Il titolo del suo romanzo, La destinazione (Roma, Il ramo e la foglia, 2024), prefigura un destino segnato cui non si sfugge. Attraverso i tre monologhi, ciascun personaggio fa i conti con proprio vissuto e vede compiersi un destino che lo sovrasta. Si è forse incrinato, per lei, il topos “Homo faber fortunae suae”?
Questa domanda è molto interessante perché tocca il fulcro del mio lavoro. Credo che l’essere umano sia in effetti in buona parte artefice del proprio destino ma che, al tempo stesso, sia vittima delle proprie paure, dei desideri, delle pulsioni. Oltre a ciò, la vita di ognuno di noi è a mio avviso fortemente condizionata dall’ambiente in cui nasciamo, dalle aspettative che altri hanno su di noi, dagli orizzonti che per primi ci vengono proposti, dalle regole e consuetudini cui dobbiamo sottostare, dai condizionamenti che spesso subiamo senza neppure riconoscerli. Esiste senz’altro la possibilità di inquadrare e disattivare determinati automatismi, ma non tutti hanno gli strumenti per farlo. Ciò che ha una grande rilevanza, secondo me, è anche la percezione soggettiva che ognuno ha del proprio destino: talvolta ci sentiamo predestinati pur senza esserlo. È ciò che accade a Paolo, il personaggio principale della Destinazione. Paolo, a causa di una serie di meccanismi inconsci, si autoinfligge la condanna dell’illusione di un cammino segnato, che lo vede colpevole e tarato quanto e più del padre. Ma si tratta di un tipico caso di profezia autoavverantesi: il personaggio finisce per assecondare un destino nefasto che lui stesso ha deciso per sé. Credo che simili dinamiche non siano infrequenti e per questo ho voluto parlarne.
Il suo lavoro comporta un’analisi cogente dei personaggi che vanno incontro a sé stessi pur non volendo. Quanta fiducia ripone nella psicanalisi come scioglimento dei problemi interiori?
Due dei tre protagonisti della Destinazione – Paolo ed Elisabeth – affermano di non credere nella psicanalisi. Io non sono del tutto d’accordo con loro: ritengo infatti che la psicanalisi sia un ottimo strumento conoscitivo, prima di tutto di noi stessi, ma in secondo luogo anche degli altri. Ritengo altresì che la conoscenza di sé costituisca una protezione, uno strumento di difesa contro molte possibili minacce, oltre che un grande arricchimento personale. Non sono tuttavia convinta del fatto che, di fronte a una sofferenza profonda, la comprensione delle proprie dinamiche autodistruttive rappresenti una cura sempre efficace. In altre parole, capire cosa ci fa soffrire può essere utile e interessante, ma non è detto che basti per spezzare il circolo vizioso del nostro dolore.
Mi sembra che lei abbia una visione piu tragica che lirica della vita: è stata forse ispirata dal mondo greco?
Non sono un’esperta antichista, ma in effetti certe figure tragiche che popolano la tragedia greca hanno sempre esercitato un grande fascino su di me. Penso a Edipo, Medea, Antigone, Ifigenia e a molte altre. Mi colpisce il modo in cui questi personaggi vanno incontro al loro destino, di cui hanno oscura consapevolezza, con coraggio e dignità, spostando la lotta dall’esterno – contro i nemici, gli ostacoli, la crudeltà e insensatezza del mondo – all’interno, ovvero contro quella parte di sé che non riesce ad accettare la disfatta, la sconfitta, la perdita ineluttabile, la morte.
Di recente le è stato assegnato un interessante riconoscimento. Ce ne vuole parlare?
Proprio in questi giorni ho saputo che La destinazione ha ricevuto il marchio “Microeditoria di qualità 2024”. Questo marchio è stato ideato dalla Rassegna della Microeditoria per
permettere ai lettori di individuare delle proposte editoriali valide anche all’interno della piccola e media editoria, quella che fa più fatica a raggiungere il grande pubblico. Si tratta di un risultato che per me ha un doppio valore. Prima di tutto, sono felice che il mio romanzo sia stato letto e apprezzato, inoltre credo che sia un giusto riconoscimento alla fiducia che i miei editori – Il ramo e la foglia – hanno riposto in me, e al loro preciso e puntuale lavoro sul mio testo.
Quale destino immagina per la sua opera? E qual è il target?
Non saprei, mi auguro prima di tutto che La destinazione continui a girare e ad essere letto. Per me ciò che conta più di tutto è il rapporto con il lettore, che desidero coinvolgere e accogliere nelle vite e nei mondi che invento. Mi collego dunque al secondo punto. Il target a cui mi rivolgo non è necessariamente un pubblico di letterati o di addetti ai lavori, ma è costituito da persone che danno valore e importanza alla letteratura, che accettano di mettersi in gioco di fronte a un libro e non cercano solo leggerezza, romance, intrattenimento o un banale lieto fine.
Ha qualche altra opera che bolle in pentola?
Sì, dopo qualche mese di crisi, durante il quale sono riuscita a scrivere solo un racconto, ho finalmente messo mano a un nuovo romanzo. Molti aspetti sono ancora da definire. Si tratta ancora una volta di un lavoro giocato sulla molteplicità dei punti di vista. Mi sono ispirata a un fatto di cronaca italiana di alcuni anni fa, che per adesso preferisco non rivelare e che, tra i tanti che ho letto, ha messo in moto la mia fantasia.
Giovanna Albi