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Jack Halberstam anteprima. Creature selvagge. Il disordine del desiderio

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Davvero potrebbe aspettarci un futuro selvaggio?

Jack Halberstam è direttore dell’Institute for Research on Women, Gender e Sexuality alla Columbia University, dove insegna anche Letteratura inglese e comparata. In Italia, ha pubblicato la raccolta Maschilità senza uomini (ETS, 2010), Gaga Feminism (Asterisco Edizioni, 2021), e L’arte queer del fallimento (Minimum fax, 2022).

Il suo ultimo saggio, Creature selvagge – Il disordine del desiderio (titolo originale Wild Things), è ora disponibile in libreria, tradotto da Goffredo Polizzi (Minimum fax, 2023, pp. 376, euro 19). Il libro offre una storia alternativa della sessualità, esaminando come la selvatichezza sia stata associata alla queerness e ai corpi queer nel corso del XX secolo.

Halberstam: “propone di considerare la sessualità moderna come una forza discorsiva che si sviluppa in diverse direzioni contemporaneamente: verso la creazione di un sé lontano dai rituali e dai divieti religiosi, e verso modalità meno rigide di vivere il corpo”. Come scrive Halberstam: “Vedo il selvaggio come un’epistemologia, un campo di formulazioni alternative che mettono in questione quell’impulso tipico della modernità a ‘fare ordine'”.

Jack Halberstam sfida l’immaginazione di un mondo libero dal degrado ambientale e dal terrore poliziesco, un mondo in cui l’uomo non cerca di dominare la natura. Creature selvagge sostiene che le nostre crisi ambientali e carcerarie hanno radici che risalgono solo a sei secoli fa.

E mentre la conquista europea alterava il nostro clima, lo Stato legittimava la sua violenza attraverso le idee coloniali sulla natura selvaggia: “Il selvaggio ha quindi fatto parte di molte retoriche dell’alienazione usate per giustificare la schiavitù”.

Creature selvagge è una decostruzione delle logiche coloniali del selvaggio e una ricostruzione del termine stesso: “Con il selvaggio abbiamo evocato l’anarchia, un modo di vivere il corpo che non si traduce in identità, gli zombi, e molte altre condizioni che ci fanno diventare come morti viventi”.

Vivendo tra le rovine del genocidio e della schiavitù, Halberstam sostiene che dobbiamo ripartire da zero: “Se il selvaggio ha qualcosa da dirci, è questo: distruggete il mondo in cui vivete”.

“Siamo in un momento in cui dobbiamo disfare i mondi”, sostiene Halberstam, per il quale la fine del sistema è dietro l’angolo e tutti dovrebbero collaborare e dire no allo status quo “per un futuro più selvaggio”.

Carlo Tortarolo

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Iniziamo dalla fine. La fine di un’era, l’estremità di una corda, la fine della storia, delle origini e della futurità, del sesso e del genere, dell’ordine e del senso, la fine di tutto. Iniziamo nel 1916, quando un uomo irlandese viene impiccato in Inghilterra per tradimento, abbandonato dai suoi sostenitori per via delle pratiche omosessuali descritte in quelli che passarono alla storia come i suoi «diari neri». Iniziamo in quel territorio oscuro e illeggibile, confuso e sconcertante, che Joseph Conrad ha chiamato «tenebra», in quello spazio-tempo che T.S. Eliot ha definito «qui, ora, sempre», fra le spiazzanti annotazioni del diario di un uomo irlandese, un frocio di nome Roger Casement.

Iniziamo qui non perché il selvaggio sia il prodotto della sensibilità modernista, ma perché con il modernismo diventa impossibile discernere dove si trova la fine di ciò che è domestico, civilizzato, ordinato, e l’inizio di ciò che è straniero, barbaro e selvaggio. «Nel mio principio c’è la mia fine», scriveva Eliot nei Quattro quartetti, un ciclo di poesie che si confrontava non tanto con la mancanza di senso dell’esistenza, ma con l’inizio del declino ambientale. «Noi viviamo in quel guizzo», scriveva Conrad, «che possa durare finché questa vecchia terra continua a girare!» E sembra che non manchi molto a questo termine, e che il «guizzo» di Conrad, così come la mortalità intravista da Eliot, premano adesso contro la vita stessa. In questo capitolo, selvaggio è insieme molte cose: è il modo in cui chiamiamo le forze scatenate dalla brutalità coloniale, è quell’ambito della vita che eccede la volontà di potenza coloniale, è una forma di desiderio che in un solo identico gesto sottomette e si sottomette.

Roger Casement (1864-1916), in breve, era un diplomatico irlandese che aveva lavorato per il ministero degli esteri inglese in Congo e nella regione sudamericana del Putumayo. Essendo stato testimone di orribili episodi di brutalità coloniale, aveva cercato di elaborare una legge internazionale alla quale i colonizzatori avrebbero dovuto ubbidire. Questo lavoro era stato celebrato come esempio di grande impegno umanitario. Nel 1914 tuttavia Casement decise di sposare la causa del nazionalismo irlandese e pianificò di spingere l’Irlanda ad andare in guerra contro l’Inghilterra alleandosi con la Germania. Per questo fu arrestato e condannato a morte da un tribunale inglese. La condanna scatenò forti proteste da parte dei nazionalisti irlandesi, ma quando il governo inglese trovò e fece circolare i diari in cui Casement documentava le sue pratiche omosessuali in Congo e in Perù, l’uomo fu lasciato solo, e finì impiccato per tradimento.

Casement, che pure fu autore di alcune fra le prime leggi sui diritti umani, è solo un nome tra molti nella lista degli strani personaggi di questo libro: personaggi che non sono tanto preda di un desiderio selvaggio, ma che manifestano un desiderio per il selvaggio. Come altre figure di cui parleremo, Casement fa qui la sua comparsa non perché fosse in anticipo sui suoi tempi, e neanche perché era un personaggio eroico, da nobilitare ripescandolo dal passato e facendo di queste pagine un monumento alla sua memoria: Casement, invece, è qui perché rappresenta un elemento di disturbo nelle storie della sessualità che abbiamo finito per accettare. Non è un nostro antenato, un precursore, un pioniere. Piuttosto, esprime in tutta la sua fulgida complessità quell’insieme contradditorio di desideri per il selvaggio che non possiamo chiamare né omosessualità né eterosessualità, che nel bene e nel male sfuggono alle classificazioni, e che si pongono al di fuori di quel territorio convenzionale che abbiamo riservato a narrazioni più disciplinate della sessualità. Gli scrittori e gli artisti che desiderano il selvaggio in sé e per sé non sono un gruppo di rivoluzionari; i loro desideri non sempre si somigliano, e neppure si somigliano i modi in cui li esprimono. Alcuni vanno in cerca di quei corpi che loro stessi hanno classificato come selvaggi (stabilendo dunque con il selvaggio una relazione coloniale); altri lo ricercano negli animali, negli uccelli o in qualche altra creatura ferina (in una relazione bestiale con il corpo); altri ancora lo cercano attraverso la tecnologia (in una relazione protesica con la carne); e altri, infine, cercano il selvaggio nella morte (in una relazione necropolitica con l’estinzione ecologica). Incontreremo persone che amano i cani più degli umani, e altre che osservano gli uccelli non perché vogliono conoscerli ma perché vogliono diventare uccelli loro stessi; incontreremo le creature selvagge e chi cerca di raggiungerle ovunque siano; esploreremo desideri di disordine, di caos e di morte.

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