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James McBride. L’emporio del cielo e della terra

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James McBride, scrittore e giornalista newyorkese vicino ai settanta, è cresciuto tra Brooklyn e il Queens in una famiglia poverissima e numerosa: padre (afroamericano), madre (polacca) e undici fratelli. Dopo aver lavorato nelle redazioni del New York Times, Rolling Stone e Washington Post, McBride ha fatto il musicista jazz, poi lo sceneggiatore per Spike Lee. L’esordio nella narrativa risale al 1995 col memoir Il colore dell’acqua; la definitiva consacrazione è arrivata vent’anni più tardi con The Good Lord Bird, vincitore nel 2013 del National Book Award, cui è seguito, nel 2022, Il diacono King Kong. In questi giorni è uscito in Italia con l’editore Fazi e la traduzione di Silvia Castoldi The Heaven & Earth Grocery Store (L’Emporio del Cielo e della Terra), romanzo che negli Usa ha riscosso un successo clamoroso vendendo oltre un milione di copie (presto diventerà anche un film prodotto da Steve Spielberg). La storia è ambientata perlopiù a Pottstown, Pennsylvania, in un minuscolo quartiere di case fatiscenti e strade sterrate dove vivono neri ed ebrei, insieme ai bianchi “che non potevano permettersi di meglio”. Siamo negli anni ’30 dello scorso secolo. Chicken Hill, questo il nome del quartiere, è un microcosmo di mille storie con tanti personaggi che ruotano intorno alle figure principali di Moshe e Chona.

Nella prima parte del romanzo, Moshe, ebreo rumeno proprietario di un teatro e di una sala da ballo, si innamora di Chona, una bellissima americana di origini bulgare, un’avida lettrice e un’idealista che, nonostante sia “storpiata dalla poliomielite”, non nutre “un briciolo di amarezza o un briciolo di vergogna”. Generosa e disponibile con tutti, Chona diventa un presidio di solidarietà quando insieme al marito rileva l’Emporio del cielo e della terra (a dire il vero, l’iniziativa la prende lei, Moshe ne farebbe a meno “Siamo ricchi, questa è una zona di neri e di poveri, e noi non lo siamo! Andiamocene in centro. Apriremo un negozio lì”).  E così mentre Moshe ha successo nella sua attività artistica, Chona gestisce il negozio di alimentari che dà il nome al romanzo, offrendo credito a chi è più bisognoso. Leggendo di questo emporio mi sono ricordato del Brokeland Records, il negozietto di vinili dove Michael Chabon ha ambientato uno dei suoi romanzi migliori, Telegraph Avenue (perdonate questa specie di autocitazione). Come il Brokeland anche l’emporio è “un caravanserraglio dove la gente sta insieme, si rilassa… e si racconta storie a più non posso”. Un crocevia di gusti e culture diverse. Un giorno alla porta di Moshe e Chona bussano i vicini Nate e Addie per chiedere aiuto: Dodo, il loro nipotino dodicenne, diventato sordo per via di un’esplosione, si trova in pericolo; a seguito della morte della madre il ragazzino è rimasto orfano e presto le autorità verranno a prelevarlo per rinchiuderlo in un istituto. È il primo dei due eventi che fa decollare la storia. Nate e Addie sono disperati, occorre agire in fretta ma non sanno dove sbattere la testa. Moshe e Chona, che non hanno potuto avere figli, prendono a cuore la sorte del ragazzino e accettano di nasconderlo nell’emporio. Dodo è intelligente (non sente ma è abilissimo a leggere le labbra), brillante, sensibile, nella sua disabilità Chona ritrova la propria condizione, e grazie a lui per la prima volta sperimenta la desiderata maternità. Il secondo momento importante del romanzo è la separazione tra Chona e Dodo (madre e figlio). Quando la donna si ammala gravemente il bambino viene portato via e incarcerato a Pennhurst (un istituto psichiatrico abusivo) con la complicità di Doctor Roberts, il personaggio che incarna il male, il più cattivo del cast di McBride, membro del KKK e figura viscida contro la quale gli abitanti di Chicken Hill si uniscono nel tentativo di liberare Dodo. Unirsi è un po’ la parola chiave della storia e per questa piccola comunità, il cui melting pot simboleggia tutta l’America. L’Emporio del Cielo e della Terra è un romanzo sulla inclusività e la tolleranza.

Una storia d’amore e di pace che non inciampa tuttavia nella retorica buonista e dell’accoglienza di questi anni. Chicken Hill è come la Napoli di Pino Daniele: ha mille colori, è un’America che sta imparando a stare insieme, che rapidamente prende forma e identità oltre ogni steccato, pregiudizio e intento separatistico. La prima parte del romanzo, per via dei numerosi riferimenti alla cultura ebraica, ricorda i capolavori di Isaac Bashevis Singer, capostipite di una lunga e gloriosa tradizione letteraria che ha visto in Bellow, Malamud, Roth, Safran Foer, Yoshua Cohen… alcuni dei suoi epigoni. McBride è uno scrittore “antico”; la sua prosa rigogliosa è una sinfonia di generi musicali che a volte stordisce per la complessità delle immagini e per la profondità degli stati d’animo, i retropensieri della sua fauna umana. Il suo nuovo libro è un atlante di sentimenti, un manuale di convivenza. Un antidoto contro il solipsismo e l’egoismo dei nostri anni. Nessuno si salva da solo.

Angelo Cennamo

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