Quando ero bambino mio padre aveva un colubro dentro un flacone trasparente.
Il liquido che io pensavo lo tenesse in vita era in realtà la sua tomba.
Jean Henri Fabre, ovvero l’osservatore inimitabile.
Ho imparato negli anni che ci sono dei libri che possono essere letti con piacere anche ad apertura di pagina. Libri che il più delle volte verranno consumati, segnati da minutissime note e che ci seguiranno nei cambiamenti della vita, nelle case e che si legheranno a noi come si legano alcuni atomi.
Da ragazzo mi accostai con un certo interesse ai libri di medicina di mio padre.
Ero affascinato e lo sono tutt’ora dalle parole scientifiche, dalle espressioni latine così puntuali e dal loro suono alchemico, dagli infiniti rimandi letterari che, in seguito e del tutto casualmente, maggiormente trovai nell’entomologia più che nell’uomo. Abbandonai il corpo e le malattie per gli insetti. Uscii dalla porta sul retro di casa e iniziai a osservare gli ospiti e i loro nidi (Chalicodoma muraria*) agli angoli delle pareti esterne della mia abitazione, a cercare oltre la recinzione dove in estate iniziano i campi assolati battuti dalla falciatrice.
La grandezza che qui mi preme sottolineare non è affatto la figura di scienziato e naturalista di Jean-Henri Fabre, che ovunque troverete indicato come padre dell’entomologia, ma la sua peculiarità come scrittore, la sua cifra letteraria e la sua capacità di cogliere nel piccolo e perfetto un valore più grande, quello della vita e dell’istinto.
In questo volume (volume primo come da stampa di copertina) edito da Adelphi, dal titolo Ricordi di un entomologo, troverete un’anima capacissima e un maestro, il quale, nella mia sensibilità di lettore, paragonerò sempre, sapendo di non fare torto a nessuno, a Ray Bradbury: «Ecco come andarono le cose. Eravamo cinque o sei, io il più vecchio, il maestro, ma soprattutto il compagno e l’amico; loro, giovani dal cuore ardente, dalla fervida immaginazione, traboccanti di quella linfa che scorre nella primavera della vita e ci rende così esuberanti e assetati di conoscenza».
Con questo incipit non potrete che andare avanti e scoprire le porte di un mondo nuovo e antichissimo, in cui cimentare la vostra intelligenza e sforzare i vostri occhi.
Come già mi è accaduto con due affascinanti volumi sempre editi da Adelphi, Alla ricerca del predatore alfa e Spillover dello scrittore David Quammen, anche in questo caso mi sono sono trovato a portata di mano una lettura indimenticabile, le cui pagine così zeppe di ore di osservazione e acume si dimostrano «la scintilla che fa divampare la fiamma in un camino dove altrimenti la legna continuerebbe a giacere inutilizzata».
Gli esseri descritti non vengono da un altro pianeta e non mancano di nulla. Sono intorno a noi, ci ignorano il più delle volte, viaggiano come viaggiamo noi nello spazio e, benché visibili, ai più sono sconosciuti. La loro bellezza giace e si anima nel nostro mondo insensibile, eppure è il momento di coglierla da vicino e comprendere oltre la struttura dell’insetto anche le sue facoltà. Vedere nel piccolo è vedere nel grande. Leggere Kafka è vedere l’insetto ed è vedere l’umano. Leggere Jean-Henri Fabre è lo stesso e lo è nel profondo.
Edoardo M. Rizzoli
Recensione al libro Ricordi di un entomologo. Volume primo, di Jean-Henri Fabre, prefazione Gerald Durrell, traduzione Laura Frausin Guarino, Adelphi 2020, pagg. 679, ill. b/n 127, € 38