Gli imperdonabili sono per me un movimento di scrittori, poeti, editori e soprattutto lettori che ha per obiettivo comune quello di tracciare un pensiero forte, libero, fuori dagli schemi, e nello stesso tempo trovare un linguaggio e una prospettiva differenti rispetto all’omologazione culturale e artistica del nostro paese.
Siamo contrari al politicamente corretto, alla pedagogia sacerdotale, all’ideologia delle verosimiglianza, all’ambiguofobia dell’autore, al didascalismo e al favolismo dei professionisti dell’impegno politicizzato, per lo più intellettuali dell’oligopolio arruolati nella corporation.
Non ci riconosciamo in un tipo di arte che non è più in grado di riconoscere e di raccontare il paese, perché pensa che i cittadini più istruiti e critici dal dopoguerra a oggi vadano contenuti in tutti modi, magari con la soppressione del suffragio universale, e catechizzati da questa consorteria di laureati, a loro volta, di prima o di seconda generazione al massimo: un prodotto come tutti della democratizzazione degli accessi.
Noi stiamo invece dalla parte di chi lavora, perché il futuro della letteratura è lì, non certo tra gli eredi urbano-borghesi delle tare dell’aristocrazia.
Nell’altro modo, è ovvio, i letterati hanno un ruolo sempre più ancillare e un consenso sempre più elitario, classista, ma cercano di difendersi dall’estinzione presidiando il maggior numero di posti di potere e di controllo: trasmissioni tv e radiofoniche che parlano di libri, festival e premi letterari, classifiche fasulle e fiere del libro perennemente in perdita dove si invitano tra loro, si premiano tra loro, si autocelebrano nella speranza di far percepire al pubblico l’odorino del cosiddetto capitale simbolico della cultura. In questo modo, si è costituita una specie letteraria protetta che si difende, come tutti, dalla marea montante delle quasi ottantamila novità librarie all’anno prodotte da un sistema ormai al collasso, con una platea di lettori residuali, sempre più anziani, che decresce di anno in anno o premia soltanto libri e temi del catodo. Il problema è che, per difendere sé stessi, questi affiliati scrivono libri che si difendono dal lettore, giudicandolo alla stregua di un bambino da educare con i buoni sentimenti, la morale, l’ordine rassicurante di una realtà addomesticata, mentre escludono sistematicamente quegli autori o quegli editori che non solo vivono il mondo del libro con la stessa passione e capacità, in certi casi perfino maggiore, ma che sarebbero in grado di produrre un’esperienza di lettura differente, più adatta alla nostra epoca selvaggia, paradossale, se non fosse che vengono appunto tenuti ai margini, resi periferici rispetto ai centri di potere occupati dall’oligopolio.
Il punto, infatti, non è che questa specie letteraria protetta non debba fare rete, ma sta nel rischio che in questo modo venga escluso o addirittura boicottato,come nel caso del critico Davide Brullo, chi non ne fa parte. Come si può parlare di «repubblica delle lettere» e di «democrazia dei lettori», infatti, se i lettori non sono a conoscenza che di una minima parte della produzione libraria? In questo modo si fa un torto alla capacità del paese di produrre un incremento della qualità letteraria media, lo sviluppo di un pensiero più ampio e articolato, l’inclusione di voci, soggetti, temi e sensibilità diverse che possano arricchire il dibattito letterario, culturale, artistico, politico in senso ampio e dare vita, in prospettiva, a un nuovo vigore per il ruolo del libro, dei lettori e dei letterati; invece viviamo in un paese in cui gli editori e gli scrittori favoleggiano di copie che non hanno mai venduto, veicolando un’idea parziale del prestigio letterario, come nel caso di Edoardo Nesi e la Nave di Teseo rilevato dal Fatto quotidiano, oppure cercano di proiettare un’immagine da star system che tuttavia non esiste, visto che il reddito delle celebrità letterarie è per lo più aleatorio e nel paese viaggia una scarna compagnia di giro fatta di premiazioni, fiere, festival, passaggi radiofonici e tv dei soliti noti, che non incide minimamente nella crescita dell’interesse per il libro e per la lettura.
Da questo punto di vista, dobbiamo invece ribaltare la prospettiva corrente e stabilire un nuovo patto col lettore, fondato sulla fiducia reciproca. Noi ci rivolgiamo a un lettore adulto, intelligente, curioso, ironico, sulle cui capacità abbiamo piena fiducia. Riteniamo che questo tipo di lettore sia maggioritario e che non legga perché gli scrittori e gli editori dell’oligopolio non sono oggi all’altezza delle sue richieste e necessità.
Un metodo nuovo ha allora bisogno di una poetica innovativa con cui mostrare la propria differenza. Chiediamo una moratoria sull’affabulazione e sullo stilismo: l’autore deve scomparire dietro il vice-narratore, e ricomparire nel controllo sintattico, temporale e lessicale della prospettiva, poiché in questo movimento c’è il prestigio del gioco illusionistico. Lingua e struttura – le regole –, non devono attirare troppo l’attenzione su di sé, col rischio di diventare protagoniste del racconto e quindi scoprire le quinte della macchina illusionistica. La lingua deve essere al servizio della storia da raccontare, senza per questo diventarne serva: bisogna sottrarla, anzi, tanto al logorio dell’uso comune che all’omologazione della pratica editoriale. Postuliamo dunque l’abolizione dei gerundi subordinati e appositivi e dei participi passati con valore di subordinate avverbiali: sono il tipico corredo di una scrittura sciatta, sdata, schematica e ripetitiva; ne troviamo (cattivi) esempi un po’ dappertutto, e di conseguenza ne siamo prigionieri. Postuliamo la rarefazione degli aggettivi, che contraggono gli aspetti pittorici invece di dispiegarli, e dei nessi logico-causali, che danno troppe spiegazioni, risultano didascalici e non lasciano il lettore libero di effettuare la sua esplorazione del testo; postuliamo l’eliminazione dei dialoghi a nastro, disincarnati e senza un contesto, e la soppressione del narratore onnisciente, questa divinità in rovina.
I vecchi automatismi di scrittura devono in conclusione fare spazio a nuove soluzioni tecniche che tengano conto delle esigenze di un lettore intelligente e attivo. Per questo lavoreremo a un vero e proprio decalogo che rivoluzionerà il modo di scrivere in prosa e consentirà al talento degli imperdonabili di fare il salto che serve per non avere rivali nel campo della narrativa italiana e internazionale.