Gesù dell’uragano e altre storie è un’antologia di racconti – inediti in Italia – di James Lee Burke che ora Jimenez Edizioni manda in libreria con la traduzione di Gianluca Testani. Considerato un “maestro di prosa”, Burke ambienta le sue storie – scritte tra il 1990 e il 2005 – sullo sfondo della Costa del Golfo, un parte degli Stati Uniti storicamente spazzata dagli uragani, declinandole di volta in volta intorno ai temi che maggiormente increspano la superficie dell’esperienza umana: amore e sesso, guerra e morte, amicizia, violenza domestica. Il filo conduttore che sembra percorrere tutto l’andamento narrativo è quello che getta luce su personaggi realisticamente complessi – e per questo affascinanti – alle prese con circostanze fuori controllo. Grazie alla casa editrice, qui proponiamo nella sua interezza il racconto intitolato Il villaggio.
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Il villaggio
Avevo trenta uomini stremati sul sentiero buio. Sembrava una discarica ambulante. Li feci fermare al fiume, dissi all’interprete, Senti, abbiamo un problema, ancora due chilometri e siamo a Pinkville South, capisci cosa voglio dire? Arriviamo, facciamo quello che dobbiamo fare, torniamo indietro attraverso il fiume, la birra intanto si sarà raffreddata per cinque ore, e lasciamo che quelli di Amnesty International facciano il conto. e usciamo, questo è il ritmo. Nessuno dei nostri si farà male, i volontari che abbiamo preso all’ultimo villaggio non dovranno passare sulle mine. Sto parlando con dei tizi che pensano che il manuale delle armi sia un giocatore di baseball nicaraguense. Senti, fenomeno, devi capire che io non ho preso di mira il villaggio, si è preso di mira da solo. Davano da mangiare alla gente che ci ammazzava. Li abbiamo avvertiti, abbiamo avvertito il prete che gestisce l’orfanotrofio. Nessuno ci ha ascoltato. Non ce l’avevo con la ragazza mennonita. Una volta l’ho incontrata in città, mi sono levato il cappello per salutarla. L’ammiravo. Era una piccola creatura olandese che lavorava in un posto di merda su cui la maggior parte delle persone non perderebbe tempo a sputare. I problemi sono venuti da un paio di intermediari, ufficiali che hanno trascorso un po’ di tempo in una scuola speciale per messicani a Benning. Senti, capo, io ero solo un consulente, capito? Non venivo pagato per interferire.
Stai lì e vedi questi tizi che portano un tipo in un capanno di lamiera con dentro un letto di metallo, chiudono la porta, poi senti dei rumori che arrivano fino alla giungla e fai finta che siano solo scimmie che urlano. Ellos! strillavano quando siamo entrati nel villaggio, e poi cercavano di nascondersi. Ci chiamavano in quel modo. Per quanto ne sapessero quei poveracci, io potevo essere Pancho Villa o Stonewall Jackson. Guarda, la situazione è andata fuori controllo. Dovevamo soltanto circondare il perimetro, cercare le armi, prendere un tizio in particolare, un sindacalista, fare un’azione dimostrativa, tutto qui, lo chiamavano albero di Natale, lasciare qualche decorazione appesa ai rami al mattino, mi segui? Ma quel tizio si mette a correre dentro la chiesa e il prete comincia a strillare contro i nostri sui gradini all’esterno, e pop pop pop, che avrei dovuto fare, amico? Tutt’a un tratto ho le formiche alle mani. Devi considerare il quadro generale per capire il mio problema. Siamo in mezzo alle montagne, senza nessuno che possa vedere quello che succede. Può essere una grande tentazione. Al centro del villaggio c’è questa chiesa intonacata con tre piccoli campanili. Il prete sembra una chiazza di vernice nera rovesciata sui gradini. Le strade corrono in tutte le direzioni, come i raggi di una ruota, e i ragazzi che hanno sparato al prete sono spaventati e attaccano a sparare a chiunque si trovi in vista. Prima che me ne renda conto, fanno fuori tutti iraggi, nel cuore del villaggio, il tendone del circo va a fuoco, e io sono solo un cazzo di uomo. Oche e galline schizzano fuori dai cortili, i maiali strillano, le donne gridano, la gente viene trascinata in strada per i capelli. Lei sbuca da un angolo, come se camminasse controvento, e ce la mette tutta per avanzare in mezzo ai rumori che spingono quasi tutti a coprirsi le orecchie e a nascondersi. Non dimenticherò mai l’espressione sul suo volto, aveva gli occhi azzurro ghiaccio e i capelli come seta di mais bianco e del sangue sul vestito, come se fosse stato lanciato da una penna a inchiostro, ma ha visto tutto, amico, come se l’intera strada e i morti fossero sfrecciati nei suoi occhi ingranditi su un pezzo di pellicola.
Il problema si è creato in quel momento. L’ho spinta con forza. Aveva le ossa di un uccellino, scommetto che se la mettevi davanti a una candela potevi contargliele con le dita, e il suo viso era un piccolo triangolo pallido e ho capito che era una donna religiosa e l’ho spinta di nuovo. “È solo un incidente. Sta finendo. Porta il tuo culo via da qui, olandesina” le ho detto. Le ho stretto il braccio, l’ho fatta girare, l’ho sbattuta contro il muro e ho visto il dolore comparire sul suo volto. Ma sono difficili da maneggiare quando sono così leggeri; non hanno un peso su cui ti puoi appoggiare. Si è staccata dalle mie mani, è scivolata via, mi ha anche tagliato con le unghie, così poteva continuare a guardare le cose che non doveva guardare, le cose che ci avrebbero incasinato tutti. Ha mosso le labbra ma io non capivo le parole, l’aria tra gli edifici era squarciata dai lampi delle armi, come graffi rossi contro il buio, e si vedevano i bossoli vuoti che si agitavano alla luce delle lampade delle finestre. Poi ho sentito le pale dell’Huey prima di avvertire la corrente discendente che ci investiva, e l’ho visto posarsi su un campo alla fine della strada di sassi e i due ufficiali della scuola speciale di Benning erano lì ad attendermi, con i sigari che brillavano all’interno della porta, e io non avevo dubbi su come sarebbe andata. Hanno parlato in spagnolo, poi in inglese. Poi in spagnolo e inglese mischiati: «È veramente triste. Ma questa dall’Olanda è communista. È anche molto serio, con amici nella stampa di sinistra. Entiende, Señor Pogue?». Non era un lavoro nuovo. Getti una dozzina di cadaveri ad alta quota. A volte passano attraverso i tetti. Magari questo serve a salvare delle vite lungo il percorso. Ma lei era viva quando l’hanno portata a bordo. Senti, capo, io non avevo il controllo su niente. Le mie uniche opzioni erano finire la missione, ripulire la merda di questi tizi e non pensare a quello che c’era sotto; perché il sole era ormaisopra le creste e si vedevano il tetto di tegole della chiesa e il cadavere del sindacalista penzolare sul muro e gli indiani scappare come un formicaio appena calpestato, oppure rimanere indietro e aspettare che qualche ribelle incazzato per davvero tornasse al villaggio e vedesse quello che avevamo fatto.
Due uomini hanno tentato di sollevarla, ma lei ha lottato. Così hanno cominciato a picchiarla, tutti e due, poi l’hanno presa a calci con gli scarponi. Non ce l’ho fatta più, amico. È stato come se qualcuno avesse aperto la porta di un forno vicino alla mia testa. Quella roba doveva finire. Lo ha capito anche lei, lo ha visto nel mio sguardo ancora prima che l’afferrassi per le spalle, quasi come se la stessi salvando, mi ha posato le mani sulle guance, fissandomi sempre negli occhi, anche quando era incorniciata nel cielo, come se fosse dentro un dipinto, con i capelli mossi dal vento, il viso che schizzava all’indietro verso il fondovalle e ciò che la attendeva, non si poteva più fermare nulla, capo, e io vedevo le linee bianche del suo cuoio capelluto e sentivo il sapore della secchezza del suo alito, ma le sue labbra si muovevano di nuovo mentre le stringevo più forte le braccia e la spostavo più in là, in un luogo dove nessuno doveva più prendere decisioni, i suoi occhi come buchi pieni di cielo azzurro, e questa volta non avevo bisogno di ascoltare le parole, potevo leggerle sulla sua bocca, erano appese lì davanti a me anche quando il vento me l’ha strappata dalle mani e lei è diventata solo un puntino che correva verso la terra: Dovete cambiare il vostro modo di essere.