“ Non osai attaccare, e nella ritirata persi quattrocento uomini per la neve e l’inondazione . Tempaccio, allora come adesso”:
P. Anderson , A midsummer tempest
“Quando l’uomo è al culmine della potenza deve uccidere. La vita uccide”
Johannes V. Jensen
C’è stato un re nel nord, un sovrano che nessuno conosce ma che ha vissuto gli anni dei nostri re e delle nostre regine. Un re che per noi è come un fantasma, una sorta di albume poco distante dal bianco, uno spettro, una flebile ombra in cui la notte del tempo lo ha stretto nel suo cerchio di tenebra.
La caduta del Re (Kongens Fald) scritto dal premio Nobel Johannes V. Jensen tra il 1900 e il 1901, tradotto magistralmente per la prima volta in italiano da Bruno Berni ed edito da Carbonio, è considerato il capolavoro della narrativa danese del Novecento, un grande classico e lo è davvero.
Un romanzo storico certo, da una parte una ricostruzione precisa, minuziosa degli eventi documentati e dall’altra il definirsi, l’apparire sulla scena, l’accendersi di una luce nei volti della finzione letteraria.
Come scrive Berni, nella preziosa introduzione al testo, l’ispirazione per scrivere l’opera venne dal noto quadro del pittore Carl Bloch del 1871 che ritrae re Cristiano II nei suoi anni di prigionia nella stanza della torre nel Castello di Sønderborg, “quando, secondo la leggenda, girava inquieto e senza sosta intorno al tavolo, fino a creare con il dito un solco sul piano di legno”.
Il realismo delle scene, le vivide immagini che corrono di pagina in pagina, non fanno che alimentare l’interesse del lettore verso un mondo che sembra liberarsi da una nebbia che l’avvolge, in cui i personaggi reali ed immaginari si muovono sullo sfondo della caduta di quel re amletico, paradigma della corona danese, descritta nel momento del suo declino da potenza guida degli stati del Nord Europa.
“ Quelle nobili teste furono spaccate dai randelli dei contadini in un grandioso scenario di tempesta e disgelo, neve e pioggia da nord-ovest e inondazione del mare spumeggiante. Si diete fuoco alla miccia di una decina di pessimi cannoni, e le palle ingorde penetrarono nei ranghi compatti dell’esercito, le mascelle della morte s’ingozzarono incivilmente in tutta quell’abbondanza”.
Testimone di questo massacro e personaggio principale del romanzo è Mikkel Thøgersen, figura che nel quadro di Bloch è alle spalle del sovrano, di cui non sappiamo nulla, ma che è lì, testimone di tutto, figura reale ed immaginaria allo stesso tempo , verso cui gli altri personaggi convertono, si animano e si dissolvono.
La vita di Mikkel, come quella di Cristiano II sarà piena di indecisioni e di passi sbagliati, di amori, di odi rabbiosi e di voglia di vendetta. E’ come se davanti ai suoi occhi, attorno al suo corpo, si agitassero milioni di uomini e di donne, come se tutta l’umanità si fosse addensata in pochi centimetri e non ci fosse più spazio perché l’oscurità possa essere qualcosa di più di un cristallo che li contiene.
La scrittura di Jensen è davvero maestosa e suggestiva, in alcuni passaggi raggiunge un’intensità notevole, come una costruzione poetica come una “pioggia (che) frustava il tetto, scrosciava sulla soglia della porta, stormiva nel fiume” .
Considero la lettura de la Caduta del Re come una benedizione, un terribile annuncio di qualcosa che accadrà, un fragore nella bottega dell’uomo.
Edoardo M. Rizzoli