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Il sangue dei vincitori

Il 28 Settembre sono uscito di casa per andare al lavoro.

Ho visto una scena terribile, ho sentito degli spari, mi sono voltato e ho visto i corpi di una donna un uomo e un bambino davanti al panificio e una camionetta di tedeschi che si allontanava.

Lì vicino si erano nascosti anche dei ragazzi più grandi di me.

<<Che ci fate qui?>>

<<Siamo scappati dal riformatorio>> mi risponde il più alto e continua <<per combattere contro i tedeschi>>.

<<Vengo con voi, datemi solo qualche minuto>>.

Sono giorno molto brutti. L’Italia ha fatto l’armistizio e i comandanti italiani si sono arresi ai tedeschi.

Il comandante Scholl ha scritto che se non ci presentiamo per andare a fare i lavori forzati ci fanno fucilare tutti.

E così i soldati tedeschi se ne vanno in giro a sparare alle persone.

Non capisco come si faccia a obbedire così. Io faccio il commesso e ogni tanto sul lavoro quando danno un ordine c’è sempre qualcuno che si sbaglia, che disobbedisce anche solo perché non ha voglia di lavorare.

Perché invece quando ordinano di fare del male obbediscono tutti? E magari ci mettono del loro. Che lavoro deve essere il soldato?

Molti di loro sono giovani ma gli ufficiali no, quelli hanno anche dei figli e sanno cosa vuol dire voler bene a un figlio. E allora come possono ordinare di fare cose così brutte ai figli degli altri?

Comunque, se siamo uomini non possiamo fare altro che metterci a combattere.

Vado a casa prendo un pezzo di pane e una borraccia d’acqua e prima di uscire dico alla mamma: <<Mammà, nun m’aspettà, tornerò quann Napl sarà libera>>.

Adesso ci servono le armi, ho sentito che c’è una rivolta al Frullone, quindi, decidiamo di andare a dare una mano lì.

Quando arriviamo si stavano ancora sparando ma iniziamo a rubare le armi ai soldati nemici caduti e facciamo una bella scorta.

Ora le armi le abbiamo, bisogna aspettare il momento giusto per usarle.

Il momento arriva il 29, quando mi dicono che a Mugnano hanno fucilato dieci persone di cui tre donne e tre bambini.

Allora decidiamo di appostarci dietro a blocchi di cemento, lungo la strada tra Frullone e Marianella e aspettiamo che arrivi la camionetta dei tedeschi.

La camionetta arriva e inizio a tremare perché non ho mai sparato un colpo ma sento di dover vendicare quelle persone uccise e lo posso fare solo io.

Appena il camion si avvicina iniziamo a mitragliare, loro provano a scappare ma tiriamo una bomba a mano.

Si fermano.

Allora arrivo con il mitra in mano e gli grido: <<Uscite con le mani in alto>>.

Ho appena catturato il comandante che ha ordinato la fucilazione delle persone.

Parliamo un attimo e decidiamo di portare i prigionieri nel campo dei partigiani.

Quando arriviamo lì ci portano dal comandante: <<Ho catturato un ufficiale tedesco>>.

<<Bravo, quanti anni hai?>>

<<Dodici>>

<<Ma allora sei un eroe!>>

<<No, sono un napoletano incazzato>>.

Tutti si avvicinano e mi vogliono conoscere e mentre mi fanno le domande arriva la notizia che una colonna di blindati tedeschi sta cercando di attraversare Via Santa Teresa.

Parlo con gli altri ragazzi e decidiamo di andare ad aiutare le persone che hanno buttato i mobili in piazza per fare le bariccate.

Hanno anche rovesciato un filobus per bloccare la strada.

Bisogna impedire che i tedeschi passino la bariccata.

Allora inizio a prendere delle bombe a mano e insieme a un mitragliere entriamo nel Palazzo delle Maestre Pie perché se salissimo su un terrazzino potremmo attaccarli bene senza rischio di fare male a nessun altro.

Attraversiamo l’androne facciamo un paio di rampe e troviamo una stanza con un terrazzo che va benissimo.

Si vedono i blindati proprio sotto di noi!

<<Spara!!>> urlo.

E lancio, intanto una bomba a mano che fa un bel botto.

Il mio compagno mi copre mentre ne preparo un’altra e poi vedo una luce fortissima che mi abbaglia.

Quando la luce se ne va guardo la strada di sotto e non ci sono più le barricate, la strada è pulita e la città anche.

Scendo in strada e non ci sono più tedeschi, la gente cammina tranquilla, con addosso vestiti colorati e puliti.

Sembra un sogno, forse sono svenuto, mi sono addormentato e mentre dormivo è finita la guerra.

Allora devo correre dalla mamma, ho promesso che sarei tornato quando Napoli fosse stata libera.

Vado verso casa e tutto mi sembra molto più bello, sento intorno un’allegria che non vedevo da tempo e finalmente arrivo alla porta di casa mia, che trovo riverniciata e aperta.

Arrivo fino alla cucina e vedo mia madre seduta davanti al tavolo che guarda fuori dalla finestra, ha in mano un grosso astuccio e piange.

Davanti a Lei sul tavolo c’è una lettera aperta:

«Appena dodicenne durante le giornate insurrezionali di Napoli partecipò agli scontri sostenuti contro i tedeschi, dapprima rifornendo di munizioni i patrioti e poi impugnando egli stesso le armi. In uno scontro con carri armati tedeschi, in piedi, sprezzante della morte, tra due insorti che facevano fuoco, con indomito coraggio lanciava bombe a mano fino a che lo scoppio di una granata lo sfracellava sul posto di combattimento insieme al mitragliere che gli era al fianco. Prodigioso ragazzo che fu mirabile esempio di precoce ardimento e sublime eroismo. Napoli, 28-29 settembre 1943

Sulla lettera c’è scritto il mio nome Gennaro Capuozzo, partigiano combattente, medaglia d’oro al valor militare.

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