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Guido Sgardoli anteprima. Il senso dell’alligatore

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Anche se in maniera non corretta, Il senso dell’alligatore segna l’esordio di Guido Sgardoli nel grande mondo del crime.

Diciamo “in maniera non corretta” perché Sgardoli è da oramai molti anni una delle punte di diamante per quanto riguarda la narrativa 0-18, ovvero quella che dagli albi illustrati arriva a toccare quel pubblico definito per comodità di “giovani adulti”.

È però corretto affermare che Il senso dell’alligatore (pagg. 624, € 19,90), pubblicato da Piemme e da oggi nelle librerie, porta l’autore veneto a staccarsi da quel contesto per entrare in quello della narrativa “adulta” tout court.

Un passaggio che non dichiara nessun abbandono, solo un allargamento della propria tastiera espressiva. Passaggio che, inoltre, conferma la predilezione di Sgardoli per alcuni generi letterari specifici, quali il fantastico, l’horror, il thriller.

Compaiono in vari dei suoi lavori precedenti ampiamente declinati, e possono essere definiti come fondanti del suo stile narrativo.

In questo esordio ne ritroviamo almeno uno: il thriller. Sgardoli lo declina in questo romanzo monstrum, vista la foliazione, con grande sapienza e rispettandone le regole.

Se poi il romanzo è ambientato negli States, a Wytago, piccola cittadina sperduta chissà dove nel Vermont, possiamo definirlo un vezzo autoriale? Certo. Ma anche una necessità e, soprattutto, un omaggio sentito a chi ne ha elaborato la struttura.

Quindi non tanto a Stephen King – feticcio stilistico dell’autore e nume tutelare citato in esergo – quanto a tutta una teoria di autori apparentemente lontani, almeno come ambientazione. Parlo di James Lee Burke e di Jim Thompson per primi.

La trama, detta in modo succinto, parla dell’arrivo a Wytago di Larry Nowak, medico veterinario, che vi approda per ricostruire la sua vita e fare i conti con la propria coscienza. Il motivo? I precedenti sei anni e mezzo Nowak li ha passati in coma a causa di un incidente, in cui è morta la sua compagna. Qualcosa che continua a straziargli l’anima. Per cui il suo trasferimento è una fuga, qualcosa che si aggiunge ad alter fughe fatte di  un uso smodato di farmaci e alcolici e droghe.

La cittadina sembra fatta per il suo scopo. «Lì le persone parlavano tra loro, si invitavano a pranzo, a bere un’aranciata o a mangiare una fetta di torta. Si sedevano sotto i portici a commentare i fatti di attualità, usavano ancora il buon vecchio telefono del signor Bell e i ragazzini giocavano a frisbee o schizzavano sui loro skateboard» ecc.

Un piccolo universo calmo, dove poter scomparire e, forse, dimenticare.

Peccato sia anche «una città piccola e pettegola». Peccato sia una città dove tutti apparentemente sanno tutto degli altri. Peccato sia un luogo in cui si ricama facilmente sulla vita degli altri, come per esempio fa Etta Furman Grier, principessa delle malelingue. Peccato sia il luogo in cui qualcuno è stato ucciso misteriosamente prima che lui arrivasse e qualcuno è stato ridotto in fin di vita dopo che lui ci si è trasferito. Cosa cosa c’è di meglio se non prendere Larry di mira come possibile colpevole, così da non vedere quanto abbiamo al fianco?

Questo è però il primo step de Il senso dell’alligatore.

Sgardoli non esaurisce la trama nella caccia al possibile colpevole, supera questo punto e la fa lievitare. La arricchisce di tesi e controtesi, di illazioni, di vicoli ciechi, di oggetti che offrono una doppia interpretrazione, porta elementi come le visioni che ogni tanto visitano Larry a farsi via via più evocative, potenti.

Tenuto stretto in una cornice temporale che dal 26 maggio arriva al 18 luglio, Il senso dell’alligatore è alla fine un thriller complesso, fatto sì di detection, ma molto attento alle atmosfere. È anche un romanzo dove a contare sono le psicologie.

Sono proprio queste ultime a determinare le azioni dei personaggi, a rendere ogni loro passo, ogni loro gesto credibile fino alle estreme conseguenze.

Sergio Rotino

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credits to Walter Menegazzi

Sognò di fare l’amore con l’alligatore. Una cosa orribile, che lo buttò fuori dal sonno a calci con un senso di nausea e l’impressione di avere un orso seduto sullo sterno.

Il sole era già spuntato e illuminava impietosamente il disordine della stanza.

Quando Larry si riprese, notò che il letto somigliava alla cuccia di un cane idrofobo. O aveva lottato nel sonno (probabile, forse per liberarsi dell’alligatore) oppure aveva dormito con qualcuno che non era Jip. Scoprì delle macchie chiare sulle lenzuola. Sperma, probabilmente. E a meno che non fosse andato a letto con un uomo, doveva essere suo. Cercò di ricordare cosa fosse accaduto la sera precedente. Poi vide la bottiglia di Crummel, vuota, sul pavimento, e sentì l’odore della marijuana (non era un’allucinazione). Annette.

«Annette?» chiamò.

Gli rispose il suono delle unghie di Jip che salivano i gradini.

Si alzò e scese di sotto. Annette non c’era. Guardò in giro.

Non aveva lasciato nemmeno un biglietto. L’aveva scopato e se n’era andata. Come un uomo. La cosa, però, non lo ferì, al contrario, rendeva il tutto stuzzicante. Com’era andato quella notte? Purtroppo (o per fortuna) non ne serbava ricordo. Sperava che Annette non fosse rimasta delusa. In fondo erano solo sette anni che non faceva l’amore con una donna.

Per un po’ si sentì galvanizzato, un effetto benefico che ricordava quello della ketamina (con le dovute distanze, ovviamente). Cercò sopra il tavolo e nella stanza mozziconi delle canne che si erano fumati, ma non trovò che sporcizia varia e una macchia sul divano di cui non si era accorto, un alone scuro, probabilmente di urina. «Grazie, Jip» disse rivolto al cane. Fu sfiorato dal pensiero che quella pisciata non fosse di Jip, ma sua.

Dopo colazione (caffè e il fondo di una busta di cereali, doveva decidersi a fare la spesa), provò a mettere ordine nella sua giornata. E in quelle che sarebbero seguite.

Nella sua nuova lista delle priorità la prima voce era “ripartire”. A pari merito con “scoprire la verità”.

Ripartire” era riferito alla sua attività (doveva pur vivere di qualcosa). La “verità” riguardava invece il suo rapporto con la vicenda di Dave Winthrop. Anche se il rinvenimento dei corpi alla cava faceva ormai pensare a omicidi seriali, poteva sempre darsi che lui avesse fatto del male, anche accidentalmente, a Dave. In quel caso non se lo sarebbe mai perdonato.

Andò nella serra. Si era dimenticato dei vetri rotti e della scritta. Cominciò a raccogliere i pezzi gettandoli in un secchio e tenendo alla larga Jip per evitare che si ferisse le zampe. Poi, con acqua calda e candeggina, pulì la scritta. Infine ritagliò dei quadrati di cartone dagli scatoloni e li sostituì ai vetri mancanti. Cercò di ricordare se aveva visto una vetreria in città. Non gli pareva.

Tornò in casa e stilò una breve lista della spesa.

Non stava male. A parte la pan-crania e un’ansia costante e sottile a cui si stava abituando. Tese le mani. Non tremavano. Non troppo, perlomeno. Forse era merito dell’erba di Glove. Gliene avrebbe chiesta un po’. Magari avrebbe sostituito i farmaci. In ogni caso la ketamina andava riordinata, se non altro per l’utilizzo per cui era stata sintetizzata, l’anestesia degli animali. Tutto stava a vedere se Larry avrebbe saputo resistere alla tentazione di ridurla in polvere per i suoi scopi personali. Impiegare altri tipi di anestetico poteva essere una soluzione.

Prese la Mustang e andò al Wal-Mart.

La cassiera non era più la ragazza che ricordava, quella con il neo sul labbro che somigliava alla lontana a Cindy Crawford, ma un giovane tatuato che non aveva mai visto. Comprò una gran quantità di surgelati, tutta roba pronta in pochi minuti, birre, due flaconi di Excedrin Strength e delle crocchette per Jip, al pollo. Uscì passando alla larga dalla farmacia del dottor Finley (quello stronzo), caricò i sacchetti in auto e tornò in Main Street. Aveva deciso di passare al Donnie’s Emporium con la scusa dei vetri rotti per vedere Annette. Voleva capire dalla sua espressione cos’era accaduto la notte precedente.

I ragazzi erano sotto il portico. Come il solito. Larry li vide parlare animatamente, anche se, dal punto in cui si trovava, sul lato opposto della strada, dove aveva parcheggiato, non riusciva a distinguere le parole. Attraversò la Main e si avvicinò.

credits to Lucia Iuorio

Quando Donnie Licois lo vide, si zittì immediatamente imitato subito da tutti gli altri. Larry salì i gradini e mise sul piatto un saluto senza eccessivo trasporto. Nessuno rilanciò. Si limitarono a osservarlo come se non l’avessero mai visto in precedenza. Larry incassò e fece per dirigersi verso l’entrata dell’emporio, al che gli si parò di fronte la magra figura del reverendo Coughlin. Teneva in bocca qualcosa che gli gonfiava una guancia. Ghiaccio. Se ne rimase lì, a masticare il suo cubetto senza dire nulla, fissando Larry negli occhi (era più alto di lui di una buona spanna) e aspettando che facesse dietrofront. Ma Larry non si lasciò intimorire. Senza toccarlo, senza nemmeno sfiorarlo, dicendo solo «Permesso», gli girò intorno e guadagnò la porta. Sembrava una scena da Sfida all’O.K. Corral. Mancavano solo le pistole e il tintinnio degli speroni. Coughlin lo lasciò passare nel silenzio generale, ma non smise la propria maschera di irritazione. Anzi, a Larry sembrò puro disgusto.

Entrò nell’emporio accolto dal fresco e dall’odore di legno verniciato. Annette era dietro il bancone e stava servendo un cliente. Sbirciò in direzione della porta lasciando che le labbra le si incurvassero in un impercettibile sorriso. «Salve» disse.

Larry attese che il cliente pagasse e gli passasse davanti per uscire, dopodiché si avvicinò al banco.

«Come va?» chiese.

«Bene. E a te?» replicò lei continuando a sorridere.

«Bene. Un po’ scombussolato» ammise Larry.

«Per colpa mia?»

«Anche.»

«Allora sono stata cattiva.»

«Molto cattiva.»

Annette scoppiò a ridere. «Mi sono divertita ieri sera.»

«Sì. Io… era da tanto… cioè…»

«Che non fumavi erba?»

Lo stava prendendo in giro. «No, volevo dire che…»

Lei si sporse oltre il banco e gli appoggiò due dita sulle labbra.

«Stai zitto.»

Era un buon suggerimento, anche se Larry non riusciva a smettere di chiedersi se l’avrebbero rifatto o se invece era stata la scopata di una notte. Annette era un tipo tosto che, per quanto vivesse in un buco di città, sembrava non farne parte. Era spigliata, disinibita e forse abituata a portarsi a letto chi le piaceva, senza tanti se e tanti ma.

Larry si guardò intorno. «Vendi anche vetri?»

«Vetri? Di che genere?»

«Quadrati. Devo sostituire quelli rotti, nella serra.»

«Li posso far preparare. Hai delle misure?» Annette prese carta e matita e attese.

«Veramente no.»

«Ok. Farò un salto da te e me ne occuperò io. Oggi pomeriggio, dopo la chiusura, potrebbe andare bene?»

La porta dell’emporio si aprì e un paio di scarponi pesanti fecero gemere il vecchio pavimento a listoni. Larry si voltò istintivamente. Era Donnie Licois.

«Ha finito?» chiese.

«Prego?»

«Papà…»

«Se ha finito vorrei che uscisse dal mio negozio.»

Alle sue spalle comparve Hazel Coughlin.

Larry era attonito. «Mi sta dicendo di andarmene?»

«Papà…»

«Le sto dicendo che qui non è gradito.»

«Mi scusi, ma è una cosa assurda. Per quale motivo?»

«Il motivo è che il negozio è mio e ci faccio entrare chi mi pare. Le è sufficiente?»

Annette uscì dal bancone. «Papà, adesso smettila. Ti stai rendendo ridicolo.»

«Tu fai silenzio» replicò Donnie.

«Col cazzo che faccio silenzio. Questo emporio è anche mio, è intestato a me.»

Donnie non le badò. Continuava a fissare Larry con quei suoi occhi di ghiaccio, spalleggiato dai compari di sempre, spostando il sigaro da un angolo all’altro della bocca.

Era davvero una situazione paradossale e Larry non sapeva come uscirne. Non aveva alcuna intenzione di insistere, ma gli seccava essere sbattuto fuori senza nessuna apparente ragione.

Fu Annette a venirgli in aiuto. «Allora, dottor Nowak, per quell’ordine, ho preso nota e non appena la merce sarà pronta gliela farò consegnare. Aveva bisogno di altro?»

«Non ha bisogno di altro» le fece eco suo padre.

«Sono a posto, grazie» disse Larry. «È stata molto gentile.»

Si diresse verso l’uscita ma Donnie Licois, come aveva fatto Hazel Coughlin in precedenza, non accennò a spostarsi. Larry gli arrivò di fronte. Questa volta non l’avrebbe aggirato. Se voleva che se ne andasse dal suo negozio doveva cedergli il passo. Sfida all’O.K. Corral.

Donnie Licois indugiò qualche secondo, senza staccare i suoi occhi da quelli di Larry. Infine si mosse. E lo stesso fecero i ragazzi sotto il portico. Larry passò tra due piccole ali ostili e scese i gradini ma, anziché raggiungere l’auto dall’altra parte di Main Street, prese a sinistra. Andava al Wytago Service, da Herb Gilmore. Gli era venuta una gran voglia di comprare dell’erba.

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