La prima volta che sono andato al cinema fu a Padova, era il 1965.
Avevo poco più di tre anni e mamma e papà mi portarono a vedere Mary Poppins di Walt Disney.
Da allora ci sarei tornato molte volte.
Penso che non mi stancherò mai di andare al cinema.
Dicono che il primo lungometraggio sia stato Nascita di una Nazione dell’americano David Griffith, uscito l’8 febbraio del 1915.
Sono passati più di cent’anni, sono usciti migliaia di film e si continua ad andare al cinema.
Ho voluto ricordare 260 titoli italiani e stranieri in ordine cronologico dedicando, al termine di ogni decade, un approfondimento a registi, attori o a particolari “filoni”.
Ovviamente sono scelte soggettive che non metteranno d’accordo tutti, ma l’importante è continuare ad andare al cinema.
Perché nessuno schermo televisivo saprà mai restituire la magia di un grande schermo che si illumina nel buio di una sala gremita di spettatori vocianti che improvvisamente si zittiscono, come davanti a un’apparizione divina.
GLI ANNI QUARANTA
La decade in cui si conclude l’ultima Guerra mondiale vede in Italia la nascita del neorealismo
Rebecca la prima moglie di Alfred Hitchcock (1940)
Immortale capolavoro del geniale Alfred, questo claustrofobico noir, in cui Rebecca non si vede mai, gli fece meritatamente vincere l’Oscar per il miglior film, offrendo a Joan Fontaine una più che meritata candidatura per la migliore attrice dell’anno. Accanto a lei uno straordinario Laurence Olivier che ci fa capire a chi si sarebbe ispirato in seguito il più moderno Jeremy Irons.
Quarto potere di Orson Welles (1941)
Solitamente questa geniale ascesa e discesa del magnate della stampa, ispirato alla figura di William Hearst, viene votato come il miglior film di sempre. Folgorante debutto a soli 25 anni di Orson Welles, io non saprei dire se davvero si tratta del miglior film della storia del cinema, ma quel che è certo è che chi non l’ha visto deve correre tosto a rimediare a tale lacuna, perché il provocatorio nativo della contea di Kenhosa nel Wisconsin non era solo un grande regista ma si conferma, nel leggendario ruolo di Charles Foster Kane, anche un superbo attore. Pare che Welles non abbia mai rivisto il film perché, disse, “m’innervosisce non poter cambiare più niente”
Casablanca di Michael Curtiz (1942)
Chi non ha visto la più celebre spy story senza lieto fine della storia del cinema accompagnata dalle indimenticabili note al pianoforte del nero Sam? Se la Bergman risplende in tutta la sua bellezza, solo un’icona come Humphrey Bogart poteva rendere credibile quell’inverosimile sacrificio di Rick e soprattutto quel discorso con cui si congeda dall’amata tra le nebbie di un aeroporto, cui anni dopo Woody Allen dedicherà il geniale Provaci ancora Sam.
Ossessione di Luchino Visconti (1943)
Il debutto basso-padano di Visconti è da molti considerato l’inizio di una nuova era del cinema italiano. Si tratta della trasposizione in riva al Po del romanzo americano Il postino suona sempre due volte di James M. Cain. Si sa che il personaggio di Giovanna doveva farlo Anna Magnani ma che rimase incinta di Luca, e così Clara Calamai potè interpretare, accanto ad un giovanissimo Massimo Girotti in perenne canottiera, il ruolo della vita. Ci hanno provato in tanti al richiamo del remake, ma nessuno è più riuscito a ricreare la torbida sensualità di Visconti.
Giorni perduti di Billy Wilder (1945)
Notevole film di denuncia dell’eclettico regista Billy Wilder (quello di A Qualcuno piace caldo, ma anche di L’asso nella manica, per intenderci) che valse l’Oscar per il miglior protagonista maschile al grande Ray Milland (il padre di Ryan O’Neal in Love Story), qui nella parte di un uomo solo ed incapace di liberarsi dal vizio dell’alcool. Memorabile la sequenza dove Don Birnam, in preda ai deliri da astinenza tipo “scimmia” da eroina, si vede attaccato da inesistenti mostri.
Roma città aperta di Roberto Rossellini (1945)
Sul cult movie del neorealismo post-bellico italiano credo ci sia poco da dire se non che, a prescindere dall’abusata scena della corsa della Pina al grido “Francesco”, la Magnani vale da sola la visione del film e che, nel ruolo del prete partigiano Don Pietro, Aldo Fabrizi si è conquistato un posto imperituro nella storia del cinema nostrano.
I migliori anni della nostra vita di William Wyler (1946)
Strepitoso cast per il primo grande film che affrontava il delicato tema dei reduci di guerra. Tre congedati tornano alle rispettive vite ma nessuno di loro riuscirà a riadattarsi. Straordinario Harold Russel, autentico mutilato di guerra, meritato Oscar come non protagonista, ma anche il belloccio Dana Andrews che scopre la moglie fedifraga, una sensualissima Virginia Mayo, e la coppia borghese dei due grandi Divi di allora, Frederic March e Myrna Loy, contribuiscono alla riuscita di questo film che ai tempi ottenne anche un grande successo al botteghino.
La vita è meravigliosa di Frank Capra (1946)
Credo che non esista amante del cinema che non sia stato conquistato dalla fiaba dell’angelo che si mette le ali per aiutare il povero James Stewart. C’è tutta la filosofia “buonista” di Frank Capra e del sogno americano in questa pellicola, ma se si aggiunge lo strepitoso cameo della futura dark lady Gloria Grahme de Il grande caldo, è difficile non definire imperdibile questo film, assolutamente perfetto per le serate in famiglia alla viglia di Natale.
Gilda di Charles Vidor (1946)
Le hanno persino dedicato il nome di una bomba atomica. Di certo la apparizione di Rita Hayworth davanti ad un estasiato Glen Ford prima di lanciarsi in quella danza della seduzione con guanto sulle note della celebre “Put The Blame On Mame” entra di diritto nell’antologia delle scene immortali della storia del cinema.
La fiamma del peccato di Bilie Wilder (1947)
“L’ho ucciso per denaro e per una donna. E non ho avuto il denaro e non ho avuto la donna. Bello vero?”, dice alla fine il protagonista Walter Neff. Ancora un Wilder ma questo è unanimemente considerato il capolavoro noir per eccellenza. L’inquietante Fred MacMurray forma con la straordinaria dark lady di Barbara Stanwyck la più perfida coppia della storia del cinema, ma anche il Barton Keyes di Edward G. Robinson, già in passato entusiasmante Piccolo Cesare, non è da meno.
Ladri di biciclette di Vittorio De Sica (1948)
Se pensate che l’intera storia si regge su un meditato e goffo tentato furto di una bici di un povero padre spiantato e disoccupato sullo sfondo della guerra appena finita, e che è stato girato con tecnica rudimentale e attori non professionisti, tra cui lo straordinario Lamberto Maggiorani, capirete perchè questo capolavoro di De Sica venga ancora oggi ricordato ovunque all’estero tra le pietre miliari della storia del cinema. Oscar come miglior film straniero, persino la facile commozione finale viene filtrata dalla più sapiente delle regie.
L’ereditiera di William Wyler (1949)
Indimenticabile prestazione di Olivia de Havilland (la dolce e remissiva Melania di Via col vento) nel ruolo della figlia bruttina del perfido e riccastro padre, vittima di un cinico e belloccio avventuriero interpretato da un giovane Montgomery Clift. La conclusione rimane il sogno di tutti coloro che ambiscono a prendersi la più soddisfacente delle vendette. Tratto dal noto romanzo Washington Square, memorabile la frase finale di Caterina alla zia che le rimprovera una sopravvenuta cattiveria per non voler aprire la porta al bel Morris: “ho avuto dei buoni maestri.”