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In ricordo di Ernesto Sabato

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Carla Tolomeo

Carla Tolomeo è un’artista.

Difficile collocare la sua opera all’interno di uno schema. Ha dipinto, fatto sculture, ha scritto.

Le sue opere sono esposte in grandi gallerie sparse nel mondo.

Carla Tolomeo è un’avventuriera, di quelle che oggi sembrano scomparse dentro tempi telematici e senza rischio, senza avventure.

Ci regala un piccolo pezzo della sua splendida vita. La letteratura italiana è un fiume che lei ha sempre avuto la fortuna di sentire vicino. Era dentro gli eventi, interlocutrice e amica di scrittori che hanno fatto la storia.

Qui ci racconta un’avventura che potremmo definire “partigiana” perché ci sono le vite in bilico di uomini minacciati dal totalitarismo.

Uomini che lei sta cercando di salvare.

Siamo in Argentina, e in Paraguay. Siamo al tempo dei generali.

Ernesto Sabato appartiene a quella schiera gloriosa di scrittori immensi che hanno fatto l’Argentina.

Borges, Cortazar, Onetti, Soriano. Lui è tra questi, parla con questi e non gli invidia nulla.

Piccolo, con i baffi e i grandi occhiali, Sabato sentiva come suoi molti dei mali del mondo, i più meschini e li ha raccontati.

Amico intimo di Saramago, lo descrisse come un uomo che portava dentro un fiume nero.

Quello stesso – io credo – che condusse Conrad fino a Kurtz il pazzo, l’uomo diavolo.

Si dice che scrisse poco, io penso il giusto. Saldando il conto con quel destino che tanto talento gli aveva elargito.

Alla fine di questo racconto ci restano le tante domande, l’invidia per i viaggi, per le amicizie, ma soprattutto la voglia matta di saperne ancora.

Pierangelo Consoli

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Paraguay 1983

Mi sono svegliata con in testa le parole di augurio di Ernesto Sàbato per un buon ritorno e per la riuscita del nostro tentativo, a Ezeisa mi aspettava l’avioneta del benefattore grazie al quale avevo ottenuto un passaggio veloce in Argentina.

Arrivavo dal Paraguay, lì erano ancora anni difficili, sia per gli intellettuali, sia per chiunque pensasse con la propria testa, soprattutto per i preti, considerati troppo di sinistra, sovversivi e antigovernativi. Dovevo a Giancarlo (Vigorelli, ndr) il contatto con lo scrittore suo vecchio amico dai tempi della Comes (Comunità Europea degli scrittori). Era un tentativo quasi disperato: Sabato ci avrebbe dovuti aiutare a far uscire dal Paese un gruppo di studenti della Facultad, tra cui un seminarista, incarcerati senza un preciso motivo. Ma erano nell’occhio della Seguridad e potevano scomparire da un’ora all’altra: bisognava escogitare un convegno, qualcosa di irrinunciabile al quale invitarli e poi farli rimanere in Argentina tra i tanti amici che si sarebbero presi cura di loro.

In Argentina le cose iniziavano ad andare meglio dopo gli anni feroci di Videla e Sabato era a capo di una commissione che si occupava proprio dei perseguitati e “desaparecidos” durante gli anni del regime militare. Da anni viveva fuori dal tumulto della grande città ma era tornato a Buenos Aires per incontrarmi, dopo poche parole eravamo quasi amici, di lui ricordo l’aspetto assolutamente “italiano”, la grande umanità, la dolcezza.

L’ho ascoltato per ore, mi ha raccontato episodi di rara ferocia senza mai incitare all’odio o alla vendetta. La parola ricorrente era “Giustizia” ma nello stesso tempo esprimeva poca fiducia nel futuro “democratico” del suo grande Paese. Abbiamo anche parlato di letteratura; molto informato su quel che succedeva in Italia, rimpiangeva la grande speranza degli anni della Comes, quando avevano sperato di fondare una nuova società basata sulla cultura e non sui trattati commerciali, gli ho confidato il mio amore per il suo amico Borges, per tutti gli scrittori latino americani di cui mi ero nutrita al punto di farmi sentire a casa in questo nuovo mondo. Nel frattempo ci raggiungevano funzionari che avrebbero formulato l’invito e la richiesta di espatrio per i malcapitati ospiti delle carceri di Asunciòn. Ci siamo salutati con il rimpianto di non poter passare più tempo insieme ma era necessario che io tornassi in giornata per recapitare i documenti che nel frattempo Sabato aveva procurato.

Nessuno mi aveva avvertita di quanto è fredda la cabina di un biposto, ho affrontato il ritorno dopo essermi procurata un poncho da un venditore ambulante sulla strada per l’aeroporto, all’arrivo mi aspettavano Don Angelo e il caldo bestiale del paese subtropicale.

***

Guardo fuori dalla finestra, il cielo ha fatto le prove generali per una bella nevicata, pare proprio che imbiancherà. Starei tanto volentieri a letto ma devo uscire. Da quando ho due cucciole l’uscita è rituale, è l’unico modo per costringerle a una convivenza educata: non si fa la pipì in casa, e neanche il resto.

In questi ultimi anni, avendo passato il periodo più freddo dell’anno in Sudamerica, non sono attrezzata per la neve, non ho giacche impermeabili e neanche piumoni, intanto la neve continua a scendere.

Devo assolutamente uscire.

Carla Tolomeo – 1983 – In aeroporto

Ricordo all’improvviso il montone, sicuramente sepolto in qualche armadio, un capo bello che Giancarlo ha voluto regalarmi, era il 1983 e partivo per il Paraguay.

Il Paraguay è forse il paese più caldo tra Brasile Argentina e Cile, non ha accesso al mare così il suo clima è continentale, il che significa 50 gradi a dicembre e qualche giorno di freddo in agosto quando spirano dalla Patagonia i venti dal sud. Io partivo proprio in Agosto, avrei avuto alloggi di fortuna, sarei andata ad abitare in un villaggio della foresta, inutile spiegare a Giancarlo che bastava il poncho, qualche maglione e avrei superato tranquillamente quei pochi giorni freddi. È corso da Gherardini alla ricerca di capi invernali. In quegli anni dirigeva la boutique Bambù, una signora quasi cinese, dalla storia avventurosa. Esile e bellissima, eravamo amiche e le ho anche fatto un ritratto, ha subito intuito il problema e ha tirato fuori il montone, caldo, pesante, ingombrante che mi ha complicato il viaggio già di per sé lungo e difficile. Ad ogni scalo dovevo ritrovare le mie cose e reimbarcarle per il nuovo tragitto: viaggiavo con una grande borsa piena di colori (quelli spediti precedentemente erano scomparsi nelle ruberie delle dogane), una valigia, un pacco di regali per i “misioneros” e il montone che non stava in valigia, avrebbe occupato troppo spazio. Un’avventura di trenta ore, tra scali in Inghilterra, Spagna, Brasile e Paraguay, con sosta a Iguazù prima di toccare finalmente il suolo a Asunciòn.

Carla Tolomeo -1983. Sul trespolo

Il Paraguay fa parte delle avventure che ho cercato e accettato per tutta la vita, e che mi hanno sballotata da un emisfero all’altro mai come turista, ma come pittore, scultore, designer a seconda dei ruoli che mi si proponevano. Così sono entrata nelle case, nei laboratori, nelle fabbriche a condividere vite e quotidiani diversi, a sentirmi cittadina del mondo. Avevo accettato l’invito in Paraguay per dipingere un affresco a San Juan Bautista de las Misiones nella Chiesa (detta Catedral) al centro del Pueblo, in memoria di Monsignor Bogarin, prete coraggioso e inviso al regime. Il mio tramite era Don Angelo, piemontese, sognatore e determinato, tant’è che era riuscito a convincermi a lasciare marito e cane per infilarmi in questa nuova avventura che non necessariamente sarebbe stata a lieto fine. Dopo pochi giorni di vita condivisa con “campesinos” e “ciutadanos” aveva già capito come fosse difficile non farsi coinvolgere nelle legittime vicende di sana ma rischiosa opposizione a un regime bieco, crudele, oppressivo di ogni libertà. Non era un caso, mi spiegavano, che i pesci carnivori, i “piranas” avessero risalito il fiume e sguazzassero nelle acque di fronte alla città.

Proprio nel Paraguay e nel suo affluente Pilcomayo si scaricavano i cadaveri degli oppositori.

Carla Tolomeo – 1982

Ufficialmente dipingevo l’affresco attaccata al muro per 8- 10 ore al giorno. La sera, ospite della senora Caballero, ricevevo quei pochi che avevano il coraggio di esprimere il desiderio di cambiamento, a qualsiasi prezzo. Mi consegnavano documenti, dichiarazioni scritte, volantini, sapendo che avevo una certa libertà di spostamento tra la capitale e San Juan. Ho portato borse e borse di carta stampata salendo sui “colletivos” per non dare nell’occhio sicura che ad Asunciòn qualcuno mi avrebbe aspettata. Una sera mi invitano a un concerto di arpe paraguaye, è l’occasione per consegnarmi la petizione per Ernesto Sabato che a Buenos Aires ha fondato “Nunca mas” contro i soprusi del regime militare appena rovesciato, ed è l’unico che può aiutare questi studenti e il seminarista già incarcerati. Il concerto ha raggiunto il massimo della sua potenzialità, le arpe e le chitarre ci travolgono con cascate di note rutilanti e io nel buio della notte prometto che porterò questa documentazione a Sabato, non so ancora come, ma a forza di ascoltare messe criolle ho imparato a fidarmi della Provvidenza.

Due giorni dopo sto gelando di freddo nella cabina di un’avioneta che mi trasporta a Buenos Aires.

Carla Tolomeo -1983. Sull’ Affresco a San Juan

Ho amato pochi paesi come il Paraguay, mi è rimasto nella memoria e nel cuore, a San Juan credo che il mio affresco racconti ancora la vita e il coraggio di Monsignor Bogarin.

Negli ultimi giorni del mio lavoro, i nostri protetti erano ormai al sicuro a Buenos Aires, dall’alto dell”andamio traballante sul quale salivo per dipingere sul muro noto un certo trambusto sotto di me. Mi trovo a circa sei metri di altezza, riconosco “el Obispo”, il Vescovo con un ‘aria angosciata e dietro di lui due militari, poi un grosso personaggio in mantella e divisa che mi ordina di scendere. Ho con me la mia piccola Canon, mentre scendo scatto. Mi esamina con alterigia, io gli ho fatto un mezzo inchino, non voglio dargli la mano, è Rodriguez, il generale feroce esecutore degli ordini di Stroessner in piena paranoia ormai.

Mi dico “Aia”

Sono apostrofata senza preamboli “…Senorita jo soy general …” non lo lascio finire

“Mi papa también”.

1983. Il generale Rodriguez entra nella Catedral

Non so cosa abbia pensato, dedotto, elucubrato. Se n’è andato con la sua scorta e la mantella svolazzante.

Passano sei anni e mi chiama un giornalista del Corriere: “Sei tu che sai tutto del Paraguay? C’è un colpo di stato e ha preso il potere un certo Rodriguez…”. Ho la fotografia di Rodriguez, il Corriere anticipa tutti i quotidiani europei con l’immagine del generale golpaiolo.

Mi tornano in mente questi volti, queste mie storie che erano chiuse nell’armadio come il montone; fa freddo e piove ma sono ben riparata, le cucciole corrono sui prati del parco Sempione, ho nostalgia, ho voglia di… altrove.

Carla Tolomeo

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