La prima volta che sono andato al cinema fu a Padova, era il 1965.
Avevo poco più di tre anni e mamma e papà mi portarono a vedere Mary Poppins di Walt Disney.
Da allora ci sarei tornato molte volte.
Penso che non mi stancherò mai di andare al cinema.
Dicono che il primo lungometraggio sia stato Nascita di una Nazione dell’americano David Griffith, uscito l’8 febbraio del 1915.
Sono passati più di cent’anni, sono usciti migliaia di film e si continua ad andare al cinema.
Ho voluto ricordare 260 titoli italiani e stranieri in ordine cronologico dedicando, al termine di ogni decade, un approfondimento a registi, attori o a particolari “filoni”.
Ovviamente sono scelte soggettive che non metteranno d’accordo tutti, ma l’importante è continuare ad andare al cinema.
Perché nessuno schermo televisivo saprà mai restituire la magia di un grande schermo che si illumina nel buio di una sala gremita di spettatori vocianti che improvvisamente si zittiscono, come davanti a un’apparizione divina.
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La decade del cinema impegnato, dei grandi capolavori di Coppola e della saga di Lucas (Seconda parte)
Novecento di Bernardo Bertolucci (1976)
Il grande omaggio del parmense Bertolucci alla sua terra, al socialismo e alla Resistenza. Diviso in due parti, data la durata, se ne preferisce la prima, dove la poesia prevale sulla truculenza. Esemplare il terzetto protagonista formato da De Niro, Depardieu e Sandrelli in qualche modo ricalcante il suo successivo terzetto parigino di The Dreamers, ma la coppia fascista formata da Donald Sutherland e Laura Betti ha una marcia in più. Secondo virtuosismo attoriale dello yankee Burt Lancaster che molti anni dopo il Principe di Salina viscontiano riuscì a impersonare un perfetto latifondista della bassa padana.
Invito a cena con delitto di Robert Moore (1976)
Geniale giallo comico per una cena in una serata di tuoni e fulmini all’interno di un sinistro castello cui vengono invitati, da un misterioso padrone di casa, i migliori investigatori del mondo per scoprire l’autore di un omicidio che non è ancora stato commesso. Memorabili sceneggiatura e soggetto, con una sequela di momenti esilaranti, e cast a dir poco superlativo che riunisce quasi il meglio del cinema di allora, da Peter Sellers ad Alec Guinness, da David Niven a Maggie Smith e da Peter Falk fino allo scrittore Truman Capote. Ci ha riprovato anni dopo Altman con Gosford Park, e di nuovo con Maggie Smith, ma senza riuscire a ripetere questo autentico capolavoro di umore nero.
La febbre del sabato sera di John Badham (1977)
Fu il film che lanciò il fenomeno della Disco Music e che consacrò il divismo di John Travolta che l’anno dopo si ripeterà con il musical Grease di Randal Kleiser. In realtà questa pellicola è tutt’altro che allegra, perché tratta il tema dell’emarginazione di chi abita nelle periferie della grande mela, della droga, del razzismo e della violenza tra bande di quartiere. Nella figura dell’italoamericano di Brooklyn Tony Manero, che attraverso il ballo si riscatta socialmente e trova l’amore per la matura Stephanie, ci sono molte delle tematiche che in seguito monopolizzeranno il cinema USA e vuoi per la colonna sonora dei Bee Gees, vuoi per l’oggettiva abilità danzereccia di Travolta, questo film rappresenta tuttora un must degli anni ’70.
Una giornata particolare di Ettore Scola (1977)
Palazzo Federici sul grande viale XXI Aprile dove incrocia la via Nomentana è stato il primo esempio di grande costruzione popolare fascista anche se oggi il prezzo al metro quadro di quella zona non ha più nulla di popolare. Ettore Scola ambienta negli androni di quel palazzo, improvvisamente svuotato dalla visita romana di Hitler, la sua storia più bella e ci regala l’ultima grande interpretazione di quella che era stata la coppia amorosa per eccellenza del cinema nostrano. Girato in un superbo bianco e nero per una vicenda che si consuma nell’arco di una sola mezza giornata, quella di quel fatidico 6 marzo 1943, l’attrazione della casalinga ignorante Antonietta per il gentile e malinconico Gabriele meditante il suicidio in quanto omosessuale si concretizza in un film che è un vero capolavoro. Anni dopo Clint Eastwood ambienterà nella più bieca provincia americana dei ponti di Madison County dello Iowa una storia simile e anche quello sarà un bellissimo film anche se lì si consumerà. Candidatura Oscar sia per il film che per Marcello Mastroianni e David di Donatello sia al regista che a Sophia Loren.
Guerre stellari di George Lucas (1977)
Costato circa 11 milioni di dollari di allora il film ne ha incassati 514 solo con la prima distribuzione. La grande saga di Lucas continua a farsi preferire nella triade originale anche dopo quella tutta effettoni e modernità degli anni Novanta. Diciamo che il mondo si divide in due categorie: chi ha visto i primi tre episodi di Star Wars e chi no, perché anche i sofisticati e più recenti “anelli” gli fanno un baffo a questa imperdibile epopea fantascientifica. Allora in pochi avrebbero scommesso che le successive due decadi sarebbero state monopolizzate da quel timido biondino che rispondeva al nome di Harrison Ford.
L’albero degli zoccoli di Ermanno Olmi (1978)
Interamente ambientato nelle campagne bergamasche degli inizi del Novecento e interpretato in lingua dialettale da non professionisti, questo assoluto capolavoro oltre a vincere la Palma d’oro al Festival di Cannes ottenne un successo di pubblico che lo vide posizionato nella classifica degli incassi accanto a film ben più commerciali come Geppo il folle di Celentano. Storia stupenda dal finale triste, potremmo limitarci a dire che è una sequenza di quadri della vita campestre di inizio secolo, uno più bello dell’altro, ma in realtà è molto di più.
Fuga di Mezzanotte di Alan Parker (1978)
In originale Midnight Express, è il più claustrofobico ed angosciante film sull’inferno del carcere che sia mai stato fatto, anche perché quella descritta da Parker è una galera turca dove sembra permessa ogni più sadica vessazione sul detenuto. L’odissea, fortunatamente a lieto fine, dell’americano Billy Hayes è resa in modo memorabile dall’attore Brad Davis futuro Querelle di Fassbinder, mentre l’italiano Paolo Bonacelli impersona il carceriere aguzzino. Sceneggiatura di Oliver Stone, molto bravo John Hurt e Oscar per la miglior colonna sonora a Giorgio Moroder.
Il Cacciatore di Michael Cimino (1978)
L’immagine di De Niro, testa fasciata, che gioca alla roulette russa è forse l’icona degli orrori della guerra del Vietnam, ma in realtà sono tanti e come sempre persino troppi i temi che Cimino ha inserito in questo superbo film. La storia è quella di sette amici di un paesino della Pennsylvania che festeggiano la partenza per il fronte di De Niro, Walken e Savage e il matrimonio di quest’ultimo con la giovane Meryl Streep. Due di loro torneranno mal messi e il terzo non tornerà più. Oscar al miglior film, ruolo della vita per Christopher Walken e memorabile la scena degli amici ubriachi che giocano a biliardo l’ultima sera alle note di “Can’t Take My Eye Off Of You”, una delle canzoni più coverizzate delle successive tre decadi. Qualcuno ha scritto che “è uno di quei film che hanno ridefinito i confini di ciò che è accettabile sul grande schermo”, ma quanto alle scene di caccia non sono sicuro che oggi gli animalisti le premetterebbero e anche questo è un segno dei tempi.
Apocalypse Now di Francis Ford Coppola (1979)
E’ sempre nella decade dei settanta che dopo Il Padrino, e ancora con Brando e Duvall, cui stavolta si aggiunge un grandissimo Martin Sheen, Coppola firma il suo secondo ed assoluto capolavoro, anzi potremmo dire che se non spaventa la durata si tratta tuttora del film bellico di riferimento. La sola idea di accompagnare dapprima con i Doors e quindi con la cavalcata delle Walkirie di Wagner l’attacco dal basso dei Marines lo pone tra le leggende di sempre. Sarà Brando, che ai tempi pesava 110 kg, a suggerire a Coppola tutte le citazioni letterarie presenti nel monologo di Kurtz. Molto più di un film sul Vietnam, è un film che va visto più volte e che grida anni Settanta dalla prima all’ultima sequenza.
Kramer contro Kramer di Robert Benton (1979)
Il film per eccellenza su effetti e contraccolpi per i figli del divorzio dei genitori e che ha vinto quasi tutti gli Oscar possibili tra cui film e regia. Oscar a Dustin Hoffman per il ruolo di Ted, marito abbandonato e costretto ad inventarsi padre amorevole e che al ritorno della madre le contende in Tribunale l’affido del piccolo Billy. E siccome nella parte di Joanna Meryl Streep non gli è certo da meno, si è deciso, per evitare l’en pleine, che il suo premio dovesse essere quello di non protagonista, e così verrà premiata Sally Field per Norma Rae di Martin Ritt.
Manhattan di Woody Allen (1979)
La genialità ancora “pura” del miglior Allen dei primi anni dopo la acquisita maturità espressiva di Io & Annie si fusero in questo mirabile omaggio a tutti i tic della grande mela versione seventies. Il bianco e nero e la musica di Gershwin contribuirono non poco al mito di questo film straordinariamente recitato da una Diane Keaton mai più così brava e da una coppia di non protagoniste del calibro di Mariel Hemingway e Meryl Streep. La spasmodica ricerca di quella panchina oltre il ponte di Brooklyn credo abbia fatto impazzire i tre quarti dei turisti di tutto il mondo che negli anni successivi si sarebbero recati in visita a New York.
Nosferatu, il principe della notte di Werner Herzog (1979)
Palma d’oro al Festival di Cannes per questo straordinario remake del capolavoro del cinema muto tedesco girato nel 1922 da Friedrich Wilhelm Murnau. La storia è quella dell’agente immobiliare Jonathan felicemente sposato con Lucy e del suo drammatico incontro in Transilvania con Dracula, il mitico conte vampiro creato dalla penna dell’inglese Abraham Stoker, interessato ad acquistare una casa nei pressi della loro abitazione. Strepitosi Klaus Kinski e Isabelle Adjani già candidata agli Oscar tre anni prima per Adele H di Francois Truffaut.
Leggi anche Gli anni Settanta – prima parte, di Davide Steccanella.