Avere 15 anni è il massimo della crudeltà, soprattutto se sei un fantasma, ovvero una ragazzina che non ha mai conosciuto la madre, quella biologica, si intende; il padre, probabilmente, non è mai esistito. Eccoti allora sbattuta tra famiglie affidatarie ed istituti di accoglienza, con troppe madri adottive, troppe canne, acidi ed anfetamine, piccoli furti, risse, prostituzione… fino a quando gli sbirri di te non ne possono più, nemmeno la tua assistente sociale può coprirti più, e te ne finisci al Panopticon, isolata struttura nella campagna periferia di Edimburgo. Strana perversione mentale, un carcere in cui tutti i detenuti sono osservati da un’unica torre di guardia, con la beata convinzione questo possa essere un deterrente comportamentale per i disadattati che finiscono laggiù. Non si può mai essere molto seri a 15 anni, eppure le grandi scelte della vita avvengono proprio a quell’età, né prima né dopo. Non avere radici significa essere una pianta sradicata, che viene continuamente trapiantata e ritrapiantata in nuovi vasi, con nuovi terreni, perché niente sembra essere adatto a lei, forse perché non è che un raro fiore tropicale, selvaggio e delicato. O forse perché è un esperimento, una mutazione genetica compiuta in qualche laboratorio. A 15 anni c’è poca differenza tra ciò che accade dentro e ciò che accade fuori la tua testa, tutto insomma accade dentrofuori, ed il tuo modo sboccato di dire la cose altro non è che puerile retorica ribelle, fascinazione per la parola che dice e al contempo maledice. Sembra non esserci censura nei tuoi pensieri, invece c’è solo la fottuta paura di ciò che desideri realmente… Il mondo è un gioco sbagliato, quando il tuo futuro è inevitabile e dietro le sbarre, e ogni giorno lo ricominci fantasticamente daccapo, immaginando un’altra vita, un’altra te, magari felice, in un alberghetto di Parigi… è il gioco del compleanno, e tutto è dannatamente così chiaro e trasparente mentre sogni o mentre imprechi, mentre ridi forzatamente o sei accusata di omicidio, così chiaro e trasparente, nel tuo raccontarti istante per istante, dentrofuori, flusso di coscienza coprolalica o lirico monologo interiore, che è il panopticon del romanzo stesso, il lettore condannato nella torre di guardia a spiare l’anima di una 15enne senza soluzione di continuità, nel delirio di un’adolescenza strafatta, poetica e degradata.
Jenni Fagan, scozzese, è nata nel 1977 a Livingston e vive a Edimburgo. Selezionata dalla prestigiosa rivista «Granta» nel 2013 e nominata ‘autrice scozzese dell’anno’ nel 2016 (Sunday Herald Culture Awards), è stata due volte finalista al Pushcart Prize.
Panopticon, tradotto in 8 lingue, in Italia da Barbara Ronca, è il suo romanzo d’esordio, diventato anche un’opera teatrale. Jenni ha scritto inoltre la sceneggiatura per la trasposizione cinematografica, attualmente in produzione per la Sixteen Films di Ken Loach. Di Jenni Fagan Carbonio ha pubblicato anche Pellegrini del sole (2017).