“Bondy” aveva bisbigliato Marek con terrore, “ti metto in guardia per l’ultima volta: tu porterai Dio in terra!”
Dopo R.U.R., Karel Čapek pubblicò a puntate su un quotidiano – correva l’anno 1921 – un romanzo feuilleton arricchito dalle illustrazioni del fratello Josef: La fabbrica dell’assoluto, pubblicato ora da Voland con la traduzione di Giuseppe Dierna. Il testo, che prendeva spunto da La ricerca dell’assoluto di Balzac, si inseriva nella scia già tracciata da Čapek con la formula del racconto “alimentato” da un espediente “fantascientifico”. In questo caso, a introdurre una variabile “metafisica” è l’invenzione da parte dell’ingegner Marek di un carburatore in grado di eliminare la materia, trasformandola interamente in energia. Un’invenzione in grado di rivoluzionare non solo l’attività industriale ma l’intera vita dell’uomo. Bondy, il presidente di una grande azienda, entra in possesso del brevetto del carburatore, fermamente intenzionato a trasformarlo in un colossale affare. Prende così il via la produzione e diffusione dei carburatori, ma ben presto viene fuori un problema che, poco alla volta, si dimostrerà foriero di catastrofi: la materia disintegrata lascia il posto a quello che potrebbe essere definito un gas, l’Assoluto, in grado di scatenare incoercibili istinti e anche deliri religiosi e attacchi irrefrenabili di bontà. I guai non tardano ad arrivare, le ricadute dell’effetto “religioso” dei carburatori sono devastanti. I sistemi economici, minati dall’interno dall’ondata di misticismo e da una accelerata produttività e inflazione, entrano in crisi, differenti fazioni religiose corrono verso lo scontro, tra il proliferare di predicatori e santoni, visioni apocalittiche e i prodromi di un possibile conflitto mondiale. La geniale provocazione escogitata da Čapek sta proprio nell’individuare nel gas-divino sprigionato dalla materia – partendo dal presupposto che Dio è in tutte le cose – l’elemento in grado di portare il caos sulla terra, scoperchiando come un formicaio la società dell’uomo e tutti i suoi “assurdi” meccanismi. È come se l’Assoluto riuscisse ad avviluppare gli uomini, costringendoli ad essere irrimediabilmente umani.
In questo modo nulla viene risparmiato dall’autore, che fa a fette politica, religione, sistema di produzione capitalistico e regole economiche. Ma, soprattutto, l’incapacità dell’essere umano di agire a fin di bene, perso com’è tra un’eventualità di comunismo mistico e una religione che a priori nega la possibilità di un Dio in terra. Le questioni religiose e dottrinarie, la concorrenza tra classi e sistemi produttivi non possono che avere un’unica soluzione finale, lo scontro armato.
La satira di Čapek, declinata quasi attraverso una sorta di “parabola”, fu sicuramente molto efficace all’epoca, ma ancora oggi è possibile apprezzarne tutto il valore, alla luce anche della straordinaria capacità di raccontare con un registro asciuttamente ironico. E geniale rimane l’idea di fondo, quella che vede fianco a fianco realtà e metafisica.