La prima volta che sono andato al cinema fu a Padova, era il 1965.
Avevo poco più di tre anni e mamma e papà mi portarono a vedere Mary Poppins di Walt Disney.
Da allora ci sarei tornato molte volte.
Penso che non mi stancherò mai di andare al cinema.
Dicono che il primo lungometraggio sia stato Nascita di una Nazione dell’americano David Griffith, uscito l’8 febbraio del 1915.
Sono passati più di cent’anni, sono usciti migliaia di film e si continua ad andare al cinema.
Ho voluto ricordare 260 titoli italiani e stranieri in ordine cronologico dedicando, al termine di ogni decade, un approfondimento a registi, attori o a particolari “filoni”.
Ovviamente sono scelte soggettive che non metteranno d’accordo tutti, ma l’importante è continuare ad andare al cinema.
Perché nessuno schermo televisivo saprà mai restituire la magia di un grande schermo che si illumina nel buio di una sala gremita di spettatori vocianti che improvvisamente si zittiscono, come davanti a un’apparizione divina.
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La decade del cinema impegnato, dei grandi capolavori di Coppola e della saga di Lucas (Prima parte)
Love Story di Arthur Hiller (1970)
Ci sono due ragioni, anzi tre, che rendono ancora oggi questo cult del fazzoletto facile meritevole di essere visto. La prima è la colonna sonora, perfetta per quell’ambientazione da neve e dramma. La seconda è che il diabolico regista ha costruito talmente bene le trappole pro lacrima che anche se sai benissimo come va a finire e l’hai visto cento volte, quando arrivi al redde rationem finale non riesci ad andarne immune. Terzo, forse il motivo più importante, è stata la scelta dei due protagonisti, che non sono bravi, “sono” semplicemente Oliver e Jenny. Tanto è vero che dopo quel film entrambi non ne hanno più azzeccata una. Memorabile la frase scema ma d’effetto “amare significa non dovere mai chiedere scusa”. Mi piacerebbe sapere chi mai l’ha messa in pratica.
Gli Aristogatti di Walt Disney (1970)
Che ché se ne dica con i vari Re Leone ecc. questo rimane l’ultimo grande capolavoro disneyano autentico, poi arriveranno altre cose, altri effetti, altri computer ed altre digitalizzazioni, ma l’anima di Disney quella vera si ferma qui, a Parigi, dove il perfido Edgar rapisce gli adorati gatti di Madame. Il corteggiamento del burino Romeo alla aristocratica duchessa lungo il fiume è tutto da vedere, sembra James Dean che adesca Grace Kelly con la moto oppure Maurizio Arena in Poveri ma belli, ma che dire delle due oche Guendalina ed Adelina blabla che debbono recarsi a trovare lo zio Reginaldo, o del gruppo di Scat Cat e della sua ghenga Jazz sui tetti di Montmartre? Trattasi di capolavoro dalla prima sequenza all’ultima, altro che semplice cartone.
Il Padrino parte prima e seconda di Francis Ford Coppola
(1972 e 1974)
Per mio conto la saga dei Corleone è forse il film più bello della storia del cinema almeno per quanto riguarda i primi due episodi, entrambi giustamente premiati con messe di Oscar e che andrebbero visti senza soluzione di continuità. Non si tratta solo di una epopea che in certo senso ha addirittura ispirato la mafia italoamericana (vd. John Gotti) o di un cast raramente così bene assemblato e dominato dal più straordinario terzetto attoriale del dopoguerra per l’unica volta riunito insieme (Marlon Brando, Al Pacino e Robert De Niro) con tanto di coprotagonisti del calibro di Robert Duvall e James Caan, ma di una a tal punto incredibile caratterizzazione dei tanti personaggi di contorno da sfiorare il manzoniano, vedi le figure del fratello Fredu, Fanucci, Sollozzo, Tessio, Semenza, Luca Brasi, Jonny, Tartaglia, Heiman Roth ecc. E basterebbe la mitica colonna sonora su quelle immagini della vecchia New York o della Sicilia di Apollonia e Don Tommasino a destinarlo ad imperitura leggenda. Significativo tecnicamente anche lo schema fisso dei due episodi che si aprono entrambi con un festone familiare e si chiudono entrambi con il finale regolamento di conti con il sangue che sgorga a volontà. L’espressione facciale di Al Pacino quando mente alla moglie sulla morte del cognato e poi si ritira nella sua stanza per ricevere il baciamano da nuovo padrino mentre la porta si chiude davanti a una attonita Diane Keaton, vale da sola l’intero film.
L’Amerikano di Costantin Costa-Gravas (1972)
Il più riuscito e onesto film sulle guerriglie sudamericane degli anni Settanta che racconta, seppure con nomi diversi, la vera storia del sequestro in Uruguay dell’ex capo torturatore del FBI Dan Mitrione da parte dell’organizzazione rivoluzionaria dei Tupamaros del futuro Presidente Mujica, avvenuto nel 1970. Coraggiosa denuncia dell’ingerenza USA nei regimi fascisti dell’America latina, l’anno dopo ci sarebbe stato il colpo di Stato in Cile, spicca la straordinaria prova di Ives Montand nella parte del sequestrato statunitense Philip M. Santore. Musiche del greco Teodorakis, a sua volta detenuto politico sottoposto in patria a torture durante il regime dei colonnelli.
Come eravamo di Sydney Pollack (1973)
Ammetto personalmente di non avere mai amato tanto questo polpettone amoroso tra la istrionica ma sempre molto sopra le righe Streisand ed il biondone per eccellenza del cinema USA, alias Redford. Ma siccome è un film che ha segnato un’epoca e viene costantemente citato tra i più importanti da molti, non posso togliergli quel ruolo che evidentemente tutti gli altri gli riconoscono. E se è vero che la ricostruzione del periodo delle lotte studentesche di Fragole e sangue o anche di Alice’s Restaurant è altra cosa, pur con tutto il bene che si può dire per la voce della nasona Barbra, resta il fatto che a suo modo descrive come pochi altri un’epoca di sogni e speranze che non solo in USA ma in tutto il mondo non tornerà più.
Amarcord di Federico Fellini (1973)
Oscar per il miglior film straniero, più di 20 anni dopo I Vitelloni il regista romagnolo per eccellenza celebra la sua terra con un superbo affresco ambientato nella Rimini degli anni Trenta che sarà anche il suo ultimo capolavoro. Memorabile dalla prima all’ultima sequenza, poesia e magia allo stato puro e con alcuni personaggi entrati nella leggenda dalla tabaccaia alla celebre Gradisca di Magali Noel, fino al sorprendente Ciccio Ingrassia che urla “voglio una donna” aggrappato a un albero. Non oso pensare a quante volte Pupi Avati possa avere ammirato questa pellicola, vista la successiva produzione del regista bolognese.
L’esorcista di William Friedkin (1973)
Tratto dal romanzo di William Peter Blatty che ne curò anche la sceneggiatura. Pensate che ancora oggi e nonostante i vari prodotti nipponici avveniristicamente perversi, se chiedi a qualcuno quale è il film che in assoluto gli ha fatto più paura, ti risponderà senza indugio L’esorcista. E’ il classico film capostipite e chi di noi in gioventù non ha mai fatto a qualcuno di più piccolo, lo scherzo carogna della voce della indemoniata? Pazzesco pensare che tanti preti ci campino, ma questa è altra storia.
Effetto Notte di François Truffaut (1973)
Il titolo originale è La nuit Americaine, una tecnica cinematografica che consiste nel rendere “notturna” una ripresa fatta in piena luce grazie all’inserimento di un filtro blu davanti all’obiettivo. La pellicola, una sorta di backsatge delle riprese negli studi di Nizza del film Vi presento Pamela, ha vinto l’Oscar per il miglior film straniero ed è considerato il capolavoro del maestro francese tanto che sia Time che il nostrano Ciak l’hanno inserito nei 100 migliori film della storia del cinema. Bravissima Valentina Cortese nella parte di Severine, anche se i tre protagonisti sono la bellissima Jaqueline Bisset e i due storici Jean Pierre preferiti dal regista, Leaud e Aumont.
Frankestein Junior di Mel Brooks (1974)
Per molti è ancora il prototipo del cinema comico più geniale dei gloriosi anni ’70, di certo l’estro di Mel Brooks unito alla verve di Marty Feldman e alla immensa bravura di Gene Wilder raggiunsero qui un top di ispirazione mai più eguagliato. La più grande dissacrazione del mito del vampiro transilvano di cui si conservi memoria.
Nashville di Robert Altman (1975)
Il gigantesco affresco country di Altman ha creato un genere da cui ha faticato a liberarsi lo stesso regista. Raramente l’america vera, solitamente rappresentata al cinema dalla coreografia dei grattacieli snob di Manhattan o dall’illusorio boulevard di Los Angeles, quando non dalle atmosfere West della Monument Valley o dalla calca luccicante di Las Vegas, è risultata meglio raffigurata. Un must la canzone “I’m easy” dell’allora giovane Keith Carradine, futuro conquistatore del west, che vinse la statuetta, e meritata nomination sia al film che al regista.
Qualcuno volò sul nido del cuculo di Milos Forman (1975)
È l’unico film, insieme a Accadde una notte e Il silenzio degli innocenti, ad avere conquistato tutti e 4 i principali premi Oscar in palio. Il solitamente “gigione” Jack Nicholson giganteggia in questo film denuncia sulla inaccettabile condizione dei matti, tema da sempre molto caro al futuro regista di Amadeus e se si pensa che in Italia eravamo in piena riforma Basaglia si comprende l’impatto che ebbe allora anche da noi questo film straordinario.
Taxi driver di Martin Scorsese (1976)
Fu il film che consacrò definitivamente l’accoppiata Scorsese-De Niro con tanto di adolescente Jodie Foster, la cui acerba sensualità avrebbe in futuro ispirato persino un serial killer. E’ il manifesto del cinema americano anni ’70 comunemente definito “l’altra Hollywood”. Tanto De Niro quanto Scorsese avrebbero poi fatto molta strada, ma l’estrema asciuttezza istintiva di questo capolavoro metropolitano, ambientato al termine della guerra del Vietnam, appena perduta da quello che si credeva il più potente esercito del mondo, forse non la raggiungeranno più.
Per la seconda parte: giovedì 12 dicembre.
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