1. Robert Coover, La babysitter e altri racconti (traduttori vari, NN Editore)
Robert Coover è un genio oltre che uno dei padri fondatori di certa letteratura post-moderna, insieme a Thomas Pynchon e Donald Barthelme. Non solo: è uno dei massimi scrittori americani almeno del secondo Novecento e è lo scrittore che più di ogni altro continua a dialogare con la tradizione letteraria, e non solo con quella del secolo scorso. In attesa che arrivino anche altre sue opere tradotte (e altre due arriveranno di sicuro sempre per NN Editore), ecco un’antologia che raccoglie alcuni dei suoi racconti più significativi, dai primi stupri della tradizione fiabesca occidentale ai divertissements più recenti. Qualcosa in più qui.
2. Richard Powers, Il sussurro del mondo (trad. it. Licia Vighi, La Nave di Teseo)
Probabilmente il libro più ambizioso di Richard Powers. Continua il discorso iniziato su The Echo Maker, dove il regno animale veniva in un certo senso antropomorfizzato per creare quella frattura tra Natura e Uomo che qui trova forse una dimensione più ariosa. Tocca elementi presi dal biocentrismo, dall’evoluzionismo, da Matt Riley, dall’antifragilismo di Taleb. Mette in discussione il luogo comune che vuole che a sopravvivere sia il più forte, e mostra come dovremmo forse imparare dagli alberi a essere più cooperativi. Una seconda parte meno briosa della prima non basta a scalfire la potenza di un testo che ha nei contenuti il suo vero punto di forza. Qualcosa in più qui.
3. Salvatore Scibona, Il volontario (trad. it. Michele Martino, 66th and 2nd)
L’America dalla guerra del Vietnam fino alle guerre in medioriente, minuziosamente indagata attraverso gli occhi di Eugene Frade, volontario in Vietnam prima, volontario in una vita clandestina come Dwight Eliot Tilly dopo. Assisterà a azioni ai limiti estremi della moralità, sospese tra la banalità del male e la difficoltà di essere veramente liberi e scegliere volontariamente il bene. Diventerà patrigno, tutore legale, rinnegato, confuso osservatore della nuova Vietnam nel Medioriente del nuovo millennio e si chiederà fino alla fine quanto possiamo veramente essere volontari e responsabili delle proprie azioni, quanto possiamo essere individui libri al di sotto della Famiglia, della Patria, o di qualche altra oscura Agenzia in un mondo dove il male deriva comunque da scelte umane.
4. Leland De Durantaye, Hannah versus l’albero (trad. it. Fabio Viola, Codice)
Michael Silverblatt, titolare del podcast Bookwarm, ha avanzato l’intrigante ipotesi che l’Hannah protagonista del libro sia la discendente metaforica di Annibale: come Annibale ha contrastato il potere e la cultura che lo hanno formato, Hannah combatte e contrasta quella cultura dell’imprenditorialità e del potere, del culto del denaro e della strategia nei quali è cresciuta. Unica differenza è che lei contrasta una struttura matriarcale. Hannah versus l’albero. È una storia di ribellione, che mostra come possiamo ribellarci solo alla cultura che ci ha cresciuto (l’albero come albero genealogico, la pianta che dal cui seme siamo nati), e è una storia di vendetta, nella miglior tradizione classica. Hannah, brillante ragazzina, con capacità inusuali, ha subito un torto da un membro della sua famiglia e decide di combatterla, e con essa le strutture di potere della società nella quale è cresciuta. Un romanzo breve che si legge come una specie di poema epico contemporaneo.
5. Amelia Gray, Viscere (trad. it. Stefano Pirone, Pidgin)
Un’autentica eroina della più recente narrativa americana, apprezzatissima da quasi tutti i colleghi autori suoi coetanei, ha lavorato come staff-writer per la serie tv Maniac e story editor per la quarta stagione di Mr. Robot. Viscere è la sua seconda raccolta di racconti e forse è il libro della maturità per Amelia Gray. Diviso in cinque parti che in fase di stesura avevano titoli tematici (Major Posits, Predation, Fables, Viscera e Resolve) i racconti di Viscere disfano e ricostruiscono la forma della fiaba, della favola, nascondono spesso temi filosofici, costruiscono una realtà al tempo stesso prosaica e surreale, distruggono le aspettative classiche creando un nuovo modo di raccontare il mondo che abbiamo sotto i piedi. Qualcosa in più qui.
6. Valeria Luiselli, L’archivio dei bambini perduti (trad. it. Tommaso Pincio, La nuova frontiera)
Libro fortemente voluto da Robin Desser della Knopf, e primo libro “americano” per la scrittrice messicana, scritto direttamente in inglese per un’editore statunitense, Lost Children Archive riprende i fili del precedente lavoro di Valeria Luiselli, il reportage Dimmi come va a finire, e le tecniche narrative di Storia dei miei denti, e costruisce un testo fatto di non detti, di silenzi, di porzioni di testo trovato e di frammenti grafici sparsi. Il libro ripercorre un doppio viaggio: quello classico da Est a Ovest dei protagonisti, una madre, un padre, la figlia di lei, il figlio di lui, che compongono una famiglia ipercontemporanea composta da matrigna, patrigno, sorellastra e fratellastro. Una specie di macedonia umana che può per certi versi rappresentare la ricchezza della mescolanza etnica che esiste negli Stati Uniti. A questo viaggio da Est a Ovest, tipico dell’immaginario classico americano, fa da controcanto il nuovo viaggio da Sud a Nord della comunità ispanica. Il risultato mostra anche una patina metanarrativa che indaga possibilità e estensione della finzione nell’era di auto- e non-fiction. Soprattutto il risultato è un testo raffinato, calibrato, totalmente privo di sbavature, nonostante una discutibile coda in forma flusso di coscienza. Da leggersi insieme al saggio The End of the Myth di Greg Grandin. Qualcosa di più qui.
7. Marlon James, Lepardo nero, lupo rosso(trad. it. Paola D’Accardi , Frassinelli)
Black Leopard, Red Wolf da una parte soddisfa ampiamente chi ha imparato a apprezzare Marlon James con History of Seven Killings, ma forse potrà deludere gli amanti del fantasy. Ci vuole un bel po’ prima che il personaggio principale venga definito e ancora un po’ di pazienza prima di entrare nel vivo della prima quest, ma una volta superato il rodaggio, Black Leopard, Red Wolf mette in azione un ingranaggio che non si ferma più. Questa prima parte della trilogia Dark Star inizia con il protagonista, Red Wolf, o Tracker, un segugio con un occhio di lupo e un fiuto metafisico, che racconta la sua storia al suo carceriere, ricordando il racconto di Ulisse a Alcinoo. Red Wolf è stato incaricato di trovare un misterioso bambino scomparso per i territori del Nord di un regno fantastico costruito in larga misura sul folclore africano. Se da una parte ci sono ovvi richiami a Tolkien (si crea una compagnia in cerca di qualcosa), e di Martin (sullo sfondo assistiamo a una realpolitik per la contesa di un trono), la particolarità di BLRW è che sa costruire dei personaggi più simili agi eroi sbilenchi e discutibili della tradizione fumettistica della Marvel più che a quella classica-mitologica.
8. Ling Ma, Febbre (trad. it. Anna Mioni, Codice)
Da una parte Severance è un altro esempio di come la narrativa americana stia a volte subendo il rinculo dell’immaginario delle serie tv che essa stessa ha contribuito a creare. Country Dark di Offutt sembra un episodio di Justified, Panowich ricorda Breaking Bad o comunque un film dei Coen, Whiskey di Holbert si muove sul solco di Bloodline: Severance è Walking Dead con un’epidemia virale al posto degli zombie. Ambientato tra il 2006 e il 2011 in una New York dove il disastro economico è messo in secondo piano da una catastrofe biologica, Severance mostra come alla base della civiltà umana ci sia il bisogno di creare delle relazioni, e anche come in realtà un’economia spietatamente neo-liberista stia già trasformando le persone in automi pilotati da consumi, mode e bisogni indotti. Qualcosa di più qui.
9. Camille Bordas, Come muoversi tra la folla(trad. it. Giuseppe Costigliola, SEM)
Una delle ricchezze della narrativa americana è la sua capacità di assorbire altre culture e dare loro uno spazio e una risonanza che altrimenti potrebbero non avere. Così in tempi recenti è sempre più frequente trovare scrittori non americani che fanno letteratura americana: dalla cinese Yiyun Li al peruviano Daniel Alarcón, quest’anno la messicana Valeria Luiselli e poco prima della Luiselli la francese Camille Bordas, moglie dello scrittore Adam Levin, che oltre a due racconti sul New Yorker, ha all’attivo un romanzo scritto direttamente in inglese e pubblicato nel 2017: How to Behave in a Crowd. Un romanzo che alcuni hanno paragonato niente poco di meno che a Il giovane Holden. A ben guardare, però, il libro di Camille Bordas è un Holden rovesciato, e non solo: in un certo senso rovescia anche Aristotele e Brecht, rovesciando realtà e imitazione, intrattenimento e presunta autenticità. Il novello Holden, il giovane Isidore, ultimo genito di una famiglia (ovviamente disfunzionale), non è né vuole essere il ribelle che era Holden, ma vuole essere comunque il salvagente dei suoi cari, il loro “catcher in the rye. Qualcosa di più qui.
10. Joshua Cohen, Il libro dei numeri (trad. it. Claudia Durastanti, Codice)
Il libro dei numeri è un torrente magmatico e ipnotico che racconta il nuovo millennio, come la tecnologia ha smontato e rimodellato il mondo in cui viviamo, come i nuovi mezzi di comunicazione hanno riplasmato la nostra percezione della realtà e in parte persino le nostre abitudini a livello cognitivo, e lo fa trovando un nuovo linguaggio che colma le inadeguatezze di quello che avevamo: se i limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo, come voleva Wittgenstein, allora per parlare di un nuovo mondo serve un linguaggio nuovo, così Joshua Cohen, partendo da un parallelo con il libro dei Numeri della Bibbia, mostra l’era tecnologica usando “the lexicon of the prevailing techsperanto.”Il libro dei numeri racconta di come uno scrittore sull’orlo del fallimento di nome Joshua Cohen sia stato ingaggiato da un tech-millionaire di nome Joshua Cohen (e plasmato su un misto tra Steve Jobs, Sergey Brin e Jeff Bezos) per essere il ghost writer della sua autobiografia. «If you’re reading this on a screen, fuck off. I’ll only talk if I’m gripped with both hands.»
11. Ottessa Moshfegh, Il mio anno di riposo e oblio (trad. it. Gioia Guerzoni, Feltrinelli)
Un’innominata e anonima ragazza ventenne, orfana di genitori e con una vita ridotta al minimo si trova a dover affrontare un vuoto interiore. Invece di cercare di riempire quel vuoto con la roba futile che il mondo sembra offrirle, decide di immergersi in quel Niente e prendersi un anno di riposo assoluto dalla vita, ossia dormire per un anno intero con l’aiuto di fantomatiche pillole prescritte da una bizzarra e stranamente indulgente dottoressa. Finisce per cancellare a poco a poco il mondo esterno, in un’operazione filosofica non dissimile da quelle di Cartesio e di Berkeley. Insieme a The Pisces di Melissa Broder, a The New Me di Halle Butler e per certi versi a Febbre di Ling Ma è una critica millennial a un mondo cucito attorno al “realismo capitalista” di Fisher. Qualcosa di più qui.
12. Leslie Jamison, Rinascere (trad. it. Laura Serra , Mondadori)
Ormai tutti i memoir vengono accompagnati dalla solita nota a margine “non il solito memoir,” ma nel caso di Rinascere quello slogan è vero. È vero soprattutto perché non è solo un memoir: è un testo che si apre a analisi dei meccanismi che generano dipendenze nella natura umana e è un vero e proprio saggio letterario su come in letteratura si sono trattate dipendenze. Nato in parte dalla tesi di dottorato che Leslie Jamison ha discusso a Yale qualche anno addietro, Rinascere, modificando in parte la frase di Joan Didion (“We tell ourselves stories in order to live”), mostra anche come in generale la letteratura sia un insieme di storie che leggiamo per costruire del significato a partire dall’esperienza quotidiana. Qualcosa di più qui.
13. Lauren Wilkinson, Una spia americana (trad. it. Marco Chabod, Frasssinelli)
Un noir d’autore, sulla scia dell’esempio di Graham Greene o, per restare nella produzione narrativa statunitense recente, di Telex from Cuba di Rachel Kushner. Marie Mitchell è un agente dell’FBI che è stata “prestata” alla CIA per una missione in Africa alla fine degli anni ’80, cinque anni prima del corso degli eventi narrati. Il libro è un noir, ma anche un romanzo storico costruito attorno al colpo di stato in Burkina Faso nel 1987 e sulla fine della Guerra Fredda, e è una esofiction in parte incentrata sulla figura di Thomas Sankara “il Che Guevara africano.” Il risultato è un felice ibrido tra diversi generi che riesce a parlare di temi assolutamente attuali in modo obliquo, e toccando non solo questioni politiche (l’ingerenza degli Stati Uniti nelle dittatura altrui), ma anche questioni razziali e di genere oltre che più alte questioni etiche sull’opportunità di porre dei confini alla libertà e alla fede in qualcosa.
14. Amy Hempel, Nessuno è come qualcun altro (trad. it. Silvia Pareschi, SEM)Amy Hempel è stata madrina suo malgrado del minimalismo degli anni ’80 e ora, trent’anni dopo torna con una raccolta di flash- e micro-fiction, una manciata di racconti che potrebbero forse rientrare nelle incerte categorie dei drabble, più una quasi novella nei quali disfa quel vecchio minimalismo nihilistic chic per ricostruire un più interessante e genuino minimalismo non minimalista. Al centro della sua poetica e il filo conduttore dei diversi frammenti di questa raccolta c’è un fiero rifiuto della metafora come motore generatore di senso. Come diceva Umberto Eco, “chi fa metafore, letteralmente parlando mente,” e Amy Hempel costruisce su un rifiuto della metafora una campionario di umanità, dalle cure che un volontario presta a cani destinati alla soppressione fino alla vita reale contrapposta nella sua prosaicità a un’installazione di arte contemporanea in North Carolina.
15. Sigrid Nunez, L’amico fedele (trad. it. Stefano Berretta, Garzanti)
Qui ritornano molte di quelle idee di Susan Sontag su arte e vita che Sigrid Nunez aveva toccato sulla biografia Sempre Susan. Si tratta comunque di un romanzo breve, poco più di 200 pagine, costruito su un monologo interiore della protagonista, un’anonima scrittrice di stanza a New York, costretta a ereditare Apollo, un vecchio alano arlecchino artritico che era di un suo amico scrittore appena morto suicida. Il tono inizialmente ricorda quello di Wittgenstein Mistress di David Markson, ma poi si apre a riflessioni più ariose su vita, morte, lutto e natura umana. Qualcosa di più qui.
16. Denis Johnson, La generosità della sirena (trad. it. Silvia Pareschi, Einaudi)The Largesse of the Sea Maiden più che un libro postumo è un ultimo libro, una conclusione, e contiene racconti pensati per confluire in una raccolta, due dei quali già pubblicati in riviste: “The Largesse of the Sea Maiden” sul New Yorker nel 2014 e The Starlight in Idaho su Playboy nel 2017. Nondimeno la raccolta ha la strana e inquietante peculiarità di sembrare un vero e proprio testamento di Denis Johnson, e non solo perché è uscito poco dopo la sua morte: i cinque racconti formano una specie di lettera di commiato, per temi e argomenti trattati, come se Denis Johnson stesse ripensandosi per trarre un bilancio di ciò che è stato come scrittore e come essere umano. A legare i cinque racconti è il tema dell’invecchiamento, della mortalità, della necessità di fare un rendiconto finale dei rimpianti e rimorsi accumulati in vita. Qualcosa di più qui.
17. Rachel Kushner, Mars Room (trad. it. Giovanna Granato, Einaudi)
Sfrutta alcune belle pagine dei diari di Ted Kaczynsky e in filigrana la tradizione popolare country come descrittore di quella stessa realtà violenta, sottotraccia di molta cultura americana. Le parti ambientate in prigione pagano un pegno a Orange is the New Black, come a romanzi precedenti come The Falconer di Cheever o Animal Factory di Bunker, e si scollano un po’ dal realismo crudo e efficace di altre parti del libro. è un romanzo realista, e quindi una sorta di reazione a tutti quei “realismi modificati” che si trasformano nel loro opposto. Riesce bene a descrivere la vita nelle carceri, l’ambiguità morale, i meccanismi di dominio e sopravvivenza presenti in prigione come nel mondo reale. Qualcosa di più qui.
18. Rachel Khong, Bye bye vitamine! (trad. it. Silvia Rota Sperti, NN Editore)
Una delle esponenti della nuova narrativa “asiamericana,” ovvero di autrici e autori di origine asiatica che vivono e scrivono negli Stati Uniti. Goodbye, Vitamin! è un libro scritto in forma di diario e documenta il modo in cui la giovane Ruth si trova a dover far da balia al padre malato di Alzheimer. Ruth si accorge lentamente che le nostre vite per gli altri non sono che una somma di ricordi: suo padre vive nei ricordi che lei ha ancora di lui e lei sta morendo in ciò che il padre sta lentamente e inesorabilmente scordando. Il risultato è un quadretto delicato e perfettamente calibrato, sospeso tra un’ironia acre e malinconica e la dolce tristezza di chi realizza che alla fine siamo solo quello che ricordiamo.
19. Rowan Hisayo Buchanan, Innocua come te (trad. it. Fabio Viola, Codice)
Un romanzo sulla memoria, ma anche sulla ricerca di identità culturale. Innocua come te è una storia multigenerazionale: racconta le vicende di Yukiko, schiacciata tra due culture, e anche tra una realtà e le sue velleità artistiche, e di come le sue scelte possono aver plasmato la vita del figlio Jay. Le due storie si muovono lungo vettori paralleli, tra gli anni ’60 che diventano ’70 e la metà degli anni ’10, ma anche lungo le complicate traiettorie dell’appartenenza culturale.
20. Jesmyn Ward, Canta, spirito, canta (trad. it. Monica Pareschi, NN Editore)
Una delle cose più interessanti di Jesmyn Ward è la sua capacità di mescolare aulico e popolare. Lo fa soprattutto nel modo di scrivere, che attinge a riferimenti letterari (Faulkner, O’Connor, la Bibbia) con screziature che derivano dal chiacchiericcio incessante e rapido della contemporaneità, mostrando spesso come la stessa cosa possa essere detta in modi diversi, la stessa storia raccontata in toni diversi. Lo fa fino dalle citazioni che usa in esergo, per esempio qui cita Dizzy Wright accanto a Derek Walcott. Su Canta, spirito, cantatorna a Bois Sauvage che aveva introdotto sul precedente Salvare le ossa, e lo fa con un tocco paranormale di troppo. Il risultato è una fiaba nera, amara, che racconta di rapporti familiari, di cosa resta quando qualcosa o qualcuno non c’è più.
NEAR MISS and HONORABLE MENTIONS
Siri Hustvedt, Ricordi dal futuro (trad. it. Laura Noulian, Einaudi)
In parte autobiografia obliqua che sembra seguire la storia personale di Siri Husvedt, dal Minnesota alla Columbia di New York, in parte romanzo speculativo su tempo e memoria, e su come ci costruiamo un’identità tra tempi e spazi con alcuni innesti di metanarrativa. Come sempre interessanti le parti filosofiche e scientifiche che, ahimè, come spesso accade con i coniugi Auster-Hustvedt, restano un po’ fumosi e si fanno dispersivi e inconcludenti.
Kiese Laymon, Il giusto peso (trad. it. Leonardo Taiuti, Black Coffee).
Un memoir, nella migliore tradizione recente di molta narrativa Millennial, dove si tende a romanzare elementi biografici per poter offrire uno squarcio di vita contemporanea. Qui quello squarcio è l’America dei bianchi che sfrutta e nasconde la cultura afro-americana di cui comunque si nutre.
Jonathan Lethem, Il detective selvaggio (trad. it. Andrea Silvestri, La Nave di Teseo) — dopo aver scimmiottato Pynchon sul precedente libro, Lethem torna se stesso e torna nella California del sud in questo suo undicesimo romanzo. Per certi versi è una rivisitazione dei suoi libri d’esordio, Gun, with Occasional Music per la struttura della storia e Amnesia Moonper alcuni luoghi. Tre cose da notare: è una detective novel narrata non dal detective, ma dalla ragazza che lo assume; è forse la prima volta che Lethem costruisce una protagonista femminile e è uno dei primi romanzi ambientati nell’Era Trump, vera protagonista occulta.
Delusioni:
— Bret Easton Ellis, Bianco (trad. it. , Einaudi)
— Colson Whitehead, I ragazzi della Nickel (trad. it. Mondadori)
—Dave Eggers, La parata (trad. it. Feltrinelli)
—Kristen Roupenian, Cat person e altri racconti (trad. it. Einaudi)