Il fascino maligno e sempre attuale della violenza: “E il mondo deve aver di nuovo odore di donna… E per questo ha bisogno di sangue… Non solo sangue di vitelli e di maiali… Quando sono al mattatoio lo sento, signor dottore, lo sento sotto i miei piedi quel che la terra vuole… E se non le si dà, lei non ci dà più la forza, e allora non siamo più niente con le donne, allora non serviamo più a niente, e tutto ci crolla intorno…”.
La speranza dei personaggi: “Spesso nell’oscurità arde una luce invisibile; non c’è che da accenderla e diventa l’amore”.
Un mondo in evoluzione dove i valori religiosi e culturali sono in crisi: “L’amore cristiano non lo comprendiamo più, anche volendo comprenderlo, ma comprendiamo che il villaggio-di-sopra e il villaggio-di-sotto dovrebbero tirare insieme la stessa fune, invece che darle continui strappi a destra o a sinistra, e comprendiamo che le macchine sono cattive e che la terra è buona…”.
Dopo l’edizione italiana del 1982 torna in libreria Hermann Broch con Il Sortilegio con la stessa traduzione di Eugenia Martinez e con introduzione di Italo Alighiero Chiusano (Carbonio 2023, pp. 354, € 19,00). Questa opera più volte rivista dall’autore è qui tradotta dalla sua prima versione, la più completa ed equilibrata.
Hermann Broch (1886-1951), candidato al Premio Nobel nel 1950, è considerato uno dei grandi scrittori di lingua tedesca. Dopo l’occupazione dell’Austria da parte dei nazisti emigrò negli Stati Uniti. Tra le sue opere più importanti: la trilogia I sonnambuli (1931-32), La morte di Virgilio (1945), Gli incolpevoli (1950) e L’incognita (1933, Carbonio 2022). Accanto ai testi di narrativa ha lasciato una notevole produzione saggistica.
Nel minuscolo paese montano di Kuppron, dove alcuni centinaia di agricoltori si dedicano alla loro terra in armonia con le calme stagioni, un medico del luogo ormai inserito nella comunità osserva con sospetto l’arrivo di un inquietante straniero chiamato Marius Ratti. Collaborando attivamente nei faticosi compiti agricoli e dispensando consigli, il nuovo arrivato si insinua gradualmente nella trama sociale, suscitando paure e istinti primitivi tra gli abitanti locali. Lentamente, intorno a lui si forma un gruppo di seguaci, infiammati dai suoi discorsi e pronti a seguirlo incondizionatamente. Così, il villaggio si ritrova improvvisamente avvolto in un’atmosfera cupa di ira e cade preda di un terribile incantesimo, mentre il ritmo ordinato delle semine e dei raccolti lascia il passo a una frenetica danza allucinata di odio e morte, dalla quale solo pochi si sottraggono.
Il legame tra l’uomo ed infinito emerge come una coordinata essenziale del romanzo: “quella semplice facoltà dell’uomo, che potrebbe financo esser disprezzata, come quella che egli ha di recitare in teatro, e che invece è quasi la garanzia ‒ no, non quasi ‒ è l’autentica garanzia che l’uomo è proveniente dall’infinito e senza di esso non può vivere, ed è capace di rivolgersi verso di esso per ritornarvi. È la garanzia dell’infinito”.
Non manca un’attenta autoanalisi psicologica del protagonista: “No, colui che guarda non è tutto ciò; no, non sono io questo, non lo sono mai stato: io mi nascondo invece in un involucro intimo, segreto, sicuro, io sono come in una campana d’immersione, tanto mi sento calato in me stesso, tanto mi sono immerso nel mio intimo, che l’intero corso di codesta vita, insieme con la fine che sarà la sua fine, non sembra riguardarmi in particolare”.
La profondità mistica del messaggio dell’autore dipinge una visione dell’uomo in stretto contatto con il divino: “Poiché l’uomo che noi incontriamo non viene da questa o quella contrada, non viene dallo spazio, che ha larghezza, altezza e profondità, nemmen gli animali provengono di lì, l’uomo proviene da più lontano, come egli stesso sa, e il suo sguardo, che non è un’emanazione del corpo, tradisce un’origine abissale, nella quale il corpo e lo spazio rinascono incessantemente, e l’Essere incontra l’Essere, così che l’uomo non può mai vivere senza l’infinito e, di fronte alla eternità intangibile, si sente un traditore”.
La potenza della descrizione esprime spiritualità e connessione con la natura: “Perché tutto questo è stato mentre, frattanto, il mio cuore batteva: e vi sono stati il vento, e il sole, e le nubi, e sono fluiti attraverso il mio cuore e le mie mani”.
Il sortilegio, romanzo del 1935 si presenta come un’opera senza tempo e straordinariamente attuale.
In queste pagine eccelse ed incisive, Hermann Broch indaga con notevole acume i meccanismi mentali che conducono all’assolutismo, creando un quadro vivace della deriva fascista che ha permeato l’Europa nei tumultuosi anni Trenta coinvolgendo anche le élite intellettuali.
Con parole vivide e profonde, Broch affronta l’uomo come essere intrinsecamente spirituale, capace di altitudini sublimi, dotato del potere e del dovere di resistere ai tentativi di soggiogare i suoi simili con illusioni folli e idee violente.
Carlo Tortarolo