Quest’anno festeggia dieci anni di vita la Collana della casa editrice Giulio Perrone Editore chiamata “Passaggi di Dogana”, che dal 2012, coniugando l’amore per il viaggio con la letteratura, permette al lettore di viaggiare con i libri stando comodamente sul divano di casa. Si tratta di una serie di vere e proprie guide letterarie, concepite proprio come narrativa di viaggio piuttosto che come tradizionali guide turistiche e, che seguendo le tracce di scrittori e non solo, hanno il potere di condurci alla scoperta di città e luoghi ricchi di suggestioni.
Un progetto che non solo esplora le connessioni tra luoghi e letteratura ma spesso si apre anche a suggestioni legate al cinema o alla musica. Numerosi sono i titoli e le rispettive destinazioni: si va da “A Londra con Virginia Woolf “di Cristina Marconi ” A Praga con Kafka” di Giuseppe Lupo, ma si esplora anche la narrativa novecentesca autoctona tra strade decadenti e il fumo di sigari con “Cuba, Altravana” di Davide Barilli; si percorre a perdifiato “New York, una città di corsa” col suo vortice di attività, stimoli, culture, stereotipi insieme a Chiara Marchelli; si può vagare tra le strade della capitale francese con “A Parigi con Colette” di Angelo Molica Franco ma pure ” A Parigi da Hemingway a Cortázar” di Nicola Ravera Rafele. Si può andare “A Lisbona con Antonio Tabucchi” di Lorenzo Pini o a “San Francisco con Lawrence Ferlinghetti” di Olga Campofreda, recarsi “In Colombia con Gabriel García Marquez” di Alberto Bile Spadaccini fino ad arrivare “A Città del Messico di Bolaño” di Alessandro Raveggi, senza trascurare “A Napoli con Totò” o visitare “La Genova di De André” con Giulia Malatesta; Graziano Graziani ci fa viaggiare con “A Venezia. Da Brodskij a Bolaño” e Giorgio Comaschi ci porta tra i portici di “A Bologna con Lucio Dalla”; una immersione nella poesia con “A Roma da Pasolini a Rosselli” di Giorgio Ghiotti fino a fare un viaggio nella psicologia insolita di una città sospesa con “A Salerno” di Corrado De Rosa …
Non mancano Bari, Milano, Firenze, Dublino, Stoccolma con le loro molteplici connessioni letterarie e non solo… Insomma gli autori intraprendono questo progetto con l’idea di poter mettere insieme una città che amano con uno o più artisti che li abbiano segnati, affascinati, influenzati.
La scorsa estate è arrivata una Berlino speciale con Ilaria Gaspari, scrittrice e filosofa con cui abbiamo festeggiato a Parma gli otto anni di vita della Libreria Diari di bordo di Borgo Santa Brigida.
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Ilaria sono passati pochi giorni dalla festa di compleanno della nostra Libreria, in cui hai incantato un pubblico numeroso raccontando la guida della collana “Passaggi di Dogana” di Giulio Perrone Editore dal titolo “A Berlino con Ingeborg Bachmann nella città divisa “.
Vuoi dettagliare ai lettori di Satisfiction come è nata l’idea di scrivere un libro su Berlino per questo progetto che esplora connessioni tra luoghi fisici e letteratura e, una volta che la scelta è caduta su Ingeborg Bachmann, se ti è stata lasciata piena autonomia di impostare tono e impianto dell’opera?
Sì, assolutamente. Il bello della collana Passaggi di dogana è che l’idea alla base di tutti i libri è sempre la stessa – sono piccole guide di città viste attraverso gli occhi, o i passi, di loro cittadini illustri – ma poi ogni autrice, ogni autore, la sviluppa a modo suo. Nel mio caso, devo dire che mi aspettavo di occuparmi di Parigi, una città in cui ho abitato per quattro anni; ma il Passaggio dedicato a Parigi era appena stato affidato a Nicola Ravera, che ha scritto, peraltro, un libro bellissimo. Berlino era una sfida: una città che conoscevo bene, ma non benissimo. Ci si è messa di mezzo pure la pandemia, quindi il viaggio per documentarmi l’ho dovuto rimandare a lungo. Ma non sempre gli imprevisti sono un male: in questo caso, la continua procrastinazione del viaggio mi ha permesso di iniziare a viaggiare con la mente, ben prima di partire. Su Berlino esiste una letteratura sterminata, ci sono libri meravigliosi che la raccontano; e l’idea che avevo avuto all’inizio, di prendermi come guida Ingeborg Bachmann, che a Berlino aveva vissuto solo per due anni, ma anni cruciali sia nella sua vita, sia nella vita della città, più ci riflettevo, più studiavo, più mi sembrava un’idea urgente, una ricerca fondamentale, per me, in quel momento. Così è successo che nella mia testa, prima di partire, grazie a questa libertà che mi è stata lasciata di interpretare l’idea di Guida come piaceva a me (una libertà che poi ho ritrovato anche in fase di editing: con me ha lavorato Chiara Pallotta, editor bravissima, sensibile e intelligente), il mio Passaggio di dogana è diventato un ibrido fra un reportage, una caccia al tesoro e una storia di fantasmi.
Leggendo la tua Guida viene voglia di approfondire la conoscenza di Ingeborg Bachmann e il ritratto che ne viene fuori è quello di una Donna estremanente libera e allo stesso tempo vulnerabile e fragile, tuttavia sempre capace di attraversare sofferenze d’amore e dolori terribili con la sfrontatezza dell’ironia. Come è già accaduto dal vivo in libreria, riesci a raccontarci al meglio la scrittrice austriaca?
Sì, Ingeborg Bachmann è una figura molto particolare, un caso abbastanza unico nel panorama del Novecento. Oggi è considerata un’autrice raffinata e dunque “per pochi”: è vero che la sua scrittura è estremamente raffinata, però è falso che sia “per pochi”. I suoi libri, fino alla metà degli anni Settanta, sono stati tutti dei casi editoriali; era una scrittrice conosciuta e molto amata dal pubblico. Dopo la sua morte, le è stato cucito addosso il santino di donna tormentata, sofferente; di amore infelice di Paul Celan. In realtà, leggendola con attenzione, si scopre che aveva, sì, una facilità lirica impressionante – per cui le sue poesie hanno una concretezza che fa quasi paura, ti parlano, anche se non sai niente di lei, ti toccano, ti costringono a abbandonare l’indifferenza – e un’intensità anche nevrotica, molto alta. Ma si sente anche, fortissimo, il suo amore per la vita; il suo senso dell’umorismo, caustico fino a essere distruttivo; i suoi tormenti amorosi, che non sono quelli di una “dolcemente complicata” e nemmeno di una vittima di “minuetti”, ma nascono dal contatto incendiario fra la sua vocazione artistica, il suo disordine creativo, la forza del suo pensiero, e la realtà di tutti i giorni, la prosaica vita quotidiana con uomini che, dopo un po’, le tarpavano le ali. Una cosa che mi ha colpita, di lei, è il fatto che aveva tantissimi amici, veramente tantissimi, amici devoti, che le volevano bene, che la proteggevano; eppure, è morta sola, nella sua Roma, la città che aveva scelto come seconda patria: una patria senza legami di sangue, solo di vita, di desiderio, di sole. Anche la sua morte fa parte della leggenda: pare un suicidio per atto mancato, i barbiturici l’hanno protetta dal dolore e così non si è accorta che la vestaglia che indossava era andata a fuoco per colpa della brace di una sigaretta fumata a letto. Una morte tremenda – dopo le ustioni, la corsa in ospedale, la sua padrona di casa che nel disordine non trova i documenti, e allora, al posto della carta d’identità, porta in ospedale con lei una copia del suo romanzo, Malina, in cui peraltro la morte per fuoco è evocata più e più volte. Se non è, questa, una morte da scrittrice, io non saprei proprio quale possa esserlo!
Nel tuo personalissimo Passaggio di Dogana più che dalla guida vera e propria su una città di libertà come Berlino, il lettore viene assorbito principalmente da questo lungo e appassionato omaggio a Ingeborg Bachmann. Eppure è presente costantemente questa sottotraccia nel segno di una geografia emozionale che racconti al meglio il cuore di una città. Vogliamo approfondire meglio il legame con Berlino e di conseguenza quello più lungo e duraturo con Roma… e non solo di Ingeborg Bachmann ma, a questo punto, pure di Ilaria Gaspari?
La cosa divertente è che ho inseguito Bachmann per le strade di Roma e poi per quelle di Berlino, ma né io né lei siamo romane, e nemmeno berlinesi. Lei, austriaca di nascita, sente molto presto che la Carinzia è un orizzonte troppo angusto; il trauma, poi, dell’annessione alla Germania nazista si appiccica al rapporto con la sua terra natale, come un marchio d’infamia. Lascia l’Austria molto giovane, dopo gli studi di filosofia a Vienna, e poco dopo approda in Italia. L’Italia, lo scriverà e lo ripeterà spesso nelle interviste, è il posto in cui ha imparato a vivere. A Roma arriva da turista, e finisce per diventare romana, a modo suo, naturalmente: quasi tutta la sua vita adulta, alla fin fine, con qualche interruzione, la passa a Roma. Cambia casa varie volte, ma rimane sempre nel centro storico; lavora come corrispondente per una radio tedesca, nel frattempo, e scrive per i lettori tedeschi un reportage romano (Quello che ho visto e udito a Roma, pubblicato da Quodlibet) che è davvero molto bello, e che mi ha fornito il modello per il mio reportage berlinese, insieme a Luogo eventuale (ed. SE), il testo del discorso con cui ha accettato il premio Büchner, e che è una specie di passeggiata allucinata per le strade di Berlino, in cui la città è immaginata come un paziente appena operato. L’operazione, che ha lasciato un’importante cicatrice, è naturalmente la costruzione del Muro. Gli anni che ha vissuto a Berlino infatti, fra il ’63 e il ’65, sono cruciali per la città appena divisa, ma anche per lei, che proprio lì, dove arriva col cuore spezzato dalla fine di una storia d’amore importante, inizia a progettare il suo ciclo di romanzi, Todesarten (di quattro pensati, e iniziati, ne porterà a compimento solo uno). Per me, Berlino è una città profondamente creativa, quasi ribollente di ispirazioni, e ne ho avuto la conferma proprio inseguendo Bachmann. Ci ho abitato per parecchi mesi, negli anni dell’università, e tanti miei amici ci vivono ancora, quindi quando ci torno mi sento a casa, anche se è una città enorme e non posso dire di conoscerla tutta. Certo, dopo aver scritto questo libro ho la sensazione di una nuova, speciale intimità con la città; come se condividessimo un segreto. E anche a Roma, dove vivo anche se sono di Milano, quando passo da certe strade del centro penso sempre a lei, che parlava romano con il suo accento teutonico.
Buone Letture , a questo punto, con i Passaggi di dogana!
Antonello Saiz