Ammetto di aver aspettato un po’ più del dovuto per mettere mano a questa recensione: troppa era la voglia di vedere se stessi recensendo il libro di colui che, a partire dal 20 gennaio prossimo, entrerà in carica come Vicepresidente degli Stati Uniti d’America oppure di chi per poco ha mancato il traguardo. Ebbene, oggi 6 novembre 2024, i principali (ma pure quelli secondari, dal momento che fin dalla serata del 5 non si parlava d’altro) mezzi d’informazione mi hanno confermato nella prima ipotesi: sto recensendo il libro del prossimo Vicepresidente USA!
Tocca quindi tracciare almeno un breve profilo biografico del personaggio: stiamo parlando di J.D. Vance (se leggerete – o già lo avete fatto – il libro capirete o sapete che le due lettere puntate per la prima parte della vita del nostro sono state le iniziali di due nomi, da un certo punto in poi di altri due), classe 1984, cresciuto nell’Ohio in una famiglia di hillibilly originari del Kentucky, arruolatosi nel corpo dei Marines dopo il diploma, laureato in Legge nientepopodimeno che a Yale, iuris doctor in Scienze Giuridiche, avvocato patrocinatore di cause “prestigiose” (non so nemmeno se si possa dire, il lessico del diritto mi è decisamente ignoto), Senatore per lo Stato dell’Ohio dal 3 gennaio 2023.
Proveniente da una famiglia (lui, quando utilizza questo termine, intende quasi sempre quella per parte di madre) di convinzioni democratiche (attenzione, stiamo parlando dei democratici degli Stati del Sud, quindi latori di un conservatorismo, soprattutto valoriale, molte volte più marcato di quello repubblicano), si avvicina tuttavia, pur criticamente, all’altro grande partito USA. All’interno del Partito Repubblicano ha fatto parte per diverso tempo del gruppo anti-trumpiano e, in occasione del precedente mandato presidenziale del tycoon (2016-2020) – oltre ad essere stato parte del movimento transpartitico Never Trump -, si era lasciato andare a uscite non proprio favorevoli al “suo” Presidente: “Trump non sa risolvere i problemi!”, se ne uscì una di quelle volte. È del tutto evidente che, da allora, molto – per non dire tutto – deve essere cambiato, per quanto Vance continui, per certi versi, ad assumere posizioni in controtendenza con quella che potremmo definire l’ “ortodossia repubblicana” (due su tutte: l’aumento del salario minimo e della sindacalizzazione del lavoro).
Convertitosi ufficialmente al cattolicesimo nel 2019 – pur provenendo da famiglia (s’intende sempre quella materna) cattolica, egli, un po’ per influenza del padre biologico e di uno dei patrigni, un po’ per le frequentazioni sue personali, dopo aver abbandonato da giovanissimo la fede cristiana ci si riavvicinò sì, ma per il tramite di quei movimenti di derivazione protestante, millenaristici e legati a filo più che doppio con la maggioranza WASP, di cui gli Stati Uniti pullulano – risulterà essere dunque uno dei cattolici a ricoprire una delle più alte cariche politiche USA (secondo solo a due presidenti: JFK, la cui triste storia tutti conosciamo e l’attuale, Joe Biden, il quale però suppongo non verrà inserito nel gotha dei migliori Mr. President).
Venendo finalmente al libro: ebbene questo è un manifesto! Tranquilli però, ché non troverete scritto né di spettri che si aggirano da qualche parte né liste di norme comportamentali o ideologiche da seguire, tutt’altro: partendo dal presupposto di voler raccontare niente più che la storia delle proprie origini, famigliari e anche socio-antropologiche (cosa che, non si sa se per captatio benevolentiae o per reale sensazione, l’autore stesso trova strana; il libro, infatti, inizia così: “Mi chiamo J.D. Vance, e penso che dovrei iniziare con una confessione: trovo l’esistenza del libro che avete in mano piuttosto assurda”), si trova a narrare – anche – “un’America silenziosa”, dando voce “a quella classe operaia dei bianchi degli Stati Uniti più profondi che un tempo riempiva le chiese, coltivava le terre e faceva funzionare le industrie. [Ma] quel mondo non c’è più, al suo posto solo ruggine e rabbia […]”, come si legge in seconda di copertina.
Chi però, tendenzialmente per cercare di tirare acqua al proprio mulino ideologico (un’acqua che scorre in direzione opposta rispetto a quella del fiume/binomio Trump-Vance), sfogliasse le pagine di questo saggio romanzato (o romanzo denso di parti saggistiche) alla ricerca di spunti suprematisti, estremisti, razzistici, ebbene non troverà pane per i suoi denti! La posizione di Vance è semplice, forse talmente semplice che pare quasi irreale al giorno d’oggi, epoca di pensieri macchinosi: laddove, a livello sia locale che federale, si è deciso di fornire un determinato supporto alle numerose minoranze (afroamericani, latinos, asiatici, le cui problematiche Vance afferma di comprendere bene, dacché sono state anche quelle sue e della sua famiglia) che compongono il melting pot che gli USA sono, perché, quando e dove ad essere minoranza sono i bianchi di ascendenza europea (le sue stesse origini famigliari sono irlandesi e scozzesi), non viene loro riconosciuto questo stesso diritto, quasi essi dovessero espiare in eterno una non meglio precisata colpa? I distinguo da fare sarebbero e sono numerosi, per farsene un’idea è però bene leggere le pagine nei quali questi pensieri sono riportati originariamente, non certo le modeste righe di chi il libro l’ha letto e gli farebbe semplicemente piacere altri lo facessero (sperando anche, un po’ immodestamente, che ad alcuni la voglia venga proprio in seguito alla lettura delle poche righe medesime. E sarebbe anche la prima volta che, credo, una persona come il sottoscritto, che ha da anni affibbiata l’etichetta di antiamericano – etichetta che rivendico pienamente -, consiglia il libro di un personaggio so american come Vance!).
J.D. Vance, beninteso, non è affatto un supporter dei sussidi statali vita natural durante, li giudica però un sacrosanto input che possa innescare in chi li riceve la giusta spinta al miglioramento della propria condizione (di ogni tipo, non solo economico-lavorativa, ma anche culturale, fisica e mentale, sentimentale…) cosa che a lui, che li ha ricevuti, è successa, anche se la stessa cosa non può dirsi di tutti i membri della sua famiglia, in primis di sua madre.
Sempre in una delle due alette, si fa riferimento al fatto che in questo libro si trovi “la storia, in filigrana, di un Paese intero, di quel proletariato bianco degli Stati Uniti che ha espresso la sua frustrazione portando Donald Trump alla presidenza”; ma al tempo della sua prima edizione (originale 2016, in traduzione italiana 2017) Vance, come sopra già ricordato, era in una posizione di opposizione, per quanto interna, a Trump (tra le pagine del libro si trovano anche, comunque, critiche nemmeno troppo velate al Partito Repubblicano nel suo complesso e addirittura qualche endorsment – questi sì già più velati – all’Obamacare), diversamente da oggi! Non è che, come spesso capita, specie ultimamente, si siano letti i fatti in maniera unidirezionale, ammantando una sola, specifica visione, del valore di Verità assoluta?
Alberto De Marchi
#
J.D. Vance, “Elegia americana” (I ed. originale, “Hillibilly Elegy”, 2016), Garzanti, 2024 (prima ristampa dopo la prima edizione italiana, 2017). Traduzione di Roberto Merlini, 255 pagine, 15 euro