La prima volta che sono andato al cinema fu a Padova, era il 1965.
Avevo poco più di tre anni e mamma e papà mi portarono a vedere Mary Poppins di Walt Disney.
Da allora ci sarei tornato molte volte.
Penso che non mi stancherò mai di andare al cinema.
Dicono che il primo lungometraggio sia stato Nascita di una Nazione dell’americano David Griffith, uscito l’8 febbraio del 1915.
Sono passati più di cent’anni, sono usciti migliaia di film e si continua ad andare al cinema.
Ho voluto ricordare 260 titoli italiani e stranieri in ordine cronologico dedicando, al termine di ogni decade, un approfondimento a registi, attori o a particolari “filoni”.
Ovviamente sono scelte soggettive che non metteranno d’accordo tutti, ma l’importante è continuare ad andare al cinema.
Perché nessuno schermo televisivo saprà mai restituire la magia di un grande schermo che si illumina nel buio di una sala gremita di spettatori vocianti che improvvisamente si zittiscono, come davanti a un’apparizione divina.
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Il cinema del terzo millennio si apre con Il gladiatore e prosegue con le grandi produzioni di fantasy come Il Signore degli Anelli e Harry Potter.
Cover Boy di Carmine Amoroso (2006)
Sottotitolato L’ultima rivoluzione e girato con pochi mezzi, è un amaro ritratto al vetriolo della “città da bere” e del cinico mondo fashion meneghino, se possibile persino peggiorato trent’anni dopo Sotto il vestito niente, nell’odissea di un giovane emigrato romeno belloccio interpretato da Eduard Gabia. Molto bravo anche l’amico Luca Lionello e riusciti i camei di Chiara Caselli e Luciana Littizzetto. Meritate le candidature ai David.
L’ospite inatteso di Tom McCarthy (2007)
Bellissima storia di un’amicizia tanto casuale quanto improbabile tra un burbero, scazzato e misantropo professore in disarmo e un giovane e solare clandestino siriano nella NY oscurantista e intollerante dei centri di detenzione post 11 settembre, e che si forma grazie alla passione per la musica. L’improvviso dramma dell’intolleranza verso lo straniero trasformerà il noioso e incolore protagonista in quel “sei proprio un figo Walter” che è la frase con cui lo congeda all’aeroporto la fascinosa madre del ragazzo. Stupenda la scena di Walter che si unisce ai suonatori di tamburo nel parco di Washington Square e quella in cui Mouna si affida del tutto inaspettatamente al suo abbraccio talamico. Meritata candidatura all’Oscar per lo straordinario Richard Jenkins, bellissimi Haaz Sleiman e Danai Gurira e semplicemente perfetta Hiam Abbass. Capolavoro!
La vie en rose di Olivier Dahan (2007)
Bellissima trasposizione cinematografica, presentata in concorso al Festival di Berlino, della vita della celebre cantante francese Édith Piaf superbamente interpretata da Marion Cotillard che le valse l’Oscar. Da cult la scena al ristorante americano in cui Marlene Dietrich si avvicina al tavolo della cantante per dirle che grazie alla sua voce ha ritrovato la sua Francia, abbandonata dall’attrice per le note ragioni di alcuni anni prima. Musiche ovviamente indimenticabili anche se spesso la voce è quella di Jil Aigrot e splendida la sequenza in cui Édith impara il suo ultimo grande successo di sapore autobiografico Non, je ne regrette rien.
Across the Universe di Julie Taymor (2007)
I precedenti della regista evocavano un brutto e pasticciato Titus e un semi-mancato Frida, ma al termine della proiezione provai, dopo anni che non mi accadeva, il desiderio di rimanere in sala per rivederlo subito. Sulla traccia dei testi di alcune tra le più belle canzoni dei Fab Four, non necessariamente le più famose, un super musical che mescola insieme Come eravamo, Fragole e sangue e Hair e che attraverso l’epopea di un poveraccio di Liverpool in cerca del padre americano di guerra, i cui destini si incrociano con la classica famiglia borghese yankee dai figli in tensione sessantottina, ci evoca il mito di quel ventennio che sconvolse oltre alla musica, il mondo e i costumi. Zeppo di sequenze memorabili, dal balletto dell’arruolamento per il Vietnam assolutamente incredibile, alla finale citazione del concerto del gennaio 1969 sui tetti della Apple, e grondante amore folle della regista per quegli anni e quegli eventi, il film regala anche alcune chicche musicali da brivido. Perché se è vero che le canzoni dei Beatles sono immortali e quindi anche le cover dei ragazzotti scelti (bravissimi peraltro) sono notevoli, è anche vero che il cameo di Bono che canta I Am The Walrus o di Joe Cocker che canta Come Together, fino alla versione gospel di Let It Be della solita nera fenomeno in chiesa durante il funerale del bimbo vittima dei disordini razziali dopo la morte di Martin Luther King, farebbero venire la pelle d’oca anche a un sasso.
Signorina Effe di Wilma Labate (2007)
Ispirato al documentario Signorina Fiat di Giovanna Boursier, questo film della brava regista di La mia generazione racconta i giorni del fallimento dell’ultimo grande sciopero degli operai torinesi del settembre del 1980 e che terminerà con la celebre marcia dei 40 mila quadri intermedi, chiudendo un ciclo di lotte ventennale. Intensa Valeria Solarino e molto bravo il semi debuttante Filippo Timi.
Revolutionary Road di Sam Mendes (2008)
La disgregazione di una coppia americana anni ’50 nell’annichilimento delle iniziali ambizioni. Un film molto amaro e accuratissimo con Kate Winslet e Leonardo Di Caprio strepitosi e Michael Shannon e Katy Bates non protagonisti di lusso. Insieme a Lontano dal paradiso è il film più sofisticato e angosciante della decade sul fallimento del sogno americano.
The Reader di Stephen Daldry (2008)
Bellissimo film ambientato in Germania dove sullo sfondo degli orrori del nazismo si consuma la struggente storia d’amore tra il giovane Michael e Hanna che nasconde alcuni segreti, tra cui quello di non sapere leggere. Straordinario elogio dell’importanza della letteratura, con finale commovente dopo che il ragazzo, diventato adulto, verrà a sapere il torbido passato della donna che non gli impedirà di starle vicino fino all’ultimo. Meritato Oscar a Kate Winslet ma anche il solitamente poco espressivo Ralph Fiennes fa la sua parte.
Ti amerò sempre di Philppe Claudel (2008)
Intenso film francese di natura “intimista” alla Rohmer (ma molto meno palloso, fidatevi) che narra il dramma familiare di due sorelle che si ritrovano a convivere a Nancy dopo che una delle due è stata a lungo incarcerata per avere ucciso il proprio figlio. Finale a sorpresa e a dir poco struggente. Straordinaria interpretazione di Kristin Scott Thomas, Juliette, di grande fascino e che recita sempre volutamente struccata, e della meno nota Elsa Zylberstein che per il ruolo della sorella Léa ha vinto il premio César, mentre la Scott Thomas vinse come miglior attrice agli European Film Awards del 2008. Se la cavano egregiamente anche Serge Hazanavicius, nel ruolo del marito di Léa, e Laurent Grévill in quello del rifiutato corteggiatore di Juliette in un film che merita davvero di essere visto.
The Millionaire di Danny Boyle (2008)
Omaggio all’India di Mumbai che racconta la fiaba di un riscatto sociale, quello di Jamal che dopo una vita miserabile e reietta, e avere visto tutti gli orrori possibili di un paese costruito sulle disuguaglianze e le ingiustizie, vince un mucchio di soldi al più popolare quiz televisivo rispondendo alla domanda decisiva su «Qual era il nome del terzo moschettiere» che pure non sa, e così potrà esibirsi con la bella Latika in quel memorabile balletto della sigla finale. Dev Patel bravissimo, musiche e ambientazioni costruite per vincere l’Oscar che difatti l’anno dopo premierà l’astuto regista.
La vera storia del militante per i diritti gay Harvey Milk ucciso a San Francisco nel 1978 dopo essere stato eletto consigliere comunale della città. Il film in certi momenti è un po’ lungo ma ben descrive la realtà dei primi anni Settanta nel famoso quartiere di Castro prima che arrivasse il ciclone AIDS, e le grandi battaglie di allora che qui da noi ancora ci sognavamo. Che l’attore forse più “macho” di Hollywood sia riuscito a impersonare in modo credibile un gay dichiarato va tutto a suo merito anche se non la metto tra le sue prove meglio riuscite, mentre trovo bravissimo l’emergente Emile Hirsch. Pare che ai tempi la figlia di Sean Penn abbia detto al padre che gli invidiava il fatto di dover baciare, e per giunta pagato, un figo come James Franco. Peccato che il finale copi smaccatamente quello de I cento passi, ma è comunque un film che va visto, soprattutto ora che incombono personaggi alla Trump che, come dimostra questo film, in USA fanno spesso capolino, qui sotto le spoglie di una forsennata senatrice cattolica ex attrice di pubblicità.
Gran Torino di Clint Eastwood (2008)
Straordinaria prova attoriale del grande Clint nei panni di un ex ufficiale decorato in Corea che da razzista e intollerante si trasforma nel corso del film nella miglior persona del mondo, e quel che è incredibile è che il “maledetto” Clint riesce pure a farlo in modo credibile. Il finale epico, e che interpretato da chiunque altro prima e dopo di lui, John Wayne incluso, risulterebbe a dir poco grottesco, è tra i più intensi e alti momenti di cinema dell’ultimo ventennio. Gran Cinema altro che Gran Torino e comunque magnifico anche il titolo che si riferisce a una celebre auto.
Questioni di cuore di Francesca Archibugi (2009)
Strepitosa performance della coppia di amici su cui poggia l’intera pellicola, dove Kim Rossi Stuart e Antonio Albanese toccano entrambi il loro vertice assoluto. E se il primo fa il borgataro belloccio tutto core e matriciana che tanto sarebbe piaciuto a Pasolini, non a caso citato nel bar del quartiere, il secondo fa lo smargiasso milanese stressato in modo così spontaneo e naturale che i due nei loro siparietti sembrano ridersela davvero di gusto e non per esigenze di ciack. La storia è “forte” e azzeccate anche le parti femminili di contorno e così pure gli apprezzabili camei di un Verdone ipocondriaco e di Paolo Villaggio. Il più bel film della regista di Mignon è partita e Lezioni di volo.
Cella 211 di Daniel Monzón (2009)
Allucinante odissea di una giovane recluta aspirante guardia carceraria che finendo coinvolto in una sanguinosa rivolta di una prigione spagnola dovrà fingersi detenuto. Scoprirà più lealtà tra i delinquenti reclusi che fuori. Bravissimo il protagonista Alberto Ammann, ma da Oscar Luis Tosar. Per palati forti e non per le anime belle che, non essendoci stati, pensano che la galera sia il rimedio per tutti i mali del mondo
Il segreto dei suoi occhi di Juan José Campanella (2009)
Meritato Oscar come miglior film straniero a questo bellissimo argentino che racconta la storia di una vendetta consumata così lenta da costituire la trama principale del film. Bravissimi gli attori principali e in particolare Ricardo Darín, l’agente Esposito, e Soledad Villamil, Irene Menéndez. Il Gómez imprigionato da 25 anni che chiede «Dimmi almeno che mi parli» è una delle scene più strazianti e cruente della storia del giustizialismo privato. Inutile il remake americano di qualche anno dopo.
Brothers di Jim Sheridan (2009)
Tragico e conturbante triangolo familiare con la bella e brava Natalie Portman contesa tra due fratelli che più diversi tra loro non potrebbero essere, il “cattivo” Jake Gyllenhaal e il reduce di guerra Tobey Maguire. In una soffocante provincia americana si consuma un dramma teatrale di amore e follia con la genialità di fare dire la frase clou del film davanti alla inutile squinzietta di turno. Se i tre attori fanno a gara per la palma del migliore, il vecchio padre di Sam Shepard firma una ennesima prestazione da ricordare.
Bastardi senza gloria di Quentin Tarantino (2009)
Geniale film su una grande vendetta ebrea contro i nazisti, il cui titolo è un omaggio a Quel maledetto treno blindato di Enzo G. Castellari, uscito in USA con il titolo The Inglorious Bastards. Ritmo incalzante, sequenze memorabili e un cast superlativo, in cui brillano Christoph Waltz, Oscar come non protagonista, Michael Fassbender e Mélanie Laurent, quindici anni dopo Pulp Fiction e sei dopo Kill Bill, il trasgressivo regista di Knoxville nel Tennessee firma il suo terzo capolavoro assoluto.
Fratellanza – Brotherhood di Nicolo Donato (2009)
Pellicola abbastanza originale che affronta il problema del coming out in una comunità danese di fanatici e un po’ patetici neonazisti che ricordano alquanto la nostrana Lega. Il titolo gioca sul doppio senso del rapporto che lega gli adepti di questa setta un tantino avulsa, in un paese che si fonda sulla assoluta tolleranza, e quello più intimo che si crea tra un neoiscritto cacciato dall’esercito per sospetta omosessualità e il suo mentore incaricato dal capo di trasmettergli valori e usi del gruppo. La dinamica tra i due protagonisti, entrambi molto bravi e diversamente espressivi, ricorda quella del celebrato I segreti di Brokeback Mountain sostituendo alle vallate del Montana i laghi freddi del nord Europa, mentre il personaggio del fratello disadattato pare una citazione di American History X. I principali meriti di questo film sono tre, l’avere trattato con estrema compostezza una tematica che poteva prestarsi a facili banalizzazioni stereotipe, la recitazione essenziale ma estremamente verosimile dei due protagonisti (fatto non così usuale, basti pensare al Preziosi di Mine vaganti di Özpetek) e il finale da un certo punto in poi davvero a sorpresa e che probabilmente da solo merita la visione.
Viola di mare di Donatella Maiorca (2009)
Coinvolgente e drammatica vicenda di amore saffico ai tempi della soffocante Sicilia dello sbarco dei Mille, basato sul romanzo Minchia di re di Giacomo Pilati. Le interpretazioni di Valeria Solarino e Isabella Ragonese e le musiche di Gianna Nannini fanno il resto, contribuendo alla riuscita di uno dei film più originali e sottovalutati della prima decade duemila.
Dieci inverni di Valerio Mieli (2009)
Dieci momenti casuali, ma sempre invernali, estrapolati da dieci anni successivi, raccontano per quadri la storia altalenante di Silvestro e Camilla tra Venezia, Mosca e le colline di Valdobbiadene. Debutto del regista e scrittore che valorizza il talento di un giovane Michele Riondino prima che per lui arrivasse il giovane Montalbano. Fotografia stupenda, è il film che più di ogni altro affossa il mito del “colpo di fulmine”.
Davide Steccanella
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