Sarò breve. Non è nel mio stile ampio e disteso; me lo impone Ippolita, non imitabile, ma solo ammirabile, come dice Domenico Dara nella prefazione.
La Dareide: una raccolta di pezzi dal Regno della litweb su Domenico Dara, un caso letterario dell’ultimo decennio con il suo andamento immagifico e metaforico, spiazzante nel coacervo di italiano e dialetto calabrese. Uno stile che ”affanna e consola”. Questa è la funzione della letteratura: tirar fuori dal “guazzabuglio dell’anima umana” le ferite profonde e ricucirle con l’ago della scrittura, come il postino del Breve trattato delle coincidente, che riscrive le lettere come rammendando calzini. L’effetto catartico della scrittura è prepotente in Domenico, che ha dato alla luce tre opere, la trilogia di Girifalco, un paesino della Calabria: Breve trattato delle coincidenze, Appunti di meccanica celeste, Malinverno. Con l’opera di esordio, finalista la premio Calvino, è iniziata la sua ascesa nel panorama letterario, oltre i confini dell’ Italia.
Ippolita è, come si dice nella postfazione, a cura di Giovanna Villella, la lettrice innamorata. Si sente. Lo ama quel Domenico. Trasuda dalle sue pagine; non solo perché Domenico è il grande scrittore che è, amico comune, ma perché Ippolita è innamorata dei libri, scova i talenti nuovi, nutre una particolare passione per le case editrici indipendenti e con arte maieutica ne porta alla luce il valore degli scrittori. Molti di questi rimarrebbero sconosciuti se non ci fosse Il regno della Litweb, cioè Ippolita che afferma ”Il regno non esiste, il regno sono io”. E proprio di lei si tratta, con il suo stile riconoscibilissimo, con i suoi voli, le sue impennate, i passaggi repentini, le immagini, le metafore e le analogie… Le sue non sono le solite recensioni che spoiler ano, sono ardite costruzioni della sua intelligenza emotiva che gioisce quando c’è da festeggiare il successo di un nuovo talento. Il tutto pervaso dalla meraviglia, che è amore per i libri e per la vita in senso lato: questa nutre tanto le opere di Domenico Dara quando i pezzi di Ippolita. Il talento del meravigliarsi e del suscitare meraviglia non è a portata di mano; è per poche menti meravigliose che vivono anche per darsi agli altri. Come Domenico ci fa dono e ci pungola verso il valore catartico della scrittura, come se questa potesse sostituire annose sedute psicoanalitiche, così Ippolita si dona a Domenico e lo segue nei suoi tour calabresi ponendosi in prima fila con taccuino e penna, preconizzando il successo del Breve trattato e rallegrandosi di quanto lo scrittore consegue e dei premi che gli arridono.
Lo segue, lo insegue con lo sguardo l’amato Domenico, ne scruta lo sguardo, le movenze, la gioia di essere accompagnato dalla moglie, Rosy De Marco, la sua prima lettrice appassionata. Ippolita ne è la seconda, mentre Rosy ne guida il parto, anche doloroso, perché in Domenico si legge quel filo di malinconia che fa grandi gli scrittori, esponendo un dolore riconoscibile, di cui pure si schernisce. Anche questo trasuda dalle pagine di Ippolita, più versata però a coglierne la dimensione giocosa, gli arditi giri di parole: questo più di ogni altra cosa li accomuna..
Di quella che ho definito in tempi passati “la critica del martello”, come di Domenico, mi affascina proprio questo: il gioco di parole, le metafore mirabolanti, le “discese ardite e le risalite” , lo stile che si impenna e che vira improvvisamente verso orizzonti nuovi e inattesi. Anche la Dareide, letta di un fiato, come si suol dire, in un espressione che non amo, ma qui uso, perché Ippolita e Domenico il fiato te lo tolgono e te lo danno, ho amato tutto: dal loro sodalizio al dire di Ippolita con la sua dote innata di affastellamento e accumulo che apre mente e cuore e tutte le fibre del corpo.