La Forgia è un fotografo e quello che più ti aspetti da un fotografo è la cura per l’immagine. In parte è proprio questo Materia. La fuga degli elementi, di Jacopo La Forgia, in uscita per Effequ: un libro che compone un’immagine – quella del nostro mondo – e un’inquadratura che cerca di immortalare i frammenti di vita dei personaggi che lo popolano. Per conservare la memoria si scattano le foto; per non dimenticarsi degli animali il mondo li scolpisce nel marmo, in un disperato tentativo di ricordare come eravamo o forse desiderarci migliori di quello che siamo stati.
I mari stanno sommergendo le città e l’aspetto degli animali è ormai fissato nel marmo, mentre i più giovani vengono chiamati a una guerra dai tratti oscuri che verrà combattuta sotto terra. Per il resto, tutto brucia. Elena, intanto, viaggia risoluta, «non tornava mai sui suoi passi: ogni volta che decideva di fare una cosa, la scelta era assoluta.», dando fuoco alle fabbriche di marmo, guidata da una missione affidatale che sembra, in qualche modo, legata al futuro degli elementi. Perché è proprio di elementi che si parla, quelli che risiedono nell’animo dei protagonisti. Un trio di amici, ciascuno con incastonato un tassello di mondo e, appunto, di Materia: Gabriele pensa all’acqua, si abbandona, scivola via – nel tentativo di dimenticare i mali del mondo non parla con nessuno per un anno; Andrea è diverso, è un bugiardo ossessionato dalla gloria, e apparentemente incurante di quello che gli accade attorno; ma è a Elena che è legato il destino della storia. Perché Elena divampa, è il fuoco: l’intransigenza e il coraggio di partire verso quello che è ancora sconosciuto; ed è anche l’acqua, di cui ha paura e fascinazione allo stesso tempo.
La Forgia non nomina mai il nome delle città, perché non è necessario: sono luoghi che conosce benissimo, e ce lo fa capire con descrizioni eloquenti, come quelle dei caratteri: assoluti, finiti, a tratti un po’ surreali, ma che parlano di personaggi che fanno ritornare la voglia di essere liberi, senza legami, senza nomi; ma allo stesso tempo li stringono nelle reti di un destino più forte di loro, come un boato che viene dalla terra e li chiama a gran voce. In particolare l’autore dedica grande cura al tentativo di scindere il personaggio di Elena dal suo sesso, evitando di cadere nel trabocchetto dell’autocompiacimento dell’eroina stessa: il suo genere femminile sbandierato a sfregio di un mondo maschilista. Lo fa descrivendo e parlando della sua natura sempre in termini di persona.
La prosa è evocativa e, per la maggior parte, allusiva. D’altra parte la struttura a più racconti è forse la parte più a rischio del libro. Ce lo consegna in frammenti, che dissolvono invece di legare, minando la struttura unitaria del romanzo. Tuttavia la voce narrativa dal tratto onirico, che dalla prima persona passa alla terza, culla il lettore permettendogli di cogliere fino in fondo la freddezza con cui sentenzia come ormai per l’umanità sia troppo tardi. Sembra un romanzo distopico, quello di La Forgia, ma non lo è: quello che descrive sta già accadendo e continuerà ad accadere, anche se verrà chiamato con nomi diversi. Prova ne è l’identificazione con la natura tramite cui tratteggia i personaggi. Perché è proprio il riconoscersi in un qualcosa al di fuori dall’uomo che il lettore ricerca. Nella costante descrizione di cose come se fossero persone e di persone come se fossero cose, si ha l’impressione che tutto abbia un’anima, ma allo stesso tempo niente di tutto ciò abbia importanza. L’umanità non serve, o meglio, si limita ad esistere, e questo è già sufficiente, perché il mondo, in quanto natura, prosegue inesorabile, delineando la parabola dell’uomo come, in fondo, passeggera.