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Gli anni Cinquanta

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La prima volta che sono andato al cinema fu a Padova, era il 1965.

Avevo poco più di tre anni e mamma e papà mi portarono a vedere Mary Poppins di Walt Disney.

Da allora ci sarei tornato molte volte.

Penso che non mi stancherò mai di andare al cinema.

Dicono che il primo lungometraggio sia stato Nascita di una Nazione dell’americano David Griffith, uscito l’8 febbraio del 1915.

Sono passati più di cent’anni, sono usciti migliaia di film e si continua ad andare al cinema.

Ho voluto ricordare 260 titoli italiani e stranieri in ordine cronologico dedicando, al termine di ogni decade, un approfondimento a registi, attori o a particolari “filoni”.

Ovviamente sono scelte soggettive che non metteranno d’accordo tutti, ma l’importante è continuare ad andare al cinema.

Perché nessuno schermo televisivo saprà mai restituire la magia di un grande schermo che si illumina nel buio di una sala gremita di spettatori vocianti che improvvisamente si zittiscono, come davanti a un’apparizione divina.

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La decade per antonomasia del cinema americano e dei grandi “divi”.

 

Eva contro Eva di Joseph Mankiewicz (1950)

“Prendete il salvagente, stasera c’è aria di burrasca”. Bette Davis, Anne Baxter e una giovanissima Marylin Monroe scalano ai danni della “precedente” i gradini del successo in una straordinaria gara di perfidia e di arrivismo sotto lo sguardo ambiguo di George Sanders. Il primo grande film “femminista” che contrappose alla vecchia visione della femme seduttrice di Donne di Cukor quella più moderna della donna in carriera, e se la Monroe è già la Monroe, la chioma della Davis non è mai stata così malvagia e seducente.

 

Il viale del tramonto di Billy Wilder (1950)

La gloriosa diva del muto Gloria Swanson mette a nudo tutte le proprie frustrazioni in questo memorabile ritratto al vetriolo ove fanno la loro parte il giovane ed avvenente gigolo di William Holden e il grande Erich Von Stroheim nel ruolo dell’autista maggiordomo della diva. Indimenticabile l’inizio a flash back col corpo inanimato di Holden che galleggia nella significativamente decadente piscina in rovina del celebre Sunset. In un sondaggio di qualche anno fa i lettori di Ciak lo premiarono come il più bel film di sempre. Uno dei titoli a doppio significato più azzeccati della storia e la frase “Non sono io che sono finita è il cinema che è finito” rimane un Cult.

Cenerentola di Walt Disney (1950)

Per me è stato, insieme a Mary Poppins, il mito assoluto dell’infanzia, ma ancora oggi trovo che la scena in cui tutti gli animali cantando e ballando al ritmo di “i sogni son desideri” in versione velocizzata creano il vestito di Cenerentola per il ballo, sia tra le più belle sequenze di cinema di sempre, e non mi limito ai soli cartoni. Tra i tanti momenti memorabili di questa riuscita trasposizione della nota novella di Perrault si ricordano le fessure degli occhi al buio uguali di Lucifero e della matrigna e la visione della scala dal basso del povero Gas incaricato di portare la chiave della libertà fino all’ultimo piano della torre alla “povera cinerella” e che provoca al grassoccio topolino uno spassoso svenimento emotivo.

Un posto al sole di George Stevens (1951)

Dal romanzo Una tragedia americana di Theodore Dreiser, la drammatica storia dell’amore proibito del giovane ed arrivista George, Montgomery Clift, per la bellissima e viziata cugina Angela, Elizabeth Taylor, ai danni della più proletaria Alice, Shelley Winters, che ci rimette le penne, e per di più incinta di lui, nel corso di una mai del tutto chiarita gita sul lago. Il processo vedrà la condanna a morte di George ma la verità sarà sempre sospesa. Indimenticabile la scena finale quando Angela, i due attori non sono mai stati così belli, va a trovare il condannato in carcere, il quale, dopo averla vista in tutta la sua avvenenza, le dice “Ora so che sono colpevole”. Premio Oscar per la regia a Stevens e nomination per il miglior film.

Un Tram che si chiama desiderio di Elia Kazan (1951)

Dalla conturbante piece di Tennese Williams, nel ruolo della ninfomane Blanche, una straordinaria Vivian Leigh, dismessi i panni della capricciosa Rossella, si invaghisce del giovane cognato, Stanley Kowalski, icona sexy in canottiera di un irresistibile Marlon Brando, e sarà tragedia. Degna di nota anche la soffocante ambientazione quasi teatrale del tutto.

 

Mezzogiorno di fuoco di Fred Zinnemann (1952)

Fu il film che vide il debutto di Grace Kelly ma anche quello che creò il mito del Gary Cooper eroe western più “moderno” di John Wayne e che gli valse il secondo Oscar undici anni dopo Il sergente York. Questa sorta di Aspettando Godot sotto il cocente sole del vecchio West con la finale catarsi dell’eroe tutto di un pezzo pare frutto di un cinema mitologico che non tornerà mai più. Musica indimenticabile.

 

 

Da qui all’eternità di Robert Zinnemann (1953)

Lunghissimo e imperdibile movie a latere della guerra, che neppure si vede, tra soldati ed ufficiali in balia delle proprie ansie e frustrazioni. Cast stellare anche nei non protagonisti, basti pensare alla coppia cameo Montgomery Clift e Donna Reed, tra le tante scene cult ricordiamo il celebre amplesso sulla spiaggia tra la compassata e sposata Deborah Kerr ed il fustacchione Burt Lancaster, e la barbara uccisione del giovane soldatino Frank Sinatra da parte del malvagio caporale, superbamente reso da uno straordinario Ernest Borgnine. Splendida anche la colonna sonora.

Vacanze romane di William Wyler (1953)

Fu il film che lanciò contemporaneamente il mito di Audrey Hepburn e della lambretta, quella che usa il fascinoso Gregory Peck per condurre in giro per Roma la bella figlia di papà. La scena della bocca della verità nell’esterno della chiesa Santa Maria in Cosmedin è diventata leggenda, ne tentarono un improbabile remake Celentano e la Muti, ma si salvò solo Adolfo Celi, qui siamo su un altro pianeta.

 

 

La finestra sul cortile di Alfred Hitchcock (1954)

Per molti è ritenuto, insieme a La donna che visse due volte, il capolavoro di Hitchcock. Resta il fatto che il “guardone” obtorto collo di James Stewart accudito dall’algida Grace Kelly mentre risolve un caso di omicidio direttamente dalla poltrona di casa cui è relegato, è un’intuizione talmente geniale che poi in tanti avrebbero tentato di riprenderla senza fortuna. L’uxoricida è Raymond Burr futuro Perry Mason televisivo.

 

I Sette samurai di Akira Kurosawa (1954)

Il capolavoro assoluto del cinema orientale con il grande attore nipponico Toshiro Mifune. Ai tempi la pellicola, ambientata nell’Era Sengoku, fu una assoluta rivelazione perché dette la prova che esisteva anche un altro cinema kolossal oltre a quello di Hollywood, ma ancora oggi mantiene intatto tutto il suo nitore. Con oltre 300 milioni dell’epoca è stato per anni il più costoso film giapponese fino a Kagemusha dello stesso regista.

 

Il Segno di Venere di Dino Risi (1955)

Il manifesto della commedia all’italiana degli anni Cinquanta e che intorno al personaggio tragicomico della milanese Cesira trapiantata nella Roma pre dolce vita, una strepitosa Franca Valeri, schiera praticamente il meglio del cinema nostrano di allora tra cui Vittorio De Sica, Alberto Sordi, Peppino De Filippo, Raf Vallone, Sophia Loren, Virgino Riento, Tina Picca, Lia Gennari, Leopoldo Trieste e Maurizio Arena. Gag continue, dialoghi irresistibili e ritmo incalzante, ancora oggi è uno spaccato più efficace di tanti libri o documentari per capire come funzionava il cinema nostrano di quegli anni.

L’invasione degli ultracorpi di Don Siegel (1956)

Su pochi altri film di quel periodo sono stati versati così tanti fiumi di inchiostro per fornire ognuno la propria e sempre diversa interpretazione. A suo modo un prototipo di tutto quello che di fantascienza sarebbe venuto molti anni più tardi.

 

 

Il posto delle fragole di Ingmar Bergman (1957)

Il più bel film del grande regista svedese e per di più con la sua attrice cult Ingrid Thulin prima dell’avvento della più seventies Liv Ullman. Guardandolo si capisce perché l’onirico Fellini considerasse Bergman il suo collega preferito (e viceversa). Orso d’oro al Festival di Berlino, un film ancora oggi stupendo!

 

A qualcuno piace caldo di Billy Wilder (1959)

La più celebre commedia del dopoguerra con alcune gag rimaste storiche nell’improbabile vicenda dei due suonatori Jazz ricercati che si rifugiano mascherandosi da donna in una troupe di femminucce in turné. Le leggendarie interpretazioni della coppia Jack Lemmon e Tony Curtis si completano a meraviglia con una Monroe in assoluto stato di grazia e dalla vis comica mozzafiato, forse mai così brava oltre che bella. La frase finale “Nessuno è perfetto” è diventato per anni lo slogan dei travestiti di tutto il mondo e l’albergo di Miami sul mare è in realtà l’Hotel Coronado di San Diego.

Un dollaro d’onore di Howard Hawks (1959)

Unanimemente considerato il miglior western di sempre anche per la leggendaria coppia John Wayne e Dean Martin al loro Zenith interpretativo. Chiunque non lo avesse visto corra a procurarselo perchè nel suo genere più che un cult è un must, per parlare con slogan. Film strepitoso ancora oggi, anche per la straordinaria atmosfera di divisione tra buoni e cattivi di una America pesantemente condizionata dal Maccartismo dell’epoca.

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