Nel mio girovagare e curiosare per il mondo, variando destinazioni e orizzonti, rimane sempre la costante delle librerie. In una delle più immense, lo Strand Bookstore di New York, che vanta di avere 18 miglia di libri (la lunghezza che raggiungerebbero tutti i suoi tomi se allineati in strada), mi sono imbattuta in un libro dal titolo d’immediato richiamo: The Misfit’s Manifesto di Lidia Yuknavitch, pamphlet originato dal Ted Talk The Beauty of Being a Misfit ha totalizzato oltre due milioni di visualizzazioni.
Ohibò cosa significa misfit? La parola è composta da mis+fit ossia qualcuno che non si adegua ma anche miss+fit qualcuno che manca di adattarsi. Insomma, un disadattato, un disinserito ma anche uno sbalestrato, uno spostato.
Il rapimento per quel titolo è presto spiegato: il termine più usato, e abusato, per descrivermi, ovunque nel mondo, a diverse latitudini, in differenti lingue e da svariate persone è sempre stato “Tu sei pazza, fusa, spustada, loca, crazy …”
Sono nata da due famiglie benestanti provenienti da due laghi, il Maggiore e il Como, nello specifico, mamma di Luino e papà di Bellano, entrambi luoghi che hanno dato i natali a scrittori, cabarettisti, poeti, cantastorie, affabulatori. Sono una bi-laghee, termine che indica i nativi del lago, una bipolare certificata, anzi una tripolare, una bilingue, una bisessuale. Insomma, sono binaria in tutto e ricordo ancora come a 18 anni in solitario ritiro per preparare la maturità nel paesino di Bellano, dove la famiglia di papà è molto conosciuta, me ne andavo in giro con il mio amato cucciolo, Chanel, e i rollerblades ai piedi parlando con il cane come fosse un umano. Non ci volle molto perché la popolazione del borgo, diffidente e curiosa, iniziasse a far circolare la voce che la figlia del Denti fosse una “spustada”. Una con le rotelle, non solo quelle dei pattini, fuori posto. Una fuori posto, appunto. Ironico che il mio soprannome sia nato in un paesino dove al centro anziani campeggia una frase del drammaturgo nordirlandese Samuel Beckett che recita: Tutti nasciamo pazzi. Alcuni lo rimangono. Io ci sono nata e ci sono rimasta.
Non ho mai amato i gruppi, le compagnie, gli sport di squadra, il team-work. Sono sempre stata una socievole solitaria, all’apparenza solare e ciarliera ma nella sostanza lunare e silente. Lunatica, dal mio segno il Cancro, termine che in italiano significa umorale mentre in inglese, lunatic, si traduce con pazzo furioso. Sballottata e sballata dalla mia irruente e irrefrenabile energia.
Ho scelto di fare la traduttrice e la scrittrice, entrambi mestieri solitari.
Sulla mia carta d’identità alla voce stato civile si legge “libera”.
Amo la corsa, rigorosamente da compiere in solitudine, preferibilmente in natura, nei miei amati boschi affacciati sul lago.
Non ho mai convissuto con nessuno, maschio, femmina, cane, gatto da quando sono uscita dalla casa di famiglia.
La mia relazione amorosa più duratura non supera i due anni.
Non ho voluto figli.
Non ho voluto marito. Ad eccezione di quello delle altre …
Ho parecchio faticato per “fit in”, inserirmi, perché a me non è mai piaciuto seguire ma andare. Per i cazzi miei. In ogni campo della mia vita, professionale e privato. Sono allergica al posto e all’uomo fisso, cambio direzione di continuo, la mia unica coerenza è l’incoerenza. La mia non è incapacità all’adattamento, direi più disinteresse per il conformismo.
Eppure da adolescente, il mio essere così “fuori” norma è stato fonte di preoccupazioni, mie e dei miei, di disagio, di sofferenza. Perché io che avevo tutto, una bella famiglia, una bella vita, una bella presenza, non riuscivo ad adattarmi alla vita borghese e “normale” che i privilegi ereditati mi avevano spianato?
Perché dovevo sempre cacciarmi nei guai?
Perché mal sopportavo le regole?
Perché ogni passo corretto e coerente a me richiedeva una tale sofferenza?
Sempre bastian contraria, anticonvenzionale, polemica fin dai tempi del liceo, dove a 17 anni mi beccai il temutissimo 7 in condotta per aver polemizzato a muso duro, anzi durissimo, con l’insegnante di religione. Un povero di spirito che mi fece sospendere e nella pratica scolastica rimandare con tutte le materie a settembre. Persi l’anno e dovetti cambiare scuola perché ero persona non grata. E finii in una scuola privata di dubbia reputazione, dove “intrallazzai” una relazione obliqua con il preside di 31 anni. Non chiamo a difesa, preferisco l’attacco, nessun #MeToo e non inserisco una narrazione da vittima perché ero ben consapevole e disponibile al rapporto. Più che altro amoroso e non sessuale, ad eccezione di qualche limonata in presidenza e un paio di palpatine. Santa Subito.
Altro lato positivo del cambio di liceo – con il sen(n)o di poi – fu ritrovarmi in classe con il nostro direttore Gian Paolo Serino, mio compagno di merende con il quale s’accendevano di continuo aspre polemiche e litigate epiche. Eravamo nitro (lui) + glicerina (io).
Come avrebbe potuto essere diversamente con le nostre anime oltre il sensibile, tormentate e sempre alla ricerca? Generose. Buone di una bontà che va difesa con le zanne.
Oggi, grazie al New York Times, scopro di essere una permalancer. Ossia una permanent-free-lance.
Non sono nemmeno mai (alla faccia della reiterazione) stata assunta.
Mai avuto un capo. Una capa, la mia, sì.
Mai stata in grado di reggere un colloquio di lavoro.
Ho sempre fallito, anche se non sono un fallimento.
Attanagliata e stroncata da una viscerale insicurezza. Che diventa strenua violenza. Dagli altri. Dalla finzione. E che mi porta a scalciare e cacciare.
Non si sceglie di essere outcast, ci si nasce.
E il sentiero, accidentato e deviato, per arrivare ad accettarlo, senza accettarsi le vene, è tortuoso, tormentoso, impetuoso.
Sempre On The Road, la nostra, scoperta, non spianata, avventurata, non indicata.
Un’esplorazione intima e intimata, ritmata sul nostro animo, turbato e spostato, non sposato e spossato.
La Bellezza di Essere Spostati … Ascoltate il Talk di Lidia.
Un inno sofferto e offerto per i perdenti, per gli opachi, per i ritrosi. Perché fallire fa parte della vita. Non arrivare ma camminare, anche acciaccati, è una vittoria.
Il fallimento richiede grande coraggio, incoscienza e resilienza per essere sostenuto e vissuto.
Ogni passo nel mondo esterno per uno spostato è uno sforzo incredibile perché le voci che percepiamo sono assordanti e di rimando facciamo rumore. Caos. Casino.
Non mi arrendo e non mi svendo.
Sono una misfit.
Una Miss-Fit.
E non vorrei, né potrei, essere altro.
Perché lo sono? Sto ancora indagando.
La strada è vita. Da percorrere e percuotere.
Vorrei essere incisiva per non incidermi.
“Nel mio libro ci sono le storie di quante volte ho dovuto reinventare me stessa dalle rovine delle mie scelte … le storie dei miei presunti fallimenti che poi erano solo strane vie verso qualcosa di meraviglioso ” dice Lidia raccontando i numerosi e fragorosi fallimenti della sua storia.
Ascoltate la vostra storia.
Perché è vostra.
Abbiate l’ardire e l’ardore di mandare tutto e tutti affanculo se non l’ascoltano.
Tanto l’avrete sempre.
La vostra storia.
E voi.