineare come, nonostante la brevità del testo e il dover assolvere ai molteplici temi interpretativi che l’argomento pone (la necessità di soffermarsi sugli snodi fondamentali della parabola di una delle più influenti formazioni dell’ultimo mezzo secolo a sette note, l’esegesi di alcuni loro ormai fondamentali testi, la coincisa ma non per questo obliabile analisi dell’immensa eredità da loro lasciata), la Borghese abbia trovato il modo di fornire una breve “panoramica” su altri gruppi che, insieme agli Smiths, hanno contribuito, a cavallo tra la fine degli anni Settanta e la prima metà degli anni Novanta, a trasformare Manchester in una della capitali per eccellenza della musica moderna. Ecco, quindi, brevi flash su The Fall, Durutti Column, Joy Division, New Order e Oasis (ma anche sul mitico locale Haçienda), che rappresentano un agile “bignami” per i già addentro alla “materia” e un ragionato invito allo “studio” per chi invece non ne ha una decente cognizione. Non mancano, infine, anche alcune rapide ma non per queste poco dettagliate digressioni di carattere storico sulla città, utili per venire a conoscenza di una serie di accadimenti e circostanze che l’hanno resa quel posto unico al mondo che tutti noi, almeno per sentito dire, sappiamo essere.
Insomma, consigliatissimo!