“Perché questa è la verità: ogni giorno contiene molto di più delle proprie ore, o minuti, o secondi. A dire il vero, non sarebbe esagerato affermare che ogni giorno contiene tutta quanta la Storia.”
Il patois giamaicano è una lingua caleidoscopica e pluridirezionale, un luna park lessicale. Per apprezzare e raccontare al meglio un mondo ludico, cosa c’è di meglio se non portare con sé un’elegante giocoliera?
Pssst, ehi tu. Si, dico a te.
Non girarti dall’altra parte, non fare finta di niente. Dico proprio a te.
Lo so, non ci conosciamo, e penso che dopo questa trovata avrai ancora meno intenzione di conoscermi.
Però, credo presuntuosamente di sapere chi sei. Tu, quella che mette in scena i lavoretti coi bimbi. Quella con lo sguardo stravolto dalla stanchezza, ma che trova sempre il modo di tirare fuori dal cilindro un sorriso. Quella che entra nella stanza con passo felpato, per non disturbare. Eh sì, guai se qualcuno si preoccupa per te! Sei sempre tu quella che pensa agli altri, sempre e solo agli altri.
No, tranquilla, non farò il tuo nome, ma hai capito perfettamente a chi mi riferisco. Sei chi mi ha mandato un regalo molto speciale quando ho deciso di scorticarmi per raccontare quel libro. Beh, adesso tocca a me ricambiare. Chiudi gli occhi, ti porto in un posto.
Caraibi, Giamaica.
Non aprirli ancora. Immagina acque cristalline, pesci color smeraldo che ci sguazzano dentro, graziose tartarughe marine. Vieni, facciamo quattro passi su queste morbide spiagge disseminate di dolci mandorle, sulle note di Peter Tosh. O forse è Bob Marley?
Adesso puoi aprire gli occhi. Lo so, non è quello che ti aspettavi, non è il panorama da cartolina che ci propinano ogni volta che si parla di Giamaica.
Siamo ad Augustown, a qualche chilometro dal mare, questo è l’epicentro del libro di Kei Miller. Sai, c’è stato un tempo in cui questo paesaggio lugubre era bello e senza cicatrici, un tempo in cui le colline erano verdi e lussureggianti, fitte di alberi di guava e uccelli colorati. C’era un fiume che scorreva impetuoso e nei giorni di calma piatta, se eri fortunata, potevi sorprendere una grossa iguana a prendere il sole su una roccia levigata dall’acqua. Adesso di quel fiume è rimasto solo un letto asciutto, in cui ruspe e bulldozer affondano i propri artigli arrugginiti. Non fare finta di nulla, ti ho vista che li guardavi. Lì, in mezzo ai trattori, ci sono dei bambini che giocano a calcio tra le vaste sabbie del progresso.
Qualche giorno fa dicevi che delle piccole creature ti ha sempre affascinato l’entusiasmo. Loro ti permettono di essere ciò che sei, senza dover mai giustificare nulla. È quella loro visione pura, trasversale, è il loro camminare a balzelli, il parlare con i gatti, i moti di entusiasmo, il vociare da orco o pulcino che ti fanno sentire a casa. “I bambini ti guardano dentro. E capiscono. Non li freghi.” Così mi hai detto.
Qui però è diverso. Augustown è uno specchio magico dalle mille sfaccettature, quel tipo di magia alla Alice in Wonderland, dove niente è ciò che sembra, dove tutto è sottosopra, in un continuo botta e risposta tra la bruttura e la bellezza. Come se una non potesse esistere senza l’altra.
Dietro il sorriso innocente di un bambino, si nasconde un rude boy, un teppistello armato dallo sguardo minaccioso.
Dietro una figlia che ha studiato e ce l’ha fatta, c’è una madre che può soltanto sperare che i propri figli non soffrano troppo la fame, che riescano ad evitare proiettili e coltelli, e che in qualche modo possano respirare un alito di amore.
Dietro ogni strada larga e asfaltata, c’è un vicolo sterrato e fiancheggiato da recinzioni di zinco. Dietro ogni solida casa di cemento, con il suo bel giardino, c’è una goffa baracca di assi e lamiere.
Questa è la terra dei ladri rispettabili, dei reverendi volanti e degli alberi che proiettano la spessa e scura ombra delle cose non dette. È la terra dei rum bar, dove passare il tempo a oziare, spettegolare o fare una partita a domino. È la terra dai mille suoni, che sia il latrato di un cane improbabile, il coro delle radio accese, o il suono di una jeep che sta passando sopra a qualcosa di più che una semplice pietra sulla strada. Ma è anche la terra del silenzio, quel silenzio di vecchie tigri affamate, che si chiedono se hanno ancora la forza di balzare sulla preda.
Questa terra è l’Olimpo, ormai orfano, di tutte le divinità africane, in cui l’unico Dio rimasto è Babilonia, il controllore assoluto, il dominatore incontrastato. È così che qui chiamano la polizia, il cane da guardia di un sistema economico e politico oppressore e corrotto.
Questa è la terra dei perseguitati e dei discriminati, di un Rasta in sella alla sua bicicletta, dei manganelli che lo colpiscono e lo fanno cadere a terra, dei poliziotti che gli tengono la testa stretta nella morsa delle loro braccia, mentre gli strappano via riccioli di sacralità.
Questa è la terra dove sulla vita dei poveri grava fin dalla nascita una pietra che impedisce loro di spiccare il volo. Dove la gradazione della pelle scura è la cartina di tornasole della libertà di un uomo.
Questa è Augustown, e Kei Miller è il suo profeta. Un poeta, un romanziere, uno straordinario cantastorie. Un uomo che sa come si racconta una storia, e lo sa fare bene.
“Per conoscere bene un uomo, bisogna conoscere la forma delle sue ferite, la piaga specifica attorno alla quale la sua persona si è formata come una crosta.”
Vieni dai, torniamo indietro. I tuoi bambini ti stanno aspettando.
Marco Latini
Augustown • Kei Miller
Traduzione di Nicola Manuppelli
Funambolo Edizioni, 268 pagine