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I “custodi” del giardino – Intervista a Francesca Sacchi Tommasi

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Arrivo in Via della Pergola 57, a Firenze. Da fuori si vede il giardino, dove pulsa l’anima di questo luogo che lo scrittore Davide Rondoni, in un suo racconto, ha battezzato ‘Il talismano di Firenze’.

Sono a Etra Studio Tommasi, galleria d’arte, studio, bottega che da generazioni accoglie e mostra, custodisce e protegge la bellezza.

Lo studio oggi è nelle mani di Francesca Sacchi Tommasi. Lei da queste generazioni di artisti che la precedono è nata, e dall’arte si è nutrita, diventando una donna di ipnotica bellezza, accento toscano e intuizione d’antico mercante. 

Mercedes Viola

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Francesca Sacchi Tommasi

Da dove arrivi, da dove arriva questo luogo?

Questa tradizione artistica viene dalla seconda metà del ‘800 con Luigi Tommasi, il padre di mio bisnonno. Un filone di tradizione diretto, legato alle fonderie, al marmo e poi alla scultura e alla pittura.

Leone Tommasi, mio bisnonno, in possesso di un talento incredibile, vince il premio Brera a diciassette anni, premio che gli apre le porte dei salotti, delle corte reali e delle commissioni. Ma lui si innamora di mia bisnonna e si ritira.

Era molto legato a Pietrasanta e decide di continuare, dopo il padre, a costruire quella che all’inizio era la casa di famiglia, poi la fonderia, il laboratorio del marmo e il suo studio, che io ho riaperto due anni fa.

Quindi lui abbandona il lavoro come artista?

Succede una cosa inattesa. Lui si ritira a lavorare a Pietrasanta e rinuncia a una carriera più mondana, più pubblica; questo, invece di creare un distacco dal mondo intellettuale dell’epoca, attrae, e passeranno dal suo studio grandissimi artisti.

Avrà quattro figli, tre dei quali si dedicheranno all’arte. Il più famoso è Riccardo Tommasi Ferroni, conosciuto dalla critica e dal collezionismo; Luigi Tommasi, mio zio fonditore – la sua fonderia c’è ancora a Pietrasanta anche se non più attiva dalla fine degli anni ’80 – e mio nonno Marcello Tommasi, prevalentemente scultore, allievo di Annigoni.

E chi di loro arriva in questo Studio?

Marcello Tommasi lo acquista negli anni ’70. Lui amava Firenze, dove – un po’ obbligato da mio bisnonno che pretendeva da tutti una laurea – studia arte e lettere, e nella sua autobiografia racconta la storia di questo studio, dov’è avvenuta la fondazione del Perseo di Cellini, una storia divertente che è anche la consacrazione artistica di questo luogo.

Nel 2008 mio nonno viene a mancare e questo luogo rimane chiuso per tre anni, fino a quando sono entrata io e ho archiviato circa cinquemila opere con l’aiuto cruciale di Elisa Gradi – storica dell’arte senza la quale non sarei riuscita. E dopo, piano piano, abbiamo rimesso tutto a posto. Anche fuori ci sono dei gessi importanti, antichi, alcuni vincolati alla soprintendenza. E finalmente nel 2014 l’ho inaugurato con la mostra di famiglia.

La tradizione prosegue e vive con te.

Paradossalmente l’ho un po’ rotta, la tradizione degli artisti, perché sono una gallerista, una mercante, ma è anche questa una vocazione, un fuoco del quale non potevo fare a meno. E ho cercato, attraverso il mio lavoro contemporaneo con gli artisti che seguo — che sono pochissimi ma che adoro, ammiro e curo — di portare la memoria, mescolando il tutto in un gioco tra passato e futuro.

Come hai iniziato?

Ho lavorato degli anni per un gallerista molto in gamba ma molto improntato sul commercio. È stata una esperienza molto formativa per me. Poi cresci, maturi, fai i conti con te stessa e cerchi la tua strada. Ora ho una ricerca estetica molto forte, do priorità all’identificazione.

Sarò sempre riconoscente anche alla fiducia che mi hanno dato artisti come Ugo Riva, Federico Severino, Gaetano Pesce, Girolamo Ciulla, fiducia che mi ha dato sostegno e impulso.

Come trovi i tuoi artisti?

Vado a caccia, cerco, guardo fino a quando non sento quel brio, ed è una grande soddisfazione quando lo trovo. Gli artisti di oggi colpiscono perché sono identificativi; sei tu, è il tuo mondo. Poi alle persone piacciono o non piacciono, lo vedo alle mostre, e io preferisco questa definizione alla reazione indiferente o confusa davanti a un’opera.

Per me ci deve essere, con i miei artisti, una sorta di intimità di pensieri, di empatia, ci si deve un poriconoscere; loro dicono che sembro dei mercanti di quarantanni fa. Probabilmente non avrò mai la popolarità di una galleria commerciale, ma non mi riesce fare altrimenti. Devo credere nella persona che rappresento.

Chi è venuto a questa mostra “Noi, neanche dannati” di Elena Mutinelli?

C’è stato un pubblico eterogeneo e sorprendente. Oltre al pubblico che cerca l’arte, ho vissuto la gioia di vedere dei ragazzi giovanissimi, attorno ai vent’anni, entrare e guardare una ad una le opere della Mutinelli, così forti, espressive. Signore anziane che forse erano uscite a fare una passeggiata e si sono intrattenute un’ora e mezza. La copia di poliziotti che, passando, hanno visto il giardino e sono entrati incuriositi e sono rimasti a guardare.

Se vedi i grotteschi di Elena Mutinelli, è a loro che sono ispirate le opere, alla vita quotidiana; lei ha fatto posare gente che incontriamo per strada: questa è la cosa bella degli artisti. A volte trovi invece queste star, più che artisti, così costruiti nell’immagine, che non si avvicinano. Ma l’arte è proprio quella, dal nulla, un atto in sé. Queste cose così frigide, molto pensate, che le devi studiare per capire, non mi interessano.

C’è qualche mostra in programma?

La scultura, come si può vedere, è stata il mio primo amore. Ma c’è un pittore che mi ha molto colpita, Giuliano Macca, con il quale abbiamo organizzato una collaborazione, e così a settembre ci sarà qui la sua mostra.

Chi sono i bambini che custodiscono il giardino?

Siamo tutti i nipotini scolpiti da nonno Marcello. Questo giardino è sempre vivo in primavera, tra mostre, studi, laboratori di poesia, letture, serate teatrali. L’anno scorso in una serata d’estate, c’era la compagnia teatrale e in un momento evocativo di un attore, con le luci soffuse, il melograno iniziò a buttare i fiori. Siamo rimasti tutti incantati, a bocca aperta. Sarà stato un lieve vento, ma a tutti è sembrata una specie di magia.

Intervista a cura di Mercedes Viola

(L’intervista in loco è stata realizzata prima dell’emergenza Covid-19)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Credits photo cortesia di Gabriele Rigor

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