Per essere ottimisti siamo alla fine. Alla fine della critica letteraria (quella musicale, non so, non vorrei sparare nel “mucchio” che è sempre come sparare sulla Croce Rossa). Sono anni, forse decenni, che il concetto di “morte della critica” ci ammorba con petulanti dibattiti che nel frattempo dalle “terze pagine” sono passate, non solo come foliazione dei quotidiani, tra l’economia e lo sport. Da qualche mese, ma non più di un anno, la critica letteraria è implosa in se stessa: non conta più niente. Rimangono le firme più note, alla D’Orrico, o i volti demo-telelevisi come Fabio Fazio, capaci di muovere il mercato. Perché è questo che conta. Persi tra la “paratassi” e gli “ossimori” i critici letterari ormai scrivono tra di loro e per loro. Non fanno muovere un lettore da casa verso le librerie neanche con il pensiero. Alle marchette si è sostituito il “marchetting”: la coscienza critica si è persa, svilita, venduta. Io credo fermamente che la critica, non solo letteraria, abbia contribuito, più che gli stessi scrittori, alla formazione della società civile. Al Pasolini di “Una vita violenta” ho sempre preferito il Pasolini degli “Scritti corsari”, al Luciano Bianciardi dalla “vita agra” il Bianciardi acuto scopritore di nuovi talenti. Ogni critico che si rispetti, in realtà, scrive da sempre lo stesso articolo. Non è mosso alla fama o alle vendite, ma al miglioramento del mondo. Questa è la mia visione, forse utopica, ma sono 20 anni che combatto perché ogni articolo possa migliorare, anche di un secondo, il mondo. E incoraggiare alla lettura fa migliorare il mondo: è inevitabile.
La critica letteraria è la vera responsabile del tracollo editoriale (non il contrario). Certo gli editori hanno la loro responsabilità: quella di aver trasformato il lettore in un consumatore e il libro in un prodotto. Ma un consumatore, consumato come di questi tempi, pensa prima ai beni primari (e i libri non lo sono) e poi ai superflui (preferiscono un nuovo smartphone a un libro). La critica non ha mosso un dito, nemmeno “l’indice” (un tempo gloriosa rivista letteraria) per impedire tutto questo. Anzi: è stata connivente, non è voluta andare contro il mercato per la paura che il mercato la facesse sparire. Così oggi abbiamo una critica a (s)comparsa. Ricordando, come scrisse Majakovskij, che “gli intellettuali sono i primi a fuggire, subito dopo i topi, e molto prima delle puttane”. Il problema è che oggi, tra le tre categorie, non c’è più nemmeno molta differenza.
Gian Paolo Serino