E’ arrivato in libreria lo scorso maggio per nottetempo il romanzo ‘ Il Mostro ‘, esordio dello scrittore toscano Alessandro Ceccherini. L’azione narrativa si svolge in un arco temporale che va dal 1935 ai giorni nostri e racconta le vicende di una delle pagine più oscure e spaventose del nostro paese, quelle relative agli omicidi del Mostro di Firenze. Partendo dalla serie di efferati delitti avvenuti nella provincia fiorentina, a partire dal 1968, si va a ricostruire una storia di cronaca complicata e mai risolta con certezza. Ma la forza di questo romanzo è tutta nella capacità dell’autore di andare, con l’invenzione narrativa, a colmare vuoti e lacune che la verità giudiziaria ha lasciato dietro di sé.
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Alessandro sono passati sei mesi dalla pubblicazione del tuo romanzo d’esordio e ti voglio fare un paio di domande per capire come entrare col giusto passo tra le pagine di questa storia complessa e particolare. In questi mesi abbiamo fatto diverse presentazioni online e dal vivo assieme, perché come sai Il Mostro è uno di quei libri che mi ha molto coinvolto per la tematica ma soprattutto per l’elevato grado di letterarietà del racconto. Intanto partirei dal titolo per chiederti di portare i lettori di Satisfiction nel dietro le quinte di lavorazione del libro e raccontarci più in generale come è nata l’idea di questo romanzo, il tipo di ricerche compiute e poi il processo di scrittura e quali percorsi hai intrapreso prima di arrivare a pubblicare con nottetempo?
Innanzitutto grazie, Antonello, per l’apprezzamento e il coinvolgimento che hai manifestato per Il Mostro fin dal nostro primo incontro a Bologna. Che questo interesse venga da te, lettore fortissimo e libraio, mi dà una grande soddisfazione.
Veniamo alla prima domanda. Il Mostro cui fa riferimento il titolo è il Mostro di Firenze, l’entità oscura che muovendosi nel buio dei noviluni ha tolto la vita ad almeno 7 giovani coppie, forse 8. Tralasciando quelli che possono essere considerati omicidi collaterali alla vicenda, l’impossibilità di specificare con assoluta certezza l’inizio della serie omicidiaria, e quindi il numero esatto delle vittime, è uno degli elementi interrogativi che caratterizzano la vicenda. Il primo delitto, avvenuto nel 1968, viene infatti collegato alle indagini sul Mostro soltanto nel 1982, poco dopo il duplice omicidio di Baccaiano (quello dei ragazzi ritrovati in auto), con modalità rocambolesche e dubbie ma con conseguenze enormi, infatti la scoperta di questo nuovo momento di genesi del Mostro porta nelle indagini la famosa pista sarda che assorbirà le attenzioni degli inquirenti fino all’89, poco prima dell’avviso di garanzia inoltrato a Pietro Pacciani (in quel momento in carcere per le violenze sulle figlie). Questo esempio dovrebbe dare l’idea del ginepraio composto da dati oggettivi, supposizioni, teorie di ogni tipo che hanno cercato di spiegare una vicenda in cui la verità giudiziaria non è riuscita a fare chiarezza.
Io sono toscano, e uno degli omicidi è avvenuto a pochissimi chilometri da casa mia. Ho sempre conosciuto la vicenda come tutti, ovvero un po’ superficialmente, in una narrazione che iniziava e finiva con Pacciani e i compagni di merende: una narrazione grottesca e ridicola (del resto le serate a tema Mostro si esaurivano nel rivedere i video dove quegli uomini di provincia, a processo, davano spettacolo). Però la storia del Mostro di Firenze racchiude gli aspetti peggiori dell’uomo, che hanno sempre a che fare col potere (uccidere, alla fine, è imporre un potere annichilente sull’altro), e l’idea nucleare che avevo per il romanzo era di scandagliare la malvagità declinata nei vari strati sociali seguendo una struttura specifica.
La mia immersione nella vicenda ha prima di tutto avuto lo scopo di assimilare quanti più elementi possibile, in modo da poter delineare la realtà e gli spazi che, al di fuori di essa, sarebbero stati disponibili per l’invenzione letteraria. Parlando di elementi oggettivi, si parla in primis di dinamiche omicidiarie, e per questo il romanzo racconta ogni singolo omicidio: tentare una spiegazione di ciò che è avvenuto a Baccaiano nell’82 o a San Casciano nell’85 (i due delitti tuttora più dibattuti nei tentativi di ricostruzione) era per me fondamentale, è infatti in quei momenti che l’invenzione tocca la realtà. Sorvolare su tali aspetti, per quanto disturbanti, sarebbe stato per me una vigliaccheria. Del resto, oltre agli omicidi, sono molti i crimini orribili che racconto: questo romanzo ha al suo centro alcune delle peggiori manifestazioni umane, e il mio obiettivo, fin dall’inizio, è stato quello di non chiudere mai gli occhi.
La storia è suddivisa in 66 capitoli e copre un arco temporale che va dal 1935 al 2022. Per scrivere un romanzo così vasto c’è stato bisogno di sviluppare un certo tipo di struttura, in modo da raccontare nel modo migliore l’evolversi degli eventi e dei personaggi. Il tipo di scrittura è legato a ciò che ho scritto prima di questo mio esordio con nottetempo, infatti ho pubblicato una decina di racconti su varie riviste letterarie negli ultimi anni e questi testi, più o meno brevi (un racconto era lungo circa 40.000 caratteri), mi hanno permesso di sperimentare stili diversi e di trovare una modalità di scrittura a me congeniale per un certo tipo di narrazione: al presente, in terza persona, con una presa diretta costante con cui entrare nei personaggi e al contempo dare agli eventi un forte potenziale emotivo.
Ho pubblicato questo romanzo con nottetempo passando per varie contingenze fortunate, prima fra tutte l’arrivo di Alessandro Gazoia alla direzione editoriale e la sua sensibilità nello ricerca di nuovi autori. Alla fine, dopo un anno di lavoro quotidiano molto intenso, il romanzo è arrivato alla sua forma definitiva, e anche in questo devo ringraziare Gazoia perché mi ha fatto da editor e insieme siamo stati a lungo sul testo che necessitava molta attenzione.
Sono tanti i personaggi e le storie che animano l’intera narrazione. Ci sono tre grandi figure ben delineate e caratterizzate e poi tutta una serie di personaggi che animano l’intreccio di un noir avvincente tutto giocato intorno a una serie di vicende, mediaticamente molto conosciute, ma con tanti angoli bui ancora da indagare e illuminare. Ed è in quella intercapedine che ti inserisci tu narrando, con una penna sapiente e felice, uno dei grandi misteri irisolti della storia italiana. Al netto dell’accurato è approfondito lavoro di documentazione, vogliamo raccontare nel dettaglio qualcuna di queste storie e di questi personaggi?
Nel romanzo non racconto solo del Mostro di Firenze, ma anche di altre vicende terribili accadute in Italia e specialmente in Toscana in quegli anni. Protagonisti sono Pacciani e molte altre persone realmente esistite, al cui fianco si muovono personaggi inventati. Guido è uno di questi ultimi: un ex mercenario, un uomo plasmato e traumatizzato dalla guerra, vicino all’estrema destra per ideologia ma disilluso; uno strumento poco consapevole nelle mani di qualcun altro. A manovrarlo c’è infatti Filiberto, personaggio di spessore legato ai servizi segreti, attraverso cui è possibile sbirciare all’interno delle trame che hanno destabilizzato la società italiana; egli si occupa essenzialmente di informazioni, di come esse circolano tra la popolazione e di quali debbano essere tacitate, questo negli anni in cui anche la morte veniva usata come strategia comunicativa. Altro personaggio è Ferruccio, un medico guidato dalla ricerca del piacere e del superamento del limite che trova nell’esoterismo la risposta alla fame d’infinito. Jack invece è un agente statunitense mosso da un universo interiore di ardua comprensione, unico personaggio su cui non pongo mai il focus della narrazione.
I carnefici non sono i soli protagonisti della storia, ci sono anche testimoni più o meno prossimi degli eventi, e quindi a essi legati. Nel mio romanzo ce ne sono un paio in particolare: Luciano, realmente esistente, e Corrado, inventato, che rappresentano i “buoni” e fanno da contraltare alle vicende sordide e terribili trattate nel romanzo.
Un resoconto in cui si ripercorrono anni crudeli di efferati delitti e menzogne, di farse e depistaggi. Anni mostruosi di colpevoli e combriccole di disgraziati, di mostri impuniti, di complotti e meccanismi oscuri di potere. Pietro Pacciani è morto nel febbraio del 1998 quando tu avevi solo tredici anni, eppure ancora oggi vengono fuori nuove tessere di un enigma incredibile. Secondo te quali sono le motivazioni che rendono le vicende del mostro di Firenze ancora capaci di fare presa in quello che è l’immaginario collettivo ?
Il Mostro, come Zodiac e Jack lo squartatore (non a caso serial killer indelebili nell’immaginario collettivo), nasconde un cuore umano, sebbene nero e sconosciuto. Quel che esercita un fascino innegabile su di me, e su molte persone, è il mistero, per due motivi: il primo è che rappresenta una sfida, una pagina bianca o appena scarabocchiata su cui è possibile scrivere qualcosa di proprio; l’altro può essere sintetizzato nella possibilità di interrogarsi sui temi fondamentali della natura umana. Ovviamente l’insoddisfazione rispetto alla verità giudiziaria (di per sé parziale in quanto non contempla la totalità dei crimini) è la base di tutto questo lavoro. Se si ritenesse che gli assassini siano stati Pacciani, Vanni e Lotti, allora il Mostro di Firenze perderebbe di colpo quasi ogni attrattiva, e non solo perché a quel punto la realtà sarebbe scoperta e quindi non ci sarebbe molto altro da dire sugli eventi, ma soprattutto perché tali personaggi non sembrano poter nascondere i moventi per atti così efferati contro la vita, che rimarrebbero quasi inspiegabili nella loro genesi. Non a caso Giancarlo Lotti, dopo aver accusato ed essersi autoaccusato, racconta di un fantomatico medico che la notte, dopo gli omicidi, in un oscuro parcheggio, si faceva consegnare le parti asportate dalle donne per ricompensare loro, gli esecutori, con un pagamento. Tutto qui: loro avrebbero ucciso giovani coppie e compiuto atti atroci sui corpi per un po’ di soldi. Certo, i soldi sono la più evidente manifestazione del potere, stanno quindi dietro a ogni male come a giustificarlo, ma gli interrogatori e controinterrogatori di Giancarlo Lotti alle udienze processuali sono su Youtube: andate a vederli e concludete da soli se quella testimonianza può costituire la base su cui erigere un solido castello accusatorio. Oltre questa, sono moltissime le evidenze che pongono dubbi su chi sia stato realmente a incarnare il Mostro in quegli anni, e in definitiva il Mostro di Firenze fa ancora presa sull’immaginario collettivo proprio perché il dibattito è tuttora apertissimo: ci sono state richieste di revisione processuale presentate ultimamente alla luce di nuove evidenze, richieste di accesso agli atti per indagini difensive fatte dalle famiglie di alcune vittime e perfino una recente commissione antimafia d’inchiesta. Alla fine dei conti, anche qualora si volessero prendere per buone le parole di Lotti e quindi considerare quei tre come gli unici esecutori materiali dei crimini, i mandanti di cui Lotti parla esplicitamente in quale anfratto di queste colline ricoperte di viti e olivi sono andati a nascondersi? Con Il Mostro ho cercato di dipingere un affresco coerente degli eventi e dei personaggi che in un universo possibile avrebbero potuto mettere in scena questa spietata manifestazione umana.