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Jack Donovan. Diventare un barbaro. La civiltà è sopravvalutata

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Dopo l’analisi, tra queste stesse pagine, del primo volume della trilogia donovaniana (La via degli uomini – trad. it. di The way of the men, 2010 – Passaggio al Bosco Edizioni, 2020), più per un desiderio di completezza che per un effettivo piacere nella prosecuzione della lettura di questi prontuari (è in fase di ultimazione quella del terzo e ultimo capitolo della “saga”), ho ritenuto opportuno offrire ai miei pochi ma coraggiosissimi lettori i miei punti di vista anche su quest’altro.

Per quanto concerne le “novità” sull’autore, apprendiamo – per quanto indirettamente – che Jack Donovan, classe 1974, nato in Pennsylvania, cresciuto a New York e attualmente vivente nello Utah (precisamente, nella parte di questo stato degli USA compresa nella cosiddetta “Bioregione di Cascadia”, “territorializzazione” di un movimento indipendentista a carattere “naturalistico” i cui confini sarebbero quelli circoscritti dal corso del fiume Columbia, dunque comprendenti, oltre a territori appartenenti agli stati americani di Washington, Oregon, Idaho, Montana occidentale, Wyoming, Nevada e Utah, anche la provincia canadese della Columbia Britannica), “oratore occasionale” sul tema di cosa la mascolinità sia (diventata) nel XXI secolo su podcast video e radio, nonché scrittore di “mascolinità, filosofia maschile e spiritualità” oramai da quasi due decenni, abbia abbandonato il mondo dell’alt-right a stelle e strisce, movimento in senso ampio e pure lato di carattere sia politico che metapolitico di cui è stato per qualche anno tra i maggiori e più in vista esponenti, optando per una vita quanto più possibile appartata, isolata – specie dalle umane disgrazie – e dal mood decisamente “barbarico”!

Sta in questa scelta di vita quella della titolazione del saggio (o viceversa?) per quanto i riferimenti storici fatti propri dall’autore, e ciò in perfetta coerenza col precedente volume della trilogia, siano alquanto confusi e ben poco assimilati.

Tedierebbe eccessivamente il lettore trovarsi ora qui un elenco puntato di questi errori/imprecisioni; ad ogni modo, per alcuni devo già smentirmi della promessa fatta pochi caratteri addietro: il mio intimo sentire di storico (sia chiaro, esclusivamente per studi universitari, non intendendo io assolutamente equipararmi a chi, su qualsiasi campo, quel titolo se lo è meritato sudandoselo) non può passarci sopra!

Ecco palesarsi quindi delle evidentissime confusioni nell’analisi dei rapporti tra romani e popolazioni barbariche, una tragica incomprensione dei concetti di cavalleria e amor cortese (frettolosamente ritenuti sinonimi di effeminatezza e “maschismo beta”) e soprattutto – ciò che più ha addolorato i miei poveri occhi già miopi e però volenterosi di proseguire nella lettura nonostante tutto – un errore di carattere fin di significante/significato inerente i termini impero/imperialismo (ma, a ben pensarci, abbastanza diffuso tra l’homo americanus che Donovan, gli piaccia o meno, rappresenta in pieno, specie dal punto di vista intellettuale).

Infatti, quello che Donovan spregiativamente – e qui ha ragione, bisogna dargliene atto – chiama “Impero del Nulla” altro non è che l’imperialismo nella sua forma odierna, la più pervicace, deteriore e anche violenta. Se il nostro (anzi: il loro) avesse letto due righe due del geopolitico belga Jean Thiriart (1922 – 1992), avrebbe sicuramente appreso che – sì generalizzando, ma alle volte è necessario farlo – la dicotomia di ieri trasposta in termini odierni sarebbe Roma Impero vs. CartagineImperialismo!

Peccato che Donovan affibbi al concetto di impero i risvolti negativi dell’imperialismo, odierno e di ieri: certo “riparandosi” dietro l’aggiunta della specifica “del Nulla” al termine “Impero”, ma tant’è, all’interno di una dissertazione accademica ci si può anche permettere di principiare con un termine generico riservandosi però di motivarne l’utilizzo nel seguito della trattazione, un testo come questo, che ambisce invece ad essere un “prontuario per il maschio che non voglia smettere di esserlo”, deve essere chiaro fin dalla prima riga della prima pagina! Ed è proprio per sopperire, nel mio minimo, alla succitata mancanza di chiarezza che, all’inizio della trattazione ho steso un appuntino, di cui magari potranno giovarsi coloro i quali vorranno chiedermi in prestito il testo (tenendo sempre bene a mente che ogni mio libro, anche quello che meno ho apprezzato, di nome fa Pietro, e in quanto tale deve tornare indietro!) che recita: “Il termine ‘Impero’ è correttamente utilizzato solo quando succeduto dalla specifica ‘del Nulla’; altrimenti, laddove si legge ‘Impero’ da solo, fare conto che si trovi scritto ‘imperialismo’”.

E’ di una banalità sconcertante affermarlo, ma pure questo tocca: un orologio rotto, due volte al giorno segna l’ora giusta, quindi con determinate posizioni donovaniane ci si può trovare d’accordo non tanto perché l’ha detto Jack Donovan, quanto perché giuste lo sono in partenza (perlomeno per chi abbia una visione del mondo similare alla mia), vedi il ritorno, per gli USA, ad una politica estera isolazionista che finalmente faccia smettere loro di credere di essere i poliziotti del mondo e soprattutto di comportarsi come tali; poi anche l’avversione per la mancanza di rapporti umani diretti, sostituiti da quelli fittizi e globali via web, i quali fanno credere di poter essere in contatto con un numero potenzialmente infinito di persone ma che, presto o tardi, si rivelano per quello che essenzialmente sono: fugaci, disinteressati, atti a riempire le tristi e vuote giornate di una qualsiasi vita postmoderna!

Quando però la trattazione di Donovan si sposta sulle “questioni tribali”, iniziando a pescare modelli qua e là fra paganesimi indistinti, saltando dal palo della romanità (che, dopo la lettura di due suoi scritti, ancora devo capire se apprezzi o meno) alla frasca delle tradizioni norrena e “barbarica” (così, senza specifica alcuna), ogni tentativo anche minimo di comprensione diviene insostenibile.

La lettura è pesante anche all’atto pratico, risentendo negativamente, a mio avviso, di una traduzione eccessivamente letterale dall’originale: ma è risaputo che le strutture grammaticali e semantico-sintattiche dell’italiano siano leggermente diverse da quelle dell’inglese (oltretutto americano)!

Un libro in cui l’autore, come si suol dire, “se la canta e se la suona”, perlomeno nell’edizione italiana: tutto infatti è a firma Jack Donovan, anche introduzione e postfazione/conclusioni, mentre il primo volume della trilogia era prefato da Francesco Borgonovo, allora e anche oggi Vicedirettore de La Verità.

Forse che chi di dovere si è reso conto che per la “rifondazione” di una destra italiana che ambisca ad occupare lo spazio che nella dialettica democratica di diritto le spetta certi modelli sono più che deteriori?

Alberto De Marchi

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Jack Donovan, “Diventare un barbaro – La civiltà è sopravvalutata” (trad. it. di “Becoming a Barbarian”, Lightning Source Inc., 2016), Passaggio al Bosco Edizioni, 2022, 145 pagine, 15 euro

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