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Guido Mattia Gallerani anteprima. Roland Barthes. Dalla vita al testo

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L’intellettuale secondo Barthes: “dev’essere un analista e insieme un utopista, raffigurare al tempo stesso le difficolta e i folli desideri del mondo”.

Il costrutto semiologico del mito: “Sono dal parrucchiere, mi vien porto un numero di “Paris-Match”. Sulla copertina, un giovane negro vestito di un’uniforme francese fa il saluto militare, con gli occhi verso l’alto, fissati certo su una piega della bandiera tricolore. Questo è il senso dell’immagine. Ma, per quanto ingenuo, vedo bene ciò che essa mi vuol significare: che la Francia è un grande Impero, che tutti i suoi figli, senza distinzione di colore, servono fedelmente sotto la sua bandiera, e che per i detrattori di un preteso colonialismo non c’è risposta migliore dello zelo di questo negro nel servire i suoi pretesi oppressori. Mi trovo perciò […] davanti a un sistema semiologico maggiorato: c’è un significante, esso stesso già formato da un sistema precedente (un soldato negro fa il saluto militare francese), c’è un significato (che qui è un misto intenzionale di francità e di militarità); c’è infine una presenza del significato attraverso il significante”.

Una nuova tentazione: “Vorrei molto essere uno scrittore e l’ho sempre voluto, senza alcuna petizione di valore poiché per me non è una ragione di merito ma una pratica. Ho quindi semplicemente osservato con divertimento che la mia piccola immagine sociale si è messa da qualche tempo a mutare verso lo statuto di scrittore allontanandosi dallo statuto di critico […] la società intellettuale francese di oggi ha bisogno di scrittori. Ci sono dei posti vuoti e io sono qui con qualche elemento per poter riempire una di quelle caselle”,

È in libreria Roland Barthes. Dalla vita al testo di Guido Mattia Gallerani (Carocci editore, pp. 252, 27) è un viaggio intellettuale attraverso l’opera di Roland Barthes, che esplora l’evoluzione del pensiero di uno dei più influenti critici e filosofi del XX secolo.

Gallerani è ricercatore in Critica letteraria e Letterature comparate presso l’Università di Bologna, insegna Sociologia della letteratura. I suoi studi si concentrano sul genere intermedio tra giornalismo e letteratura e sulle innovazioni della saggistica. Ha pubblicato opere come L’intervista immaginata (2022) e Pseudo-saggi (2019). In collaborazione con Alberto Bertoni, ha curato un’edizione commentata del Quaderno di quattro anni di Eugenio Montale (2015) e ha approfondito Barthes nella monografia Roland Barthes e la tentazione del romanzo (2013). 

L’autore offre una riflessione profonda sulla transizione di Barthes da critico letterario a teorico della semiologia, mettendo in luce la sua capacità di intrecciare narrazione personale e analisi culturale.

La struttura del libro, suddivisa in capitoli che affrontano vari aspetti della vita e del lavoro di Barthes, permette al lettore di immergersi in un dialogo continuo tra il vissuto personale del critico e le sue opere. Gallerani riesce a catturare l’essenza di Barthes, presentandolo non solo come un pensatore, ma come un uomo che ha saputo guardare oltre le convenzioni del suo tempo.

Carlo Tortarolo

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Leggendo questa biografia intellettuale di Roland Barthes (1915-1980), chi non ne conosce l’opera si troverà davanti la storia di un saggista che, in quanto tale, si è imposto come scrittore. La prima avvertenza è quindi di non affrontarlo con i pregiudizi del nostro presente, poiché il termine di scrittore è ritenuto oggi sinonimo di romanziere e il ruolo del saggista sembra ormai potersi confondere soltanto con quello del giornalista.

Barthes ha eletto il saggio a veicolo della sua scrittura e del suo pensiero – variandone la destinazione in libri, manuali, pamphlet, articoli apparsi sui quotidiani e contributi propriamente accademici – senza considerarlo inferiore al romanzo, proprio perché questo genere sembrava, nella seconda metà del Novecento, potersi rinnovare come ogni altro in un senso letterario, secondo invenzioni stilistiche personali, sorte per mano di chi si avventurava fuori dai limiti tradizionalmente imposti alle forme e alla scrittura. Nel 1977, durante la sua lezione inaugurale al Collège de France, Barthes stesso riconosce di aver praticato il saggio come un «genere ambiguo in cui la scrittura si misura con l’analisi» (Barthes, 1977a, p. 175).

Mentre il contesto accademico odierno spinge il ricercatore a concentrarsi fin dall’inizio della carriera su una disciplina soltanto, per poi restarvi fedele per tutta la vita, Barthes ha dimostrato come si possa spaziare attraverso metodi, teorie e linguaggi specialistici diversi senza mai perdere la propria originalità stilistica e intellettuale. Egli interviene nel dibattito culturale del suo tempo da questa peculiare posizione di irriducibile e inclassificabile, ma non per questo ne resta isolato o viene dimenticato dai suoi contemporanei.

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