“L’ignoto è un’astrazione; il noto un deserto; ma ciò che si conosce a metà, che si intravede appena, è il luogo perfetto in cui far oscillare desiderio e allucinazione.” “Il testimone” di Juan José Saer (La Nuova Frontiera, 2023 pp. 192 € 16.90) nella traduzione dallo spagnolo di Luisa Pranzetti, è un libro avventuroso che affonda le sue radici letterarie nella narrativa visionaria e onirica. Il romanzo sorveglia la linea di frontiera dell’animo umano lungo le traiettorie temerarie e tempestose della vicenda. La storia trae la sua ispirazione, nel periodo storico delle grandi spedizioni alla scoperta delle Indie, dalla suggestiva descrizione di un giovane mozzo che viene fatto prigioniero da una tribù cannibale di Indios. Nell’affascinante e sconvolgente scenario il viaggio di esplorazione rivela, attraverso la relazione convincente ed energica di un linguaggio arcaico e magico, una geografia della testimonianza, raccolta con essenziale ricchezza di accurati particolari e misteriose rivelazioni. Il giovane mozzo, risparmiato dalla brutalità dell’antropofagia, si ciba di ogni accenno evocativo, nell’affermazione delle usanze estreme e terribili degli indigeni, si addentra in un mondo discorde in cui il sovvertimento di ogni contenuto antropologico, di ogni teoria etnologica, è una sentenza di riferimento, nella liturgia pagana dello spaesamento emotivo e morale. Juan José Saer sottrae la delimitazione dell’avvenimento dai suoi componenti orribili ed elabora la combinazione filologica per considerare la destinazione, oscura e infausta, della voragine dell’umanità. Condensa l’esposizione del tempo nell’orientamento sospeso del destino e nell’essenza indecifrabile delle vicissitudini. Il protagonista del romanzo è vincolato dall’ambigua permanenza nella terra sconosciuta come uno straniero e diverso, assorto nella vaghezza dell’enigmatica circostanza, nella digressione dalla partecipazione primitiva e tribale, nell’essenza istintiva e penetrante della natura.
Juan José Saer trasmette, nella lingua viva dell’imprevedibile, l’incantesimo magnetico delle parole, riferisce l’inquietudine dell’uomo occidentale, manipola la spedizione della fantasticheria con l’impresa sensibile dell’esperienza in una navigazione suprema di conoscenza, rende leggendari i ricordi del protagonista, ammaliati nell’interpretazione di un sorprendente percorso di introspezione psicologica, dove la sorte del rapimento trasfigura la visione della vita, muta la condizione della spiritualità, converte i significati della natura e dei suoi valori, coniuga una prospettiva esistenziale riflessa nell’accezione contrastante di un altro mondo. L’equivoco esotico accentua le dinamiche di una riflessione verso le prerogative dell’identità, ascolta la voce dell’inappartenenza e ne commemora la malinconia, intuisce la presenza immutabile della tenebra umana, percorre la corrente dell’ignoto. Juan José Saer definisce con una scrittura originaria, intensa e metaforica, avvalendosi del ritmo esatto e persistente delle immagini, il labirinto sensibile delle analogie culturali, spiega i meccanismi relazionali nel confronto con l’altro, rinnova il sentimento della rinascita come catarsi dell’elemento primordiale, forma la sua indagine speculativa sul destino della collettività. Osservatore poetico nei saggi rimandi della letteratura di viaggio, crea una storia ricca di pulsioni, segue la calzante e drammatica estetica dell’inconoscibile, narra la spiritualità e la tortura della bestialità, estende i confini dell’immaginario, nell’atmosfera consumata di ogni ragione dell’avventura, è testimone dell’abisso inafferrabile della vita.
Rita Bompadre