Set/ott 2016
giorno 0
Padania è un lavoro di qualità e lo s’intuisce sin dalle prime battute. La buona fattura trasuda il lavoro, la riflessione, la fatica, l’energia e il tempo spesi nella creazione, tanto quanto il talento e l’esperienza che oggi permettono all’autore di poter raccontare… di poter scrivere, di saper e di volere scrivere.
giorno 1
Bevo tutto d’un fiato le prime quaranta pagine di Padania, mettendo un segnalibro all’inizio delle note per non lasciare scuse alla pigrizia e alla voglia di non interrompere la lettura della narrazione.
Mi sembra come se a narrare la storia fosse un uomo degli anni ’50 o ’60, seduto però dentro un bar della nostra epoca. Ho come l’impressione che Max – il personaggio principale del libro che narra la propria storia in prima persona – debba uscire dal pub dopo aver finito la sua birra rossa e balzare nell’altra epoca o dimensione parallela, oppure entrare nel pub e ottenere lo stesso risultato.
Credo comunque che le note, sebbene non a piè di pagina poiché costituiscono anche un piccolo saggio a se stante, facciano parte del sartiame di un vascello realista, nel quale, nonostante le modellature moderne (forse sarebbe meglio dire “postmoderne”), la non-finction rappresenta l’ossatura dello scafo.
Mi interrogo sulla brevità di certi paragrafi ma l’aver letto le prime pagine tutto d’un fiato e il sentirmi dentro la storia mi fornisce già le risposte.
giorno 2
Questo Paese (l’Italia, perché Padania non parla solo di Padania) è una culla storica che sotto sotto ribolle di una dinamo inesauribile di vicende e sofferenza, e la Parola e la ricerca della stessa – sulla stessa – hanno e devono avere un peso non indifferente. Padania non si tira indietro.
Mi piace molto la scelta del tempo presente nella narrazione così come il narrare tramite il proprio alter ego. Massimiliano Santarossa evidentemente mette a frutto gli insegnamenti della sua formazione e l’esperienza dello scrivere da diversi anni, oltre al donarsi senza riserve.
Arrivo quasi alle cento pagine – tra la fine della Perdita (cap.1) e l’inizio del Cammino (cap.2) – e rifletto su altri aspetti: la descrittività si sposa bene con i personaggi introdotti a sorsi leggeri e il ritmo della narrazione appare azzeccato.
L’introspezione di Max e la sua osservazione del mondo là fuori, sono una bella riflessione sull’uomo, sull’esistenza, sul dolore, sul superfluo: tutti quegli aspetti e oggetti materiali, insomma, che non alleviano di un grammo il dolore della perdita e i vuoti dell’esistenza.
giorno 3
Comincio a chiedermi che tipo di bevitore sia Max, per provare a “entrare” nel suo punto di vista seppur con i limiti ovvi del caso. E capisco che Max è un bevitore di quelli che bevono per dimenticare, o meglio, che s’illudono di poter dimenticare bevendo. Non a caso, i suoi “appuntamenti” con il pub confermano una sorta di dipendenza psicologica che altro non fa se non amplificare i suoi mostri… i suoi baratri.
Una cosa è certa: credo che Padania riesca raccontare non solo ciò che il proprio nome contiene a livello sociale, storico e geografico, ma anche l’uomo e il suo animo, il dolore, la sua anima, il mondo materiale, e lo scrivere con tutta la fatica a esso necessaria.
Oltre le cento pagine, Padania mi appare già come un libro completo, e non riesco a scorgere bugie. Dopo le cento pagine, Padania schiaccia sull’acceleratore. Dalla Perdita al Cammino, attraverso il circo umano e le sue miserie: l’aspetto psicologico/psichiatrico diviene più intenso. Si va verso la metà del libro. Si entra nel vivo.
Padania splende anche nella sua forma in un’assenza di refusi, errori di sintassi o di battitura e simili, testimoniando la fatica, la ricerca e l’attenzione nell’insieme così come nei dettagli che ne danno un’immagine solida, ricercata, valida, riuscita.
giorno 4
Attraverso il sesso, la pornografia, le dipendenze e gli scompensi fisici e psicologici, il romanzo scorre sulla sua Alfa 4C attraversando le città del postmodernismo e le periferie della metanarrativa, per arrivare a quel Realismo immobile e fragile come lo specchio d’acqua di una piscina che riflette il cielo; un Realismo nel quale si specchia anche il disastro socio-culturale della società italiana moderna… e forse di tutto l’occidente.
Max potrebbe uno qualsiasi di noi. Max è uno di noi. Noi stessi potremmo essere Max.
giorno 5
Eccomi a rotta di collo oltre le duecento pagine. Dopo aver schiacciato sull’acceleratore, Max riempie le pagine con le proprie riflessioni, introspezioni, analisi, autoanalisi. Dalla Perdita al Cammino, fino all’Incontro che inevitabilmente contiene i primi due.
Attraverso le notti e i mostri notturni e diurni, e lo faccio assieme a Max, perché ormai ho capito cosa e come beve, quel che crede o che forse non crede, e penso di aver anche capito il perché scrive e i motivi per i quali non scrive più.
Tra eccessi e rumori bianchi, tra fughe e ritorni all’inferno, tra commedie umane e tragedie da miseria umana, ecco una fuga – forse l’ultima – verso la speranza. E cos’è che dà speranza se non l’amore? Deve però trattarsi dell’amore vero, quello incondizionato, che ti danna l’anima come quello per una figlia morta o l’unico che ti tiene ancora in vita come quello per il figlio che è rimasto.
Ed ecco che tutt’a un tratto, Padania è scivola via, pagina dopo pagina, lampione dopo lampione, oscurità dopo luce fugace prima della prossima oscurità… prima della prossima effimera luce.
Padania è il romanzo di un amico. Ho cercato di leggerlo da “sconosciuto” e sono diventato amico del protagonista. Ho bevuto con lui. Ho bevuto le pagine… le parole.
Padania è un romanzo da bere, da assaporare, da buttar giù tutto d’un fiato, da sorseggiare… e del quale accettarne le conseguenze.
Padania è un romanzo che ho letto in cinque sere. Buttato giù come cinque shot del mio whisky preferito. E il prossimo lo bevo a Max.
La fatica talvolta paga. E in questo romanzo c’è la fatica dello scrivere e del vivere, c’è tutto l’autore, ci siamo tutti noi.
La fatica, talvolta, paga.
Francesco Canino