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Irene Marchesini e Carlotta Dicataldo. Rebis

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Streghe e magia. Combo da sempre efficace, almeno nel genere horror e in quello del fantastico in generale. Ma efficace anche nel gioco di narrare in maniera metaforica temi “”altri, soprattutto quando si tratta di un settore sensibile ma delicato qual è quello dei minori.

E qui le streghe e la magia si spostano dal Male al versante del Bene.

Uscito a fine del 2023 Rebis, lavoro a quattro mani di Irene Marchesini e Carlotta Dicataldo edito da Bao Publishing, si muove su questa strada.

A dirla tutta, le autrici non scrivono un romanzo grafico dove le streghe sono elementi dominanti, ma le usano come spunto per parlare di tematiche a noi contemporanee quali la paura del diverso, il razzismo, la differenza di genere, il prendere coscienza della propria identità. A tal punto che possiamo dire quanto la presenza dell’elemento stregonesco sia solo accessorio, forse un richiamo velatissimo a uno slogan femmista di altri tempi.

In effetti, Rebis parla in maniera ampia di cosa sia la normalità.

Marchesini e Dicataldo ambientano il racconto in una Italia medievaleggiante e lo aprono con il più classico dei topos, anche se non perfettamente corretto storicamente: un rogo. Su di esso vengono bruciate vive due giovani donne, Viviana e Beldie, colpevoli di “essersi macchiate di peccati” non meglio specificati.

Quella rappresentata è una Italia che si fonda su “credenze popolari”. Quindi le forze del Male esistono e sono presenza concreta, assidua e tentatrice; esistono i sortilegi, le maledizioni. Ognuna di queste voci è un rifiuto di quanto non si comprende e contro cui si usa la maldicenza.

Il rogo è inoltre un punto di crocevia.

Mentre nella piazza del borgo due donne muoiono tra le fiamme, in una casa poco lontano nasce il secondo figlio maschio di messer Girolamo, un conestabile incrociato nelle prime vignette.

Il bambino verrà chiamato Martino e sarà lui il protagonista del romanzo, con una vita apparentemente non fortunata: prima sopportato, poi totalmente respinto dal padre.

Motivo di un simile comportamento, l’essere nato albino. In realtà è tutta la parte maschile della famiglia a rifiutarlo, mentre la parte femminile, soprattutto le sorelle, sapranno volergli bene al di là di ogni apparenza fisica.

Una “polarizzazione” maschile-femminile molto netta, ma che acquista senso nello sviluppo narrativo e nella morale complessiva della storia.

È comunque la difformità dalla regola che, insieme agli atteggiamenti di rifiuto dei compaesani, spinge Girolamo ad allontanare Martino per sempre. Una cacciata a cui il ragazzino si ribella, scegliendo la fuga.

Nottetempo raggiunge il bosco in cui spesso si rifugia e dove abita Viviana, sopravvissuta al rogo.

Con ottima intuizione, il personaggio viene presentato come una medicine woman indiana. Il volto è rigato da qualcosa di scuro simile a lacrime stilizzate. Il vestiario è un insieme di mantelli, vari amuleti ricavati da ossa di animali le pendono dal collo e dalle braccia, altre ossa pendono dal lungo bastone a cui si poggia…

A Martino appare inizialmente come una figura misteriosa, ma la curiosità è più forte della diffidenza come della paura.

In breve i due si prenderanno le misure. Viviana lo accoglierà sotto la sua ala e, grazie al suo atteggiamento non giudicante, in un certo qual modo lo “educherà” a una visione diversa delle cose e di se stesso.

Una visione mai impositiva, in cui l’individuo è libero di scegliere chi e cosa essere. E Martino sceglie, e non per necessità. Crescendo, indossa abiti femminili e ci si sente a suo agio.

In un passaggio Viviana racconta la sua storia, l’amore che la legava a Debis, il loro non essere in una situazione accettata come “corretta”, ma anche del suo aver sempre visto nelle donne “considerate sbagliate” le sue “simili, alleate, amiche”: quelle che erano considerate appunto streghe.

È il punto in cui Martino sceglie cosa essere, tanto che nella scena seguente – una sorta di battesimo pagano che si svolge in una polla d’acqua – cambierà nome, diverrà Rebis.

Di derivazione latina (res bis) lo si traduce come “cosa doppia” e alchemicamente viene rappresentato con un corpo a due teste. Diciamo che descrive la fusione degli opposti, la loro profonda inscindibilità.

Di parallelismi e rispecchiamenti se ne possono rintracciare molti in Rebis, e rendono bene la quantità di livelli di lettura e di interpretazione che offre la storia.

Forse il più facile da individuare è il parallelo fra la mutazione di Martino e quella che subiscono le larve di Cervo volante da lui accudite per diventare splendidi coleotteri. Le larve, inoltre, con il loro biancore richiamano l’albinismo del protagonista. Più strutturato il parallelismo fra famiglia naturale versus famiglia che si sceglie, fra educazione formale ed educazione libertaria. Per non dire di tutto il continuo rimando al ciclo morte-nascita che investe i protagonisti.

Se anche tutto non fila liscio, soprattutto per un accumulo di temi sviluppati solo parzialmente, Rebis mostra la capacità di maneggiare gli argomenti senza svilirli.

Marchesini ai testi, Dicataldo ai pennelli, lavorano infatti con grande risolutezza riuscendo a creare una storia che si è spinti a leggere più volte, alla ricerca di quanto ancora non si è lasciato interpretare.

Sergio Rotino

Recensione al libro Rebis, di Irene Marchesini e Carlotta Dicataldo, Bao Publishing 2023, pagg. 176, € 22,00

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