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Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia. Intervista a Michele Ruol

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Nell’augurare buona estate e buone vacanze a tutti i lettori e le lettrici, per Le Tre Domande del Libraio su Satisfiction questa settimana incontriamo Michele Ruol, in libreria da pochi mesi con “Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia”, edito da TerraRossa Edizioni nella Collana Sperimentali. Si tratta del suo esordio narrativo, dopo aver pubblicato diversi racconti su riviste letterarie o in antologie. 

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Michele di professione fai il medico anestesista, ci vuoi raccontare il tuo percorso nel mondo dei libri e poi della scrittura, l’idea iniziale di questo libro e l’incontro con lo studio editoriale Crudo di Michele Vaccari e poi l’approdo a TerraRossa? 

Tutto parte con quel dilemma dopo la maturità: medicina o lettere moderne? Ho preso la prima strada, ma la letteratura e la scrittura hanno continuato a essere una parte fondamentale della mia vita. 
Scrivevo racconti; poi, una decina di anni fa, ho scoperto la scrittura per il teatro. Ho frequentato corsi e workshop, e ho cominciato a lavorare come drammaturgo con una compagnia professionista. Ho scoperto così una dimensione collettiva della scrittura: se scrivi per il teatro, per come la vedo, devi imparare a non affezionarti troppo alle singole parole, perché quelle cambieranno mille volte prima di andare in scena. Quello che ottieni in cambio però è un sovrapporsi di filtri e di sguardi che dona al testo una ricchezza e una profondità difficilmente raggiungibile da soli. In parallelo ho comunque continuato a scrivere narrativa, con l’idea di un romanzo in testa. Ero diventato padre, e avevo scoperto che questo essere genitore, aveva ampliato lo spettro del visibile: erano arrivate gioie che, pur attese, mi avevano stupito, non solo per intensità, ma anche per qualità: si trattava di un tipo di felicità che non sapevo di poter provare. Allo stesso tempo avevo scoperto che lo spettro emotivo si era ampliato anche sul fronte opposto, aprendo squarci su ansie e paure fino a quel momento inimmaginabili. Quello che racconto in questo romanzo è l’incendio che divampa nella vita di due genitori con la perdita dei figli, ma credo che la scintilla di quell’incendio, quella paura accecante e irrazionale, faccia parte della coda di gioia e dolore e stupore che i figli, come comete, lasciano nella loro esplorazione dell’universo. A questo si uniscono una serie di interrogativi aperti, collegati anche alla professione medica: come si sopravvive al dolore? Come questo modifica la nostra vita, il nostro essere, i nostri rapporti? Ho una formazione scientifica, ma credo che la scienza sia inadeguata – o insufficiente – di fronte a queste domande. L’arte, e la letteratura in particolare, per me può essere un modo per conoscere il mondo esplorando il possibile. Andare a fondo di un dolore preciso e devastante per indagare il dolore che ognuno di noi, in modo diverso e personale, a un certo punto conosce. Scrivere per me è soprattutto un modo per sollevare domande per cui non ho risposte, e per andare a cercarle insieme ai miei personaggi. Ho cominciato a lavorare a questo romanzo nel 2020; nel 2022 ho terminato la prima stesura. Qui arriva il mio incontro con Crudo Studio Editoriale: mi ero reso conto di aver bisogno di un occhio esterno per permettere al romanzo di crescere, e grazie al lavoro fatto con loro, e con la editor Silvia Sirolini in particolare, sono arrivato alla seconda stesura. Si deve poi a Crudo e alla sua vetrina il mio fortunato incontro con l’editore TerraRossa, casa editrice di cui già stimavo il catalogo e le scelte editoriali, e di cui ho avuto modo di conoscere e apprezzare nel tempo passione e professionalità autentiche.

“Madre, quando pensava alla sua vita, immaginava la foresta distrutta dal fuoco nella stessa notte dell’incidente. Rivedeva quelle distese di alberi carbonizzati, distese di moncherini neri lungo il fianco della montagna”.

Questo passaggio di pag. 116 è uno snodo fondamentale all’interno della narrazione, soprattutto quando qualche riga più in basso compaiono dei corbezzoli con la loro capacità di rinascere dalla cenere e essere più rigogliosi di prima. Sono gli oggetti dentro le stanze e poi in un’automobile a raccontarci di Padre, Madre, Maggiore e Minore e dei momenti cruciali che hanno segnato le loro vite fino alla catastrofe, in cui perdono la vita i due figli. Niente è affidato al caso in questa narrazione, e pure i due esergo, di Beckett e Szymborska, sono un potente segnale sul come sopravvivere e ripartire. A partire dal valore simbolico dei singoli oggetti vogliamo addentrarci nel vivo della storia e approfondire i personaggi che la animano?

Questa è la storia di una famiglia, ma prima ancora è la storia di una coppia: Madre e Padre. Li conosciamo ragazzi, non ancora genitori, pieni di ambizioni e aspettative. È proprio l’arrivo dei figli che comincia, lentamente, a incrinare il loro rapporto, trascinandoli inesorabilmente nei ruoli di madre e padre. Madre rinuncia agli studi e si dedica totalmente ai bambini, scivolando in un paradosso tragico: per il bene dei figli si mostra rigida e autoritaria, finendo per creare con loro una distanza irrecuperabile. Padre invece è assente, inghiottito dal lavoro, ed è proprio nel lavoro che si rifugerà anche dopo il lutto che li coinvolge, convinto che la forza e l’attesa siano armi sufficienti per superare la tragedia. 
Emergono così le vere nature di Madre e Padre, i modi e i tempi completamente diversi che i due hanno per affrontare il lutto. Madre si chiude inizialmente in casa e si mostra in tutta la sua fragilità, ma sarà poi lei a riemergere lentamente, facendosi carico anche di Padre. Un percorso faticoso, che passa anche attraverso la scoperta di una risonanza con il mondo vegetale, come sottolinei nel brano che citi, e la graduale realizzazione che la vita, intesa come puro fatto biologico, è inarrestabile e sorprendente. 
Anche la relazione di Madre e Padre andrà completamente rimessa in discussione e ricostruita un po’ alla volta. Momenti fondamentali del loro percorso personale sono gli incontri con due amici di Maggiore e Minore. Attraverso queste figure i genitori riescono a ricostruire alcuni pezzi mancanti: scoprono pieghe nelle vite che i due ragazzi vivevano e che loro come genitori non immaginavano, e che pertanto non sarebbero mai state accessibili. Può venire così la presa di coscienza del fatto che Maggiore e Minore erano individui autonomi, cosa che sposta i pesi di libertà e responsabilità nella bilancia dei sensi di colpa di Madre e Padre.
Il romanzo si costruisce quindi tutto sulla ricerca di nuovi equilibri, e questo, come notavi, è già presente nei due esergo.  Da una parte Beckett, “Ci danno la vita a cavallo di una tomba, la luce brilla un istante, poi è di nuovo notte”. La luce quindi c’è ma dura un istante: tornano subito le tenebre a inghiottirci per sempre. Dall’altra Szymborska: “Questo orribile mondo non è privo di grazie,/non è senza mattini/ per cui valga la pena svegliarsi”. Non è un mondo facile quello che ci attende, anzi: ma la luce filtra comunque, il mattino arriva, e con lui giornate che – nonostante tutto, nonostante la fatica, il dolore, il lutto, nonostante questo orrendo mondo – meritano di essere vissute. Il romanzo si muove su questi due poli; o meglio parte dal primo (la notte, la casa), per approdare al secondo (l’automobile, la luce).
 
Una scomposizione in due parti, Casa e Automobile, con tanti brevi capitoli che scorrono come fotogrammi visivi, con la finalità di fare un inventario di ben 99 oggetti, testimoni silenziosi dello scorrere degli avvenimenti. Un libro con una struttura e uno stile inconsueti, un’alternanza di piani temporali ben orchestrati dove passato e presente si intersecano alla perfezione. Ci vogliamo soffermare sull’importanza di questo aspetto formale, quasi necessario per fare il censimento dei giorni infelici e di quel dolore che, col passare degli anni, rimane immutato?

Come sottolinei, questo romanzo è effettivamente scritto come un inventario. C’è una prima parte, Casa, a sua volta divisa nelle varie stanze che la compongono, e una seconda, Automobile: palcoscenici vuoti, di cui inventariare oggetti di scena e scenografie. Entrambe queste parti sono infatti composte da brevi capitoli – istantanee che propongono episodi, frammenti di un passato più o meno remoto – ognuno connesso a un singolo oggetto.
C’è quindi la scelta di un’architettura formale che diventa funzionale al racconto. La storia che narro infatti richiedeva per me una distanza minima, richiedeva cautela e rispetto. Ho costruito così una narrazione fatta sui vuoti, sulle assenze, dove insieme al dolore convivono anche momenti di esaltazione e di gioia. La casa c’è, ma è disabitata. I suoi abitanti se ne sono andati, ma rimangono le loro eco: la storia di questa famiglia continua a riverberare negli oggetti rimasti e sopravvissuti al suo passaggio. Gli oggetti stessi assumono un’importanza ambivalente: per la loro capacità di accedere a luoghi e tempi precisi nella memoria esercitano un potere che è insieme nocivo – ci sono ferite che vengono continuamente aperte – e taumaturgico. In questo senso gli oggetti diventano così dei portali, capaci di ripopolare gli spazi, di riempire i vuoti. Possono, gli oggetti, proiettare una luce – e la sua ombra, inevitabilmente – intorno a chi li interroga. E questo è un aspetto semplicissimo, ma non per questo meno magico, che conservano le cose che abbiamo anche nelle nostre case, nelle nostre auto, nelle nostre tasche. Quel portachiavi, quella conchiglia, quel quadro: hanno un valore che conosciamo solo noi, e chi redigerà il nostro inventario.

Buona Lettura di Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia di Michele Ruol e buone letture estive.
Ci vediamo a settembre!

Antonello Saiz

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