“Nella mezza età c’è mistero, c’è mistificazione. Il massimo che riesca a cogliere di questo periodo è una specie di solitudine.” I diari che John Cheever scrisse dalla fine degli anni quaranta fino alla sua morte, sono stati pubblicati in Italia da Feltrinelli, nel 2012, con il titolo Una specie di solitudine. Chi era John Cheever? Dietro l’immagine patinata di uno dei più celebrati scrittori americani del Novecento scopriamo un uomo pieno di contraddizioni: Cheever amava la moglie e i suoi figli ma si sentiva fragile, profondamente solo, incompreso, era attratto dalle donne ma anche spaventato dall’idea di riconoscersi omosessuale “So di avere una natura tormentata… mi spaventa l’indefinitezza, il pensiero di essere omosessuale mi atterrisce“. Il lungo racconto che Cheever fa della propria vita è forse il suo libro migliore, il più poetico, un flusso di coscienza dettagliato che ci porta ad altre note opere letterarie; mi vengono in mente per esempio la saga di Bascombe di Richard Ford o le lettere struggenti di John Fante, autore dalla personalità vicina a quella di Cheever per la dipendenza dall’alcol, la malattia degli ultimi anni, soprattutto per le alterne fortune, la povertà che ha afflitto entrambi in alcune stagioni delle rispettive carriere. “Sembra proprio che, giunto a metà della mia vita, io non abbia fatto nessun progresso, a meno che non sia da considerarsi un progresso la rassegnazione… Siamo più poveri che mai. Siamo in ritardo con l’affitto, abbiamo poco da mangiare, relativamente poco: lingua e scatola e uova. Una montagna di bollette. Io posso scrivere un racconto alla settimana, forse più. Ci ho già provato in passato e non ci sono mai riuscito, ma riproverò” non vi ricorda l’Arturo Bandini di Chiedi alla polvere?
Dicevo dell’amore per la moglie Mary. Cheever ce la descrive come una donna talvolta cinica, scorbutica, poco attenta alle sue premure. La detestava per questo, ma ne era geloso e soffriva quando lei, sempre più di frequente, respingeva i suoi slanci affettivi e sessuali. L’idea del divorzio li accompagnò per tutta la vita “Mi infilo in quel bidone dell’immondizia che è l’idea del divorzio“.
Il tormento per la scrittura è ricco di spunti interessanti “Mi piacerebbe avere un vocabolario più muscolare. E devo stare attento con il mio accento raffinato” altre volte “mi ribello alla parlata comune“. Numerosi i passaggi in cui Cheever parla dei suoi colleghi, dell’antipatia per Saul Bellow “Le sue recensioni mi fanno vomitare… Ho usato la prima persona informale ben prima che uscisse Le avventure di Augie March Magari non dirà niente di sensato, ma non gli troverete una ciocca di capelli fuori posto”. Di tutt’altra pasta Nabokov “Apro Nabokov e rimango incantato da questa gamma di ambiguità, questa meravigliosa atmosfera di falsità… Lo stile della mia scrittura sarà sempre in certa misura prosaico“. Di John Updike scrive “Penso che non avesse pari tra gli scrittori della sua generazione“. Divertente il racconto di un incontro a colazione con Philip Roth “Bevo un drink, vado incontro a Philip Roth alla stazione con i due cani al guinzaglio… la conversazione prende un filone sessuale, ma lui parla, trovo, con grazia, acutezza, spirito”. La passione per Hemingway e il dispiacere alla notizia della sua morte “Si è sparato Hemingway, ieri mattina. Era un grande uomo. Non c’è mai stato, nella mia epoca, nessuno alla sua altezza”.
Ma più di ogni altro, il filo conduttore di questi diari è la lotta contro l’alcol: spietata, umiliante, devastante “Uso il whisky come antidolorifico per buona parte della giornata“. Il quadro che gli prospetta lo psicologo è quello di un nevrotico, narcisista, egocentrico, senza amici. Dopo vent’anni di dipendenza Cheever decide di farsi aiutare dagli Alcolisti Anonimi, entra in una clinica per disintossicarsi. Il tempo che fugge via, il successo, i premi, l’omosessualità che non è più vissuta come un tabù, gli acciacchi fisici e una diagnosi che non dà scampo: quanta vita. Una specie di solitudine è una storia che intenerisce, annoia, commuove, appassiona, il ritratto di una vita speciale ma anche uguale a quella di tante altre; un’opera letteraria maestosa, imperdibile.