Leggendo Un inutile delitto di Jill Dawson – pubblicato in Italia da Carbonio Editore con la traduzione di Matteo Curtoni e Maura Parolini, si comprende subito di stare di fronte a un tributo, un atto “dovuto” dell’autrice nei confronti di una donna uccisa molti anni fa. Esattamente nel novembre del 1974, a Londra, le cronache furono sconvolte dal brutale assassinio di Sandra Rivett perpetrato da Lord Lucan. L’assassino, che pare avesse confuso la giovane tata dei suoi figli per la moglie, scomparve subito dopo l’omicidio. A distanza di anni, Jill Dawson, ispirandosi direttamente a quei fatti, ha ricostruito l’intera storia spostando l’attenzione dalla vita dell’assassino a quella della vittima. Sì, perché ai tempi l’opinione pubblica e i mezzi di comunicazione si erano dedicati anima e corpo a Lord Lucan, ben poco alla povera donna uccisa. Così nasce la storia di Mandy, una ragazza di provincia che entra al servizio di una importante famiglia aristocratica a Belgravia, raccontata da un’amica, Rosemary, che presta la sua voce per mettere insieme ricordi e testimonianze non solo di una tragedia, ma di una vita intera. Un inutile delitto, infatti, è un vero tributo a un’esistenza che non avrebbe lasciato nessun segno tangibile se non fosse stata spezzata in quel modo. Un atto di giustizia e un omaggio all’ “essere umano”. Così la Dawson riesce a entrare in profondità nelle personalità e nei comportamenti dei personaggi protagonisti, segue da vicino le tensioni delle giovani donne “ricreate” dalla sua penna. Il tutto con una scrittura la cui piana lucentezza emerge dall’ottima traduzione.
“C’era un senso di desiderio, c’erano fantasmi nella stanza”, “La sera aveva un che di asciutto e giallo”: sono due esempi di come le brevi, secche note descrittive della Dawson increspino un testo levigato e scorrevole, solo apparentemente “piano” e, al contrario, sempre carsicamente in grado di far affiorare in superficie qualcosa di nascosto, di non immediatamente afferrabile. Di dire “altro”, di dire ciò che non si può dire del tutto. Dalla pagina si leva una musicalità discreta ma inesorabile, che cattura irrimediabilmente. Basta lasciarsi trascinare dalla storia di Mandy, a partire dalle strane visioni di Rosemary fino al tragico giorno dell’assassinio.