In libreria l’ultimo romanzo di Richard Zimler, “Gli anagrammi di Varsavia”, (ed. Piemme, pp.406, euro 17,50).
Gli ingranaggi del genere giallo sono l’espediente per ricordare le tragiche storie del ghetto della capitale polacca nel 1941, nel periodo in cui gli ebrei venivano ancora “solamente” isolati e non ancora deportati.
Il protagonista è lo psichiatra Erik Cohen, che abita nel quartiere/prigione con la nipote e il figlioletto di lei, Adam, di nove anni. Quando un giorno viene ritrovato il piccolo corpo senza vita di Adam, ucciso e mutilato di una gamba, Erik decide di muoversi alla ricerca del suo assassino. Che intanto miete anche un’altra vittima, Anna, una ragazza che pare avesse una storia d’amore con un cristiano al di là dal muro del ghetto, ritrovata morta e senza una mano.
La voce narrante è quella dello stesso Erik; una voce oggettiva e quasi fredda, come se i fatti venissero visti da lontano, o da uno stato spirituale di pace. Ed è in effetti così, perché l’Erik narratore è il fantasma del protagonista della storia, che tramanda i suoi ricordi a un gentile anziano del ghetto, forse l’unico tra i vivi che riesce a vederlo.
(Andrea Bressa, Panorama.it, 25-1-2012)
