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Invernale. Intervista a Dario Voltolini

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Oggi è l’otto luglio 2024. Al netto delle polemiche giornalistiche, degli attacchi personali di nemici più o meno dichiarati e delle mirabolanti e immancabili critiche dei leoni da tastiera che popolano i social, ti andrebbe di raccontarci cosa ti ha lasciato sul piano umano e autoriale partecipare alla corsa per il Premio Strega?

Foto Daniele Solavaggione 

L’esperienza è stata totalmente positiva, molto positiva. Ovviamente per il risultato, per la visibilità del libro e mia di autore, per il fatto di aver condiviso molto tempo, anche assai impegnativo, con colleghi che si sono rivelati ottimi compagni e amici, alcuni dei quali non conoscevo di persona. La stima reciproca, l’amicizia e una specie di sentimento di squadra sono stati ciò che più mi ha lasciato di bello questa avventura. Una novità, a detta degli stessi organizzatori dello Strega. Inoltre professionalmente ho potuto vedere dall’interno la macchina organizzativa del premio letterario più importante d’Italia e l’ho trovata di alto livello, sia tecnico sia umano. I leoni da tastiera (e anche da carta stampata, purtroppo) spesso sono molto ridicoli, tuttavia non vanno sottovalutati perché dànno voce a un pregiudizio diffuso in Italia che vede la nostra produzione letteraria come squallida e debole, mentre è esattamente il contrario. Ma i pregiudizi, soprattutto se negativi, sono difficilissimi da estirpare.

Il tuo ultimo libro, Invernale (La nave di Teseo, secondo posto al Premio Strega 2024, acquistabile anche nelle librerie fisiche in formato cartaceo!), parla di un momento preciso della tua giovinezza e del rapporto – di allora e di oggi – con tuo padre Gino. A distanza di tempo dalle prime due letture (dopo aver riletto con decisa attenzione questo tuo libro così intimo e coraggioso, e dopo averlo presentato con te alla Libreria Quarto Stato di Aversa, fino a consigliarlo ad amici e clienti che lo hanno adottato nel tempo) trovo che questa tua prova autoriale sia il frutto di un lavoro di indagine filosofica sulla morte e sulla vita (come sul dolore vissuto e sulla consapevolezza scoperta). Una ricerca conoscitiva utile a fare i conti con certi temi, questioni ultime tanto dolorose quanto vitali. I lettori che tornano a parlarmi del tuo libro mi dicono che grazie alle tue pagine hanno trovato la forza di reagire ad alcuni grandi lutti. Immaginavi che si potesse fare una cosa del genere, dico specie con un racconto scritto a distanza di tanti anni dagli accadimenti personali che hai vissuto?

No, non lo immaginavo. Potevo sperarlo, ma che sia capitato mi rende felicemente sorpreso. La distanza è stata necessaria per dotarmi di una fiducia nei miei mezzi che non avevo. Questo anche grazie alla compagnia di scrittori e scrittrici con cui ci si confronta abitualmente. Quindi sono lieto di aver scritto questo libro non appena sono stato capace di farlo e il riscontro presso i lettori è un grandioso regalo.

A proposito del tuo percorso da scrittore, mi viene in mente questa domanda che non ti ho mai fatto, pur covandola in mente da anni: cosa chiedevi al te stesso di un tempo, nello specifico quando hai cominciato a scrivere storie ed eri ancora giovane?

Chiedevo di essere capace di condividere con altri, scrivendo, cose significative per me. Sai, io se vedo, per esempio, un bellissimo tramonto ne godo soprattutto se posso condividere la visione con qualcuno, altrimenti quasi ne soffro, come se si trattasse di uno spreco. Scrivere offre questa possibilità di condivisione procrastinata.

Cosa diresti ad un giovane di questo presente, che dopo aver viaggiato fino a Torino, decide di venire a cercarti proprio per domandarti “Che devo fare per imparare a scrivere buone storie?”

Che la sua è già una buona storia, anche se farebbe meglio a chiedere lumi, anziché a me, a Davide Longo!

Oggi, su uno storico quotidiano nazionale, un critico letterario italiano ha scritto che i partecipanti a questa edizione del Premio Strega, nelle giornate di vita ordinaria, vestono come se comprassero abiti nella catena di discount statunitensi Walmart. L’ultima volta che ci siamo visti, e si era ben lontani dai giorni del Premio Strega, credo tu avessi riposto nella scelta degli abiti che indossavi un certo gusto stilistico. Così come ricordo che tutti i candidati (e le candidate) al Premio, di salone in salone e di fiera in fiera in cui li ho incrociati, non mi sono mai sembrati dei manichini da catalogo pubblicitario di abiti dozzinali. E anche se così fosse, giuro che davvero non ho capito cosa c’entra nel dibattito culturale un discorso centrato su come vestire il corpo pubblicamente, rispetto a una questione più profonda (e cogente) legata al vestire il nostro linguaggio verbale: leggere libri, diffondere storie vicine e lontane, provare a scriverne altre per offrire una nostra possibile interpretazione del senso (primo e ultimo) delle cose. Ma del resto, a noi librai nessuno ci interpella mai, contiamo poco. E probabilmente, secondo alcuni, capiamo ancora meno del riconosciuto senso della moda tanto caro a Roland Barthes. Vengo alla domanda seria: quali abiti mentali veste certa critica letteraria in Italia in tempi come questi*?

*(se non lo ritieni opportuno puoi non rispondere a questa domanda, se decidi di rispondere procurami il contatto di un buon avvocato che mi tuteli probono. Grazie.)

Alcuni e (ahimè) alcune hanno dato prova di squallore, mi spiace per loro. Però il problema è più ampio e riguarda il ruolo della polemica e del gossip nella stampa. Mentre per conto proprio basta avere una tastiera per sparare proiettili togliendosi il gusto di farlo, nei media più strutturati io vedo che c’è proprio la richiesta, fatta a professionisti, di aizzare il pettegolezzo, e questo dipende dalla rovinosa caduta di lettori che i media patiscono. Solo che se il tentativo di non perdere lettori passa dall’abbassamento progressivo del livello degli interventi, si entra (si è già entrati da tempo) in una spirale che conduce solo verso il nulla.

Dopo aver finito di scrivere Invernale, hai preso appunti per altre tue storie? Se sì, quali temi affrontano e quanto le senti urgenti rispetto al tuo scrivere con tempi non allineati rispetto alle cadenze editoriali previste nelle librerie fisiche?

Non sono capace di prendere appunti. Però avevo un paio di progetti che ho accantonato per scrivere Invernale e credo che li riprenderò in considerazione. Non sento un’urgenza dettata dal mercato o dalla filiera editoriale, sento un’urgenza legata all’età! Intanto però l’editore mi ha chiesto un libro di argomento calcistico per cominciare una collana di narrazioni sullo sport che vedrà la luce per il marchio Baldini+Castoldi e sto raccogliendo idee per questo libro.

Quali autori per te fondamentali stai leggendo in questo periodo?

Cai, Moresco, Scarpa, Camurri, Joyce (nuova traduzione dei Dubliners), Lispector, Collodi, Rabelais e un manuale scientifico sui capibara.

Ti andrebbe di svelarci quale è stato il primo racconto in prosa che hai letto scoprendo la lettura? (E anche, se te la senti, quale è stata la prima storia in prosa che hai scritto quando ti sei cimentato con la scrittura.)

Il primo libro che ho incontrato è stato “Le avventure di Pinocchio”, ma me lo leggeva mio nonno perché io non sapevo ancora leggere, quindi non so se vale come risposta alla domanda. I primi libri che ho letto per conto mio sono stati “Cuore” e “Il giornalino di Gian Burrasca”. Ma non ricordo in quale ordine.
La prima cosa che ho scritto non era in prosa, ma era una cosa teatrale fatta per la scuola (tipo seconda media). Avevo immaginato una tavola imbandita, per pranzo o cena, con i commensali che discutevano di fatti di attualità. E avevo fatto dir loro tutte le cose che sentivo intorno e che mi sembravano banalissime, stupidissime. Su inquinamento, pericolo nucleare, dirottamenti aerei, argomenti di questo tipo. Avevo cioè scritto una satira, diciamo così. Sugli adulti, ecco. Purtroppo l’insegnante disse che io avevo scritto cose banali. Cioè aveva capito un cazzo. Non fu un grande successo di critica… Però mi vaccinai contro l’assenza di ironia che talvolta la critica dimostra di avere.

Mi scrivono in tanti per saperne di più: solo tu puoi dirci la tua. Come hai preso, a poche ore dalla chiusura della cerimonia del Premio Strega, la magnifica fake news comica diffusa sui social, con tanto di finto lancio ansa, relativa alla vittoria da parte tua del premio “una mozzarella d’oro agli amici della bufala casertana”?

Deluso che fosse una fake…

Ti andrebbe di raccontarci la cosa più bella e divertente che ti è accaduta nel tempo, viaggiando per l’Italia, mentre presentavi un tuo libro?

Donatella Di Pietrantonio che mi chiede di fare il verso del cinghiale al microfono durante una nostra presentazione.

Mario Schiavone

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