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Quanto è tenera Milazzo in questa notte di stelle irrevocabili: che altro di meglio se non la confidente solidarietà dell’Antico Toscano? Ora, però, m’arrampico di buona lena, senza indugi, sul mio filo di fumo: forse per contemplarmi, come sdoppiato e moltiplicato in me stesso, dall’alto d’un cielo sconfinato. Chi è quell’uomo che passeggia nei giardini di piazza Vittorio Veneto e ha un cantacane al guinzaglio? Chi è quell’altro – ma in realtà sempre lo stesso –, il quale accarezza il suo malincogatto, che gli fa appagato le fuse? Nel cuore, quell’uomo, ha sempre il medesimo sogno: il piccolo paese all’interno dell’isola, dove Lei nacque, mentre forse il sole lentamente se ne andava nell’aria ancora intiepidita. E quegli stessi occhi ardenti, che s’incendiano di desiderio e tenerezza, ogni volta che lui ritorna per amarla. Viva però guardingo l’uomo beato che, posando lo sguardo su di Lei, se ne innamorò ricambiato: perché riceverà di sicuro l’invidia degli dei. Se infatti chiederete, a quell’uomo, quale sia la sua verità, vi dirà senz’altro che la tiene stretta in pugno. Non chiedetegli, però, di aprire la mano: troppo indifesa è la felicità agli occhi malevoli del mondo.
Massimo Onofri
da “Benedetti Toscani. Pensieri in fumo” (La nave di Teseo, 2017)
Massimo Onofri insegna Letteratura italiana contemporanea all’Università di Sassari. Collabora con “Avvenire”, “Il Sole 24 Ore”, “L’Indice dei Libri del Mese”, “Nuovi Argomenti”. È nella redazione di “Paragone-Letteratura”. Ha pubblicato, tra l’altro, Storia di Sciascia (1994-2004), La ragione in contumacia. La critica militante ai tempi del fondamentalismo (2007, Premio Brancati per la saggistica), Recensire. Istruzioni per l’uso (2008), Il suicidio del socialismo. Inchiesta su Pellizza da Volpedo (2009), L’epopea infranta. Retorica e antiretorica per Garibaldi (2011, Premio De Sanctis per l’Unità d’Italia), Passaggio in Sardegna (2015), Passaggio in Sicilia (2016, Premio letterario Porta d’Oriente).
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Nel suo recente libro “Benedetti Toscani. Pensieri in fumo” (La Nave di Teseo, 2017) fa riferimento alla sua professione di insegnante e ad alcuni allievi cari. C'è stato un allievo che in particolare l'ha meravigliata e, stando al famoso detto, superata?
“Gli allievi che mi hanno meravigliato sono molti e alcuni lavorano ancora con me, deliziosamente affettuosi, premurosi, e instancabili nel confrontarsi col loro professore. Si potrebbe chiedere di più? Ne cito alcuni: Alessandro Cadoni, italianista, che ha scritto per Donzelli il primo libro, davvero bello, su Salvatore Mannuzzu; Giuseppe Mussi, slavista brillantissimo, ma pigro come il suo Oblomov: lo aspetto finalmente al varco; Silvia Lutzoni, comparatista (tra arabo, inglese e italiano), che sta lavorando per Carocci, insieme a Chiara Fenoglio, a un libro-antologia sulla critica letteraria italiana. Sul fatto di essere superato, sarà di sicuro così, come sempre avviene entro una dialettica sana della trasmissione del sapere. Che critici si è stati se non si sarà superati? Significherebbe che non si è stati mai discussi. Per ora, però, siamo tutti troppo giovani. Mi permetto di ricordare un altro allievo, che è morto giovanissimo, e che avrebbe di sicuro avuto quello che la vita gli prometteva, se un male atroce non l’avesse incenerito poco più che venticinquenne. Ne parlo abbastanza in Passaggio in Sardegna (Giunti, 2015)”.
A un certo punto nel libro compare una frase pronunciata da Lady Gaga: “A renderci ciò che siamo, sono le delusioni d'amore: più sono grandi, meglio è.” Si interroga a riguardo sulla panchina di piazza Vittorio Veneto a Viterbo, dove molte notti si è recato a fumare in compagnia del suo amico, il fido Antico Toscano. A quali considerazioni siete giunti?
“Che vita sarebbe quella in cui non bruciasse anche il dolore, primo fra tutti quello di natura amorosa? Io credo infatti che un modo di intensificare la vita, che è tutto ciò che abbiamo, sia quella di vivere ogni esperienza positiva - in primis i nostri affetti più profondi - con nostalgia, proprio nel mentre la viviamo, come se l’avessimo perduta. È l’unico modo, credo, per sentirne tutta l’importanza. In tal senso mi sento di condividere profondamente quel che dice un personaggio di Mario Soldati nelle Lettere da Capri. Più o meno queste parole: ciascun uomo ha un bisogno di infelicità, almeno pari al suo bisogno di felicità”.
Il cibo ha un ruolo importante tra le pagine di questo libro. Quale pietanza e quale vino sceglierebbe per rappresentarla?
“Una tagliata di tonno giallo al pesto della Riviera del Corallo cucinato dal cuoco Amir Kabiraj, chef de Lo Romanì a Alghero di Gigi e Vittoria, e un Tuvaoes dell’azienda Cherchi di Usini, principe dei vermentini di Sardegna”.
Parliamo della “tribalizzazione linguistica” dei giovani, così come definita in un passo del libro. Quanta responsabilità hanno, in relazione alla stessa, i falsi miti propinati dai media?
“Non mi sentirei di demonizzare i media che, appunto, sono meri mezzi che per altro, negli anni ’50, hanno avuto il merito di alfabetizzare e democratizzare il Paese. Lasciamo questo compito agli apocalittici della domenica. Quanto ai giovani, tribalizzati linguisticamente in una società che ha semplicemente adottato altri codici da quelli della comunicazione 'scritta', non sono né più, né meno intelligenti, di quelli di ieri e dell’altro ieri. Sui giovani la penso come Croce: che hanno un solo dovere, invecchiare rapidamente”.
Il Mare e Viterbo. Come legherebbe fellinianamente queste due parole tra loro, magari solo apparentemente lontane?
“Ci penso sempre: e al fondo deve esserci una qualche ragione profonda. In tanti, e non solo Fellini (ma Orson Welles, Mario Luzi), hanno rappresentato Viterbo, l’arcigna e continentale Viterbo, la bellissima e grigia Viterbo, col mare. È suggestivo davvero”.
Cos'è per lei la Poesia?
“Non potendo scrivere un trattato di estetica, le risponderei con Croce ancora una volta: la poesia è ciò che tutti sanno cosa sia. Con un’aggiunta: che è proprio di pochissimi generarla. Meno poesie si scrivono e meglio è per lo stato di coscienza critica d’un Paese civile”.
Mi ha colpito in particolare un suo ricordo legato al gruppo musicale sardo 'I Barrittas', dal nome del tipico copricapo 'sa berritta'. Non ho potuto fare a meno di pensare, una volta in più, agli accostamenti magistrali, presenti a più riprese nel libro, tra pagine contenenti riferimenti di alta letteratura e altre più folcloristiche, tipiche della terra in cui oggi vive. Il risultato è meraviglioso. Quanto hanno inciso, d'altro canto, nella sua storia personale, le tradizioni dei luoghi in cui è nato?
“Grazie per questo giudizio così generoso. Noi siamo anche il risultato d’una storia non solo genetica, ma storico-culturale. Resto però ancora un figlio, seppure inquieto, dell’Illuminismo, sicché credo che, una volta constatato (e accettato profondamente) chi siamo e da dove viviamo, dobbiamo fare di tutto per diventare uomini e donne senza connotazioni di tribù, cittadini del mondo. In tal senso le differenze sono fondamentali, ma solo per capire meglio che il mondo è vario e variopinto, che i valori sono relativi, che nessuno è, per costumi e consuetudini, migliore dell’altro, fatto salvo l’unico valore davvero universale: l’eguale umanità di tutti gli uomini”.
Che cos'è la Verità?
“Difficilissimo rispondere, se non ribadendo un dato irrefutabile: che se la verità è sempre incerta, mai assoluta, ognuno sa, in purezza di cuore, cosa sia esattamente il suo contrario, e cioè la menzogna”.
A pag. 169 c'è scritta questa frase straordinaria: “Sia data gloria all’impossibile. Perché non è impossibile, ma soltanto invisibile”. Quindi l'impossibile non esiste?
“Per rendere ipotizzabile come possibile l’impossibile (fatti salvi, ovviamente, i limiti di specie e la verità irredimibile della morte), basta solo provare a guardare il mondo dal punto di vista di sé sepolto. Come ha fatto magnificamente uno dei più grandi scrittori di tutti i tempi, e cioè Chateaubriand nelle sue Memorie d’Oltretomba. L’invisibile è un dato incontestabile e va ben oltre l’inconoscibile. Semplicemente è qualcosa che non ha a che fare con la realtà dei nostri sensi. Mica saremmo così presuntuosi e volgari, come uomini, di ridurre la realtà a ciò che è percepibile coi sensi? Sarebbe come dare ragione a una talpa che affermasse che la luce non esiste soltanto perché i suoi apparati percettivi non la registrano”.
“Dodd (il riferimento è al racconto di Hanry James dove il protagonista si reca su una panchina a fare i conti con se stesso e il proprio passato) è, come me, affetto da stilnovismo patologico: ma è proprio lì, su quella panchina, che si rovina del tutto. Io, invece, su questa panchina, ho cominciato a guarire: giorno dopo giorno.” Ci racconti, se vuole, qualcosa in più sulla sua 'guarigione'.
“Sono diventato affetto da 'stilnovismo patologico' quando ho cominciato ad amare le donne al modo delle donne. La mia guarigione credo sia cominciata con l’arrivo nella mia vita d’una meravigliosa principessa nuragica, un po’ Beatrice, un po’ Clizia. Sono fiducioso”.
Quella finale è una domanda che ha a che fare con il tema di questa rubrica di parole e immagini. Ed è la seguente: com’è oggi il cielo sopra Massimo Onofri?
“Anche quando è grigio e uggioso, come oggi a Viterbo da dove scrivo, io non riesco a non avvertirlo azzurro e pieno di luce. Come diceva spesso Alberto Savinio alla moglie Maria, nonostante tutto non riesco a essere infelice”.