Pochi giorni prima della quarantena dovuta al Covid-19, una mia cara amica mi ha donato il fascicolo di un fumetto, sottolineando che mi sarebbe piaciuto. Effettivamente, quando ho iniziato a sfogliarlo, sono rimasta folgorata.
Il numero 13 della Granata Press, della serie Black Kiss, mostra in copertina una figura femminile bionda molto intrigante, il cui reggiseno di pizzo nero spicca all’attenzione. I capelli ondulati, il collare e le forme sinuose richiamano fortemente l’icona della pin-up con tocco fetish. Noto con piacere che le amiche conoscono bene i miei gusti, tanto da farmi omaggio di uno dei più affascinanti e originali fumetti erotici della seconda metà del Novecento. Sorpresa dalle coraggiose illustrazioni, ben distanti dal modello Manara, mi è venuto il desiderio di saperne di più. Così mi sono addentrata nel mondo di Black Kiss, cercando di ricostruire non solo l’orizzonte iconografico, ma soprattutto il contesto culturale degli anni ottanta americani. In un’America liberista, interventista e anticomunista, si affermano nuove mode. Gli anni sessanta e settanta lasciano il posto a una cultura edonista, incrementata soprattutto dalle scelte politiche audaci di un presidente attore. E in Black Kiss il mondo patinato di Hollywood, a mio avviso, non a caso diventa lo scenario di una storia pazzesca ed eccentrica.
Black Kiss viene pubblicato a partire dal 1988, in un momento in cui molti artisti della grafica sperimentano nuove forme di rappresentazione. Tra questi si possono ricordare Frank Miller, autore di Sin City, l’inglese Alan Moore, con Watchmen, V for Vendetta, From Hell e Batman: The Killing Joke, il metaforico e visionario Bill Sienkiewicz, i fratelli Hernandez per il fumetto alternativo di allora o il canadese Dave Sim, padre di Cerebus. Si parla, infatti, non a caso, di Rinascimento del fumetto americano, quando, alla fine degli anni ’80, Howard Chaykin emerge come uno degli autori più controversi e trasgressivi. Chaykin muove i primi passi seguendo le orme di grandi maestri come Gil Kane, autore Marvel, e Neal Adams, artista indiscusso per la DC Comics. Grazie al loro esempio, elabora un tratto drammatico, concitato e spigoloso, ben lontano dalla liricità di un Milo Manara. Dopo aver lavorato ai primi episodi di Star Wars e di Conan the Barbarian, si avvicina al mondo indie raggiungendo il successo con American Flagg!. La serie, uscita tra il 1983 e il 1988, si pone come antesignana di un genere fantascientifico, distopico e surreale, le cui atmosfere ricordano quelle di Blade Runner. American Flagg!, infatti, era davvero una novità sul mercato in quanto univa magistralmente eros, spy story e fantascienza. Il disegno aggressivo, dinamico e marcato, insieme all’uso delle onomatopee, diventano una caratteristica anche in Black Kiss, dove l’azione, rapida e concitata non pare mai dare tregua al lettore che entra così in un vortice narrativo.
La vicenda è complessa e oscura, intrigata e ricca di colpi di scena. Questo fumetto, dal sapore pulp, offriva al pubblico esplicite scene di sesso senza alcuna forma di censura. Black Kiss, infatti, non nasconde fellatio, scene di orge o momenti crudi dove la fisicità è prorompente. Per questo motivo, la casa editrice Vortex, preferì far uscire i numeri dentro una busta di cellophane con l’avvertenza “For Adults Only” proprio per evitare accuse di pornografia. La storyline è molto articolata: un mix di noir, thriller, hard-boiled e mystery. I dialoghi sono serrati, eccessivi e irriverenti, tanto che secondo alcuni commentatori, anticipano lo stile di Quentin Tarantino.
La vicenda, raccontata in un drammatico bianco e nero, ci presenta la misteriosa scomparsa di un film pornografico girato in Vaticano. L’ambientazione, in una Los Angeles sporca e degradata, sembra rievocare quella della tetralogia noir di James Ellroy (Dalia nera, Il grande nulla, L.A. Confidential e White Jazz), ovvero un mondo oscuro, maniacale e tormentato dove si muove Cass Pollack, musicista jazz, eroinomane, braccato dalla mafia e dalla polizia, a causa di un omicidio che non ha commesso. Per una serie di circostanze, entra in contatto con Dagmar e Beverly, due splendide prostitute, la cui caratteristica è quella di sembrare gemelle, che gli promettono di aiutarlo in cambio di un favore. Cass deve recuperare, infatti, un film pornografico che fino a poco tempo prima era conservato negli archivi del Vaticano. Tutte le figure sono rappresentanti di un universo parallelo: Dagmar è, infatti, un transessuale; Beverly è una nota stella di Hollywood stranamente sopravvissuta negli anni perfetta e bellissima. Entrambe ossessive, eccessive e ambigue, diventano metafora dell’eterno tema del doppio. Sono le facce della stessa medaglia che trovano la loro armonia solo nell’intreccio dei loro corpi. Scordiamoci di cercare la banale dualità bene/male. Black Kiss, infatti, è qualcosa che va oltre. Si tratta infatti di una vera Sarabanda dove ognuno è in realtà una maschera grottesca. I visi hanno espressioni triviali, volgari e anche il piacere è ferino.
Tra sparatorie e colpi di scena Cass Polack entra in contato con una setta satanica dedita alla necrofilia e composta da alcuni famosi attori, produttori e registi di Hollywood, aspiranti vampiri. L’autore, pertanto mescolando i generi, crea una trama intrigata, surreale, dove regna l’eccesso e l’irriverenza. Ma in fondo gli anni ottanta americani sono stati anni in cui era facile credere che la felicità fosse avere soldi e fama senza limiti morali esattamente come nelle Mille luci di New York di Jey McInerney o nel romanzo Il boia di Eduard Limonov. In quel decennio emergono nuovi guru e strane forme di New Age dove sacro e profano si mischiano pericolosamente. La centralità nella narrazione che assume la setta richiama infatti immediatamente alla memoria l’attività di Anton LaVey, fondatore negli anni sessanta della chiesa di Satana, ma rimasta attiva anche dopo. Questa congrega, diventata famosa per aver coinvolto alcuni personaggi famosi dello spettacolo, aveva saputo imporsi come punto di riferimento nel jet set. Tra i tanti adepti e simpatizzanti si ricordano Roman Polanski e Jayne Mansfield. E proprio a questa attrice sembrano ispirarsi i volti di Dagmar e Beverly. Il senso di decadenza e disperazione, che si respirano pagina dopo pagina, rimandano alle agghiaccianti vicende di Hollywood Babilonia di Kenneth Anger, in cui si racconta la caduta della Città dei sogni. Il mondo patinato del cinema, in Black Kiss come nell’opera di Anger, è un luogo di perdizione, di peccato e miseria. Insomma sembra un ascensore per l’inferno nel cui abitacolo risuona il motivo ipnotico di Lucifer Rising. La trama di Black Kiss non prevede assoluzione o redenzione; si tratta di un tortuoso viaggio verso un Ade moderno ad opera di un uomo senz’anima fin dall’inizio, e in guerra con dio. Le strade di questa Gotham non sono vie di fuga per la vittoria, ma labirintiche e angoscianti, si insinuano tra esterni appena abbozzati e interni confusi. Nelle strisce, una sovrapposta all’altra, si perde il filo logico della composizione e il taglio delle scene è assolutamente cinematografico grazie a primi piano e mezzi busti alternati al tutto campo. Proprio questo tipo di montaggio fa risaltare i dettagli quasi maniacali degli arredi, delle auto, fino ai cartelli pubblicitari. Pazzesca è la cura con cui Chaykin descrive l’abbigliamento femminile dalle calze cubane, al pizzo della biancheria.
Mi sono chiesta quale colonna sonora potesse fare da sfondo questo hard-boiled punk? Ho deciso per i Dead Kennedys, iconoclasti e devastatori, abbastanza nichilisti da accompagnarmi durante la lettura. Così, mentre mi affido all’hardcore cinico e feroce, scopro che il tratto marcato della matita di Chaykin richiama soprattutto la tradizione della Pop art come evidenziano bene le figure femminili in bilico tra Bettie Page e le icone di Roy Lichtenstein.
Black Kiss è un capolavoro che destabilizza i lettori tanto che difficilmente è ascrivibile in una sola categoria. Non si può ridurre nella semplice definizione di fumetto erotico, ma neppure noir o horror perché numero dopo numero emergono tutte le caratteristiche di questi generi. Si tratta, infatti di un crogiuolo di intenti, di citazioni cinematografiche riscaldate da una colonna sonora di vortici dissonanti e distorsioni.
Ilaria Cerioli
Un ringraziamento a Silvia Nozzioli per le preziose informazioni sullo stile di Black Kiss e a Raffaele Del Prete per la consulenza musicale.