ho amato anche la terra è il nuovo romanzo di Maura Chiulli edito da Hacca edizioni nel 2022: intorno al corpo e dentro, sulla superficie slitta e smotta l’asse temporale della multivicenda narrata. Non è però narrazione nel senso tradizionale del termine. Flashback e presenti, futuri e possibili, vengono da un luogo esterno alla scrittura della pagina. Lo scatto lo fa la narrazione del passato che diventa il presente di Livia, ma lo slancio è del corpo, o meglio di Corpo.
Tutto il libro è scritto del corpo, ma è soprattutto scritto dal corpo, integrale dettatura da movimenti che attraversano la carne e lo spazio in-sterno. Livia è forse solo una singolarità desiderante che scrive del corpo e dal corpo parte la sua esplorazione. L’amore e l’abbandono, la vita quotidiana, insomma, che disegna il mondo e il corpo attorno a questi due imperativi del desiderio e della nostalgia. Struggente la malinconia di cose mai avute, incomprensione del vuoto.
Livia è piena, grande, gonfia, grossa e fragile, colma di pensiero e godimento, frenetica di un movimento quasi browniano.
Le pagine sono spruzzi infuocati e incendi temibili e presto domati. Il libro sposta tempi e luoghi con una scrittura che sembra installarsi nello spazio variegato del corpo, tatuarsi e mutare. Quel che vediamo non è solo il significato esplicito, ma i possibili movimenti del corpo da cui è scaturito quel che andiamo leggendo.
Livia ha il coraggio di desiderare, chi scrive usa il linguaggio del corpo scenico, del corpo che viene dalla realtà che la performer-scrittrice ha mutato in segni leggibili. Tutto un paesaggio sull’epidermide, e dalle ossa che ne spuntano a volte, a tratti spesse cotenne difensive ingorgano il dolore per la perdita del marito, del compagno, del nemico. O forse no, era il corpo a ribellarsi a una falsa credenza della mente, era il corpo a voler allontanare il mondo, il mondo supposto. È Corpo che guida Livia verso la salvezza, verso la scoperta del proprio eros, del proprio desiderio di amore. Del proprio corpo.
Gian Luca Garrapa
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«Quando lascio Pescara sono piena di aspettative, me lo ricordo bene il periodo della scelta.
Roma vince perché è vicina, perché posso tornare tutte le volte che devo e perché non ci va nessuno dei miei compagni di scuola: quell’anno è di moda Bologna.» In questo passaggio, come in altri simili, non vedo il semplice tornare di Livia, flashback, o la lettura del presente con le lenti di un passato che sembra non passare, anche questo, ma percepisco un corpo nell’atto di indietreggiare, prendere la rincorsa e saltare, o avanzare nel nuovo sconosciuto del reale. Lo spazio tra paragrafi è proprio una sorta di estensione dello spazio interno e corporeo. È trasdurre, a mio parere, in scrittura il movimento corporeo. Quanto la tua attitudine alla body art influenza la tecnica e l’ispirazione letteraria?
La tua lettura mi stordisce e mi piace da impazzire, perché me la immagino proprio così Livia, nell’atto di prendere fiato, di gonfiare il petto e chiudere gli occhi prima di ogni salto. E lei, come ogni essere umano, è capace di infiniti salti, infiniti passaggi, infinite rincorse.
Nel mio viaggio, la body art ha un ruolo centrale e dunque credo ritornerà ogni volta che scriverò. Mi interessano i corpi, ma ancora di più mi interessano gli angoli bui dei corpi. Attraverso la body art io ho percorso ogni strada della pelle, ogni sentiero di vene e di ricordo. Ho inciso e ho lasciato sgorgare. Ho trovato verità e bugie in fondo al sangue, dentro al taglio. E quando scrivo mi ricordo sempre di graffiare, per portare fuori. È un gesto naturale.
Ho creduto a Lea Vergine quando ha scritto che la body art è l’estremo tentativo per conquistare il diritto di metterci al mondo di nuovo.
«Che ti manca?»
Contorna e torna l’interrogativo fondamentale di ogni scrittura, di ogni estetico esistere. Intorno a un vuoto, a una mancanza voltola il senso dell’arte. Un’assenza che si vuole sempre colmare: una ferita che diventa creativa, uno spazio che il corpo deve percorrere e sostenere. È così anche per te? Lo spazio vuoto, per usare le parole del recentemente scomparso regista Peter Brook, lo spazio della pagina diventa non luogo di pienezza esistenziale, creativa, in cui pure chi legge si sente parte del gioco. Il corpo scenico può anche non parlare, eppure dice: che differenza c’è tra scrivere un libro e scrivere un corpo?
Intorno alla mancanza e intorno al desiderio nasce il mio senso dell’arte. Ho impiegato decenni pericolosissimi in bilico tra la vita e la rinuncia alla vita per capire che quel vuoto è preziosissimo e non è solo una bocca affamata. Dopo questa personale scoperta – il vuoto come origine e permanenza – ho consacrato al vuoto da abitare l’ultima parte del romanzo. Il futuro è bianco. Non l’ho scritto. Ciascuno ha il diritto e la responsabilità di scrivere il suo a tempo debito. L’ansia del vuoto è pure l’ansia del futuro, la brama di riempire ogni silenzio, l’inaccettabile noia… Quando scrivo io voglio solo provare a camminare su un crinale dal quale ciascuno può scorgere tutto. Da una parte l’angoscia del vuoto da riempire, dall’altra la responsabilità e la libertà di uno spazio limpido e insignificabile da vivere (desiderando solo di sentire e quando si sente non conta avere ragione). Con la storia di Livia e di Corpo ho voluto dire anche questo: c’è un nucleo insondabile in cui parlerà piano o griderà qualcosa che parla e non si intende. L’unica cosa che possiamo fare è saperlo, imparare ad averci a che fare. Scrivere un libro per me è scrivere un corpo.
«Io sono Corpo da quando sono nata.» Cosa diventa Corpo se deve dare parola al proprio esserci, al distintivo dell’esperienza umana che è sentire, desiderio, che è anche silenzi. Come reagisce Corpo quando Parola lo costringe a trasformare la propria carne in simbolo, in lettera? La scrittura è un limite o una possibile mutazione di Corpo?
Corpo di Livia reagisce muovendosi: lui sputa fuori o introietta, grida o si rinchiude. Ma reagisce esistendo, occupando lo spazio, agitandosi. Ha ragione Paul Valéry quando scrive che la profondità dell’uomo è la sua pelle. Corpo parla e la pelle non è la frontiera, il muro che insonorizza. Noi siamo tutti esposti e attraverso la carne e le ossa tutto di noi risuona e dice.
La scrittura può essere tutto, anche un limite. Corpo può essere tutto, anche un nemico. Ma la paura, nel mondo che sono pronta a determinare adesso con la mia tenera e nuda presenza, perde sempre quando incontra l’amore.
«Il mio corpo è la mia strada.» Mi fa pensare che ogni creazione che abbia a che fare con la creazione artistica sia sempre un processo e meno un prodotto. Corpo non finisce di essere tale finito il libro, ma il processo lo ha forse mutato, il godimento, il reale del corpo ha cambiato aspetto, aspettative, ha acquisito altra conoscenza: quale è stato il tragitto del corpo durante la scrittura di questo romanzo?
In principio era una gabbia – e voglio dirlo proprio così, come in una liturgia – . Il corpo pazzo era lo spazio angusto, sporco, crudele nel quale Livia si sentiva imprigionata e con il quale era impossibile un contatto. Nel tempo il dolore e la libertà hanno cambiato Livia e Corpo e dal loro dialogo simultaneo sono nati milioni di sensi nuovi di stare al mondo. Corpo è diventato volontà, parola, messaggio, discorso, spazio aperto, tutto esposto, avamposto e speranza. E finalmente Livia ha persino inteso che Corpo visibile suggerisce Corpo invisibile e che non c’è racconto vitale senza tocco, senza sfioro tra questi mondi. Dentro è fuori e viceversa.
«Un abisso, uno spazio morbido tra me e il mondo.» Corpo e il mondo, Corpo è il mondo. Un mondo intenso di sentieri e pensieri, ossessioni, carne, visioni e accecamenti. Smarrimenti. Pietre, sculture dell’anima, distensioni del ricordo che groviglia le ossessioni. Traslucida, la voce di Corpo parla, è parlato, dal mondo: cosa lega la scrittura al mondo, come lo abita? È fuoco? È casa? Il segno di un infinito sogno reale?
La mia scrittura vuole essere Mondo. Nella mia esperienza vitale, scrivere è cercare un legame. Mi piace quando Jean-Luc Nancy dice che scrivere è toccare il cuore di pietra del mondo ed è sempre lui a dire che la scrittura è lo strumento del pensiero che apre al senso del corpo. Scrivere è toccare e toccare è la dimensione dei corpi e implica vicinanza, relazione. Io vengo al mondo quando scrivo e attraverso il mio discorso mi avvicino, cerco un posto, costruisco uno spazio, scardino e riparo, vivifico e pietrifico, puntello e lascio crollare.
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Maura Chiulli, ho amato anche la terra, Hacca ed., 2022