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Iva Pezuashvili anteprima. La discarica

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Un esordio deciso: “Esiste una città che si chiama Žukovka e se oggi nemmeno un russo laureato in geografia, un appassionato di mappamondi o un professionista riesce a trovarla sulla cartina della propria patria, a suo tempo, prima ancora che a Gorbačëv venissero le coliche della perestrojka e il cittadino sovietico contraesse la diarrea della libertà, questa stessa Žukovka era una città famosa per la produzione della bicicletta agognata da ogni pioniere o adolescente che dir si voglia”.

Visioni di genere: “L’equilibrio tra generi, molestie sessuali, femminismo, analoghi termini esotici e i problemi che vi stanno dietro a Zema interessano poco, forse perché molto prima delle donne emancipate esperte di questi temi ha intuito, capito e sperimentato sulla propria pelle che gli uomini sono degli idioti, delle canaglie, dei cafoni e dei farabutti, perfetti figli di puttana, insomma.”

Un odio di classe: “C’è gente di sinistra che si è fatta una cultura socialista nelle aule di costose università e su libri costosi, e poi ci sono quelli come Lazare che vivono sulla propria pelle il capitalismo di cemento ogni giorno e più volte nel giro di ventiquattr’ore. Il ragazzo dunque ha cominciato a odiare dell’odio più feroce prima i miliardari, poi i milionari, poi le élite d’affari e infine la classe media”.

È in libreria La discarica di Iva Pezuashvili (Voland 2024, pp. 152, € 18, con traduzione di Ruska Jorjoliani).

Iva Pezuashvili è uno scrittore, sceneggiatore e autore televisivo georgiano. Dopo aver conseguito la laurea presso la Shota Rustaveli Theater and Georgia State Film University, ha debuttato nel 2014 con una raccolta di racconti, seguita nel 2018 dal suo primo romanzo, selezionato per i principali premi letterari georgiani. Con La discarica – il suo secondo romanzo, tradotto e pubblicato anche in Francia e Grecia – ha vinto il Premio dell’Unione Europea per la Letteratura nel 2022.

Il 9 aprile 2017, giorno di commemorazione nazionale a Tbilisi, in Georgia, Gheno, un eroe nazionale insignito dal presidente, trascorre pigramente le giornate davanti alla televisione, dedicandosi alle scommesse sportive. Mila, sua moglie, lavora in un centro estetico e cerca di immaginare un futuro senza di lui. I loro figli, Zema e Lazare, vivono le loro sfide personali: la figlia Zema, membro delle forze dell’ordine, ha dovuto affrontare una società profondamente misogina e xenofoba, mentre Lazare, adolescente appassionato di hip-hop, arrotonda facendo consegne a domicilio. Il romanzo si svolge nell’arco di ventiquattr’ore, dove le tensioni familiari si intrecciano con i ricordi del passato, sullo sfondo di una società in evoluzione.

L’autore con un linguaggio cinico e duro descrive la Georgia sopravvissuta al crollo dell’Unione Sovietica il suo smarrimento e la difficoltà di inventarsi un posto migliore nel mondo.

Carlo Tortarolo

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07:45

Otto chili in tre mesi non sono male, considerati soprattutto i suoi quarantasei anni e anche il fatto di non essersi mai allenata in vita sua, non solo in una palestra a pagamento ma nemmeno in quella scolastica durante le lezioni di educazione fisica. È che questi fianchi e la pelle flaccida sotto le braccia – non molto flaccida, è vero, ma abbastanza per darle ai nervi – mettono Mila a disagio, e Dio non voglia che succeda quanto teme di più, ovvero che le tette le si trasformino in muscoli. Nessun rischio in vista, si mostrano com’erano, cioè belle, o meglio sopravvissute per miracolo all’allattamento di due figli, e con Lazare attaccato al seno fino ai suoi due anni e mezzo… Solo che allora non si chiamava ancora Lazare, né suo marito Gheno aveva ancora scoperto la fede religiosa e, nonostante fosse rimasta di lui solo l’ombra dell’uomo che era, la vita di Mila a quei tempi era comunque sopportabile. Quell’ectoplasma di marito per lo meno non dimenticava di farle gli auguri di compleanno, che per combinazione cade proprio oggi, ma è improbabile che Gheno se lo ricordi. Non perché sia distratto, ha ormai il rifiuto delle date e degli eventi, soprattutto se gli ricordano l’inferno passato. Eppure che colpa ne ha Mila se è nata proprio il 9 aprile, se si sono sposati il 9 aprile e se il generale Rodionov ha deciso giusto il 9 aprile di disperdere, intossicare e uccidere la folla dei manifestanti su corso Rustaveli?3 Che colpa ne ha Mila se questo giorno riaccende nella mente di Gheno i ricordi anche del Gennaio Nero, dei centotrenta civili azeri trucidati a Baku?4 E se il Gennaio Nero richiama a sua volta il conflitto tra armeni e azeri in Karabagh iniziato nell’88 e non ancora terminato? Perché Mila dovrebbe pagare lo scotto dell’incapacità di suo marito di reggere tutto questo? Gheno si era spezzato, smarrito. L’uomo che lei amava era rimasto sotto le macerie dell’Unione Sovietica e molti anni dopo, quando aveva lasciato il lavoro alla polizia stradale e, assieme alla svalutazione del lari, la moneta georgiana, anche la pensione statale di eroe che Gheno percepiva aveva perso valore, quando in casa non era più rimasto nulla da vendere, impegnare o ipotecare, Mila aveva guardato il marito e gli aveva chiesto:

Dovrà durare ancora per molto questa storia?

Non aveva ricevuto risposta da Gheno, ma ne aveva ricevuta una dalla realtà, e la donna aveva deciso di prenderla come un dato di fatto, sobbarcandosi la responsabilità di pensare lei alla famiglia. Mila aveva quindi tirato fuori la macchinetta per capelli conservata tra la biancheria della dote e si era fatta assumere come barbiera nel primo salone di bellezza che aveva visto nel quartiere. A tagliare i capelli non era granché, ma riusciva a usare bene le belle tette, a metterle in evidenza, appoggiandole alla nuca e al naso dei clienti e a cinguettare alle orecchie di questi con voce languida e sensuale. Benché i suoi discorsi vertessero sui temi più prosaici della vita quotidiana, erano percepiti comunque come un flirt, e visto che Mila era una donna, e tra l’altro uno schianto di donna, il numero dei clienti cominciava ad aumentare. In teoria, ogni uomo con i capelli da sistemare avrebbe potuto rappresentare motivo di amarezza per il gelosissimo Gheno, ma niente, il marito di Mila taceva, e quando non taceva beveva e riandava ai ricordi del tragitto Baku-Erevan-Tbilisi, a ogni tappa infernale e a ogni cadavere di cui era disseminato il loro percorso. La donna aspettava con ansia il giorno in cui Gheno, almeno da ubriaco, avesse mostrato insofferenza nei confronti degli spasimanti ammassati fuori dal salone con fiori e cioccolatini e avesse fatto qualcosa… qualunque cosa! Si fosse scagliato contro quegli uomini, o contro la stessa Mila. Macché! Gheno taceva, e quando non taceva beveva e ricordava daccapo ogni dolore provato, ogni pallottola sparata o la granata esplosa nel lontano ’88. Gheno si ubriacava al punto da avere soltanto la forza di trascinarsi fino al divano. E Mila nella lotta contro il marito si era arresa, ma non si era mai arresa a nessun altro, non perché non ne avesse voglia o per paura, non perché il corpo non le chiedesse il suo o non ci fossero spasimanti, nessuno però reggeva il confronto con Gheno, nonostante lui fosse un relitto del naufragio dell’Unione Sovietica, ormai l’ombra di sé stesso… Ma poi era arrivato questo Mamuka…

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